6 dicembre 2010    

Il ''chi è'' della 'ndrangheta (di Filippo Diano )


Ndranghetista (andros agatos) sinonimo di ‘bellomo’. O ancora: ‘omu drittu’, ovvero, che non piega la schiena, se non per servire gli interessi della sua ‘famiglia’, non quella naturale, ma il gruppo criminale che lo ha ‘battezzato’ uomo d’onore.
Si è stratificata nei secoli la leggenda delle ‘qualità’  dell’uomo d’onore , fino a creare degli autentici miti di giustizialismo sociale che hanno fatto presa in una terra come la Calabria, dove le ingiustizie – pubbliche e private - molto spesso finiscono per tramutarsi in tragedia o in umiliazione.  
La ndrangheta, invero, per antico detto, ‘mangia assai e ietta pocu’. Sin dalla sua nascita, si caratterizza come organizzazione parassitaria. Non mancano i casi di anarchismo ribellista tipico delle dinamiche sociali calabresi dove qualche ndranghetista si mette a fare il capopopolo, tanto da indurre  qualche intellettuale, a fornirle, almeno agli albori, la patente di difensore dei deboli e degli emarginati. Tutto smentito, invece, dalle innumerevoli incursioni perpetrate dalla ndrangheta contro i capilega di braccianti e contadini consumati dalla pellagra e dalla malaria  in ogni angolo di Calabria.
La storia vera è, dunque, che la ndrangheta, come la mafia siciliana, sta sempre dalla parte del potere costituito, anzi, ne diviene spesso braccio armato e mazziere, proprio contro i ranghi sociali più deboli ma dignitosi. Efficace, perché violento e spesso impunito, calmieratore sociale.
Il magistrato Vincenzo Macrì e il prof. Enzo Ciconte in un saggio recente, descrivono l’internazionalizzazione della ndrangheta sui cinque continenti. Resta saldo però il rapporto con la terra madre, i suoi riti di iniziazione, i matrimoni contratti spesso tra parenti ed affini, affinchè ‘il sangue non si perda’, sia che si viva a Plati o San Luca, in Aspromonte, che in Australia ed in Germania.
 E’ strutturata rigidamente secondo ‘cariche’ e distribuita sul territorio in ‘locali’, la cui apertura può essere autorizzata e ufficializzata soltanto dal ‘Capo crimine’, figura  di vertice della ndrangheta di San Luca in Aspromonte. Ogni ‘locale’ ha un capo bastone, che ha potere di vita e di morte su tutti; un ‘contabile’, che gestisce le finanze e la così detta ‘bacinella’, dove sono raccolte le somme destinate agli affiliati ristretti in galera; un ‘crimine’, un vero e proprio ministro di guerra, che coordina gli omicidi e i regolamenti di conti con le cosche rivali. Ed ancora: il ‘mastro di società’, delegato ai rapporti ‘diplomatici’ con gli altri gruppi criminali; il ‘camorrista di società’, che coordina le attività estorsive; il ‘mastro di giornata’, che deve rendere conto ai superiori di tutto che ciò che quotidianamente avviene sul territorio di interesse della cosca, camorristi semplici, capo giovane e picciotti. Una gerarchia rigida che si può scalare soltanto dimostrando ‘coraggio’ nell’eseguire il mandato dei capi, che può riguardare un attentato dinamitardo, un’estorsione, fino all’omicidio. Ogni ‘ndrina aperta all’estero è,infatti, solo un distaccamento autorizzato dalla casa madre. Lo testimoniano i risultati delle indagini sulla strage di Duisburg, il 15 agosto 2007, una ‘scapigliatura’  della  ventennale faida di San Luca tra i Nirta-Strangio e i Pelle-Vottari, cosche attivissime in Germania, e, quindi concorrenti tra loro nel riciclaggio di capitali, traffico di cocaina, investimenti immobiliari. Ma è sul territorio di origine che ogni cosca si consolida economicamente e trova legittimazione. Lì, grazie alle entrature con la cattiva politica, ogni cosca tenta di fare  il vuoto nel settore degli appalti pubblici e dell’edilizia privata residenziale. Un processo in crescita, testimoniato, purtroppo, da decine di scioglimenti di comuni per infiltrazione mafiosa, con conseguenze letali per l’affermazione democratica di ogni comunità. Il rapporto crimine organizzato-istituzioni-poteri occulti, è ormai diventato il punto dirimente non per la Calabria, ma per l’intero Paese. Hic rodus, hic saltus.

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