27 ottobre 2010    

Quel "cranio" che divide l'Italia (di Romano Pitaro)


E’ un cranio il pezzo più prezioso del Museo di antropologia criminale di Torino intitolato a Cesare Lombroso, quello del brigante Giuseppe Villella, ma un comune calabrese adesso lo rivuole indietro.  Il moderno museo, situato in via  Pietro Giura  è - si legge sul sito web - un unicum al mondo per i “reperti” raccolti.  Il cranio del brigante Giuseppe Villella custodito al Museo
Ha visto la luce un anno fa, ma è stato ribattezzato da una sfilza di associazioni d’ispirazione “neoborbonica” che lo contrastano a colpi di carta bollata  “il Museo degli orrori”. O “fossa comune” (Lombroso non catalogava) di crani di briganti meridionali, catturati e fucilati dai soldati del nascente Stato italiano, e di pazzi dalle varie gradazioni su cui lo psichiatra nato a Verona nel 1835 infieriva con compassi “a branche curve” e scalpelli seghettati. 
Ora però quel cranio speciale, che se venisse meno farebbe crollare la pubblica  collezione del brivido, il castello di sgangherate macchinazioni ed altre  stravaganze bocciate  dalla  scienza, lo rivuole il piccolo comune calabrese di Motta Santa Lucia. Non per farne una copia da esporre in un museo di    perversioni necrofile, ma per seppellirlo. Spiega Amedeo Colacino, sindaco di Motta Santa Lucia (a un salto da Lamezia Terme) e pronipote del brigante Villella  per parte di madre: “Rivogliamo quel cranio per dare finalmente degna sepoltura ad un nostro concittadino”. Infatti quel cranio, su cui Lombroso ha incentrato la sua stupefacente teoria,  è di Giuseppe Villella,  nato a Motta Santa Lucia nel 1803 e morto a Pavia nel 1872.  
La teoria lombrosiana che tanti pregiudizi contro i meridionali  ha amplificato,  poggia sulla cosiddetta “fossetta occipitale mediana” che Lombroso asseriva  di avere individuato nel cranio di Villella. All’alba del 4 gennaio 1871, nel suo laboratorio all’Università di Pavia, dopo aver scoperchiato il cranio del brigante Villella (“un tristissimo uomo di anni 69, condannato tre volte per furto e incendio di un mulino, ipocrita, astuto, taciturno, ostentatore di pratiche religiose, di cute oscura, tutto stortillato, morto per tisi, scorbuto e tifo nel carcere di Vigevano” dove era stato trasferito e dove  lo psichiatra ha avuto il permesso di asportarne la testa), Lombroso asserisce di vedere la  “fossetta occipitale mediana”. La chiave di volta di ogni  devianza. Su cui Lombroso  intendeva  fissare “scientificamente” i caratteri del cosiddetto “tipo criminale, pazzo, mattoide e geniale”. Fu così che, in maniera del tutto arbitraria dal punto di vista scientifico, Lombroso fece di Giuseppe Villella il simbolo della sua folle teoria sulle “fossette occipitali”.  E “il simbolo -  accusano i contestatori del museo torinese -  di tutta la delinquenza calabrese e meridionale, contribuendo alla creazione di preconcetti razzisti”.
La reazione  del comune di Motta Santa Lucia è condensata in una “delibera” inviata al Museo torinese,  ai Ministri competenti ed al Presidente della Regione Calabria. Ma è più di un semplice atto amministrativo. E’  l’appassionata rivendicazione di un’identità meridionale sacrificata ieri, per comporre l’Unità d’Italia, e oggi sbeffeggiata dalla contraddittorietà con cui il Paese si approssima a celebrare il 150mo compleanno. In effetti,  da un lato si batte il tasto dell’orgoglio nazionale che ci deve vedere tutti sulla stessa zattera e, dall’altro, si consente l’ostentazione pubblica  non soltanto di una teoria scriteriata, ma persino dei corpi (o di quel che rimane) dei meridionali che, per non suscitare scandalo, si continua a definire delinquenti e non briganti. Pur sapendo che, come illumina la delibera del comune, “le più recenti e aggiornate ricerche storiografiche testimoniano definitivamente la natura politica del cosiddetto brigantaggio post-unitario, fenomeno vasto, articolato e tutt’altro che inquadrabile in un contesto di ordinaria delinquenza o di follia criminale”. Non ha dubbi il sindaco Colacino: “Il brigantaggio fu un fenomeno drammatico con conseguenze pesantissime ai danni delle popolazioni meridionali ed in particolare calabresi e lucane con episodi intollerabili di violenza che arrivarono fino alla decapitazione sistematica della nostra gente da parte delle truppe piemontesi, mentre le teorie di Cesare Lombroso,  spesso legate alle origini dello stesso razzismo nazista, hanno rivelato tutta la loro inattendibilità scientifica”.
Come se ne esce? Il  sindaco chiede due cose semplici ad un Paese che voglia salvaguardare il senso unitario della sua storia. La restituzione dei resti del brigante calabrese per provvedere ad una dignitosa sepoltura. “In vista dei festeggiamenti del prossimo anno, la restituzione del cranio di Villella, per noi  sarebbe un gesto di riconciliazione nazionale e il segno del riconoscimento della dignità umana di Villella, dei suoi eredi  e, per ciò egli ha sempre rappresentato,  di  tutte le popolazioni meridionali”. Seconda cosa:  la chiusura di quell’orribile  museo.
  
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