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14 ottobre 2010
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"La mafia spiegata ai ragazzi": un libro di Antonio Nicaso (di Romano Pitaro)
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La “Mafia spiegata ai ragazzi” può trarre in inganno. Non perché lasci intendere che ce n’è una per grandi e una per piccoli. Se si sfoglia con sufficienza, ritenendo il nuovo lavoro dello scrittore Antonio Nicaso non degno di chi già sa di mafia, l’inganno è perfezionato. In realtà, occorre pensare ai Simpson. Sapendo come funziona la serie televisiva americana di Matt Groening (il suo creatore), i dubbi svaniranno. E il libro di Nicaso, esperto di mafie che vive tra Canada e Stati Uniti e che assieme al giudice Nicola Gratteri ha firmato due bestseller “Fratelli di Sangue” e “La Malapianta”, potrà essere apprezzato per quello che è: uno strumento, il primo del suo genere, per inverare la profezia di Giovanni Falcone: “la mafia è un fenomeno umano, ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”. Messa cosi , qualcuno potrà obiettare che, dinanzi ad uno Stato che tarda a fornire a magistrati e forze dell’ordine mezzi e risorse, nonché una legislazione rigorosa e più stringente, o a rimuovere gli annosi blocchi economici e sociali che nel Mezzogiorno consentono alla mafia di garantirsi braccia e consenso sociale, anche questo libro rientra nella cosiddetta fabbrica delle illusioni. Ma è chiaro che Nicaso è il primo a non credere che la mafia possa essere stroncata soltanto con “un esercito di maestri” e container di buoni libri. Ciascuno faccia la sua parte. D’altronde, il titolo, “La Mafia spiegata ai ragazzi”, è solo un pretesto per parlare di mafia ( e quindi rompere il silenzio che è nemico della verità, chiosa l’autore: “E al silenzio bisogna contrapporre la parola che può avere una forza prorompente e inimmaginabile”). Parlarne bene, s’intende. Evitando che la mafia sia “mitizzata o rappresentata come una favola”. E’ questo il senso profondo del libro edito da Mondadori che andrebbe urgentemente adottato nelle scuole italiane. Un pretesto lessicale, perché i ragazzi, purtroppo, la mafia la conoscono. Giuseppe Letizia è un pastore di 13 anni, ucciso per essere stato testimone inconsapevole dell’omicidio del segretario della Camera del Lavoro di Corleone Placido Rizzotto. E ha 13 anni Giuseppe Di Matteo, sciolto nell’acido per ordine di Giovanni Brusca. Ha 10 anni Marcella Tassone, assassinata assieme al fratello in Calabria. Annalisa Durante a 14 anni è colpita accidentalmente nel corso di un conflitto a fuoco tra due fazioni della Camorra. Claudio Domino frequenta la scuola elementare quando muore a Palerno. E 11 anni ha Dodò, il bambino ucciso l’anno scorso in un campo di calcetto a Crotone. Una lista dolorosa ed interminabile di ragazzi la cui vita è schiacciata dalla mafia. Questo “sole nero” infatti, il cui fine è esclusivamente l’arricchimento, non ha mai rispettato i ragazzi. Spiega Nicaso: “Onore è una parola che i mafiosi hanno rubato al vocabolario degli onesti”. Non un libro, quindi, solo per ragazzi. Come i Simpson. La succulenta seria tv che può essere concepita come “un cartone animano su uno zotico e la sua famiglia”, oppure come “una trasmissione profonda al punto da suscitare discussioni filosofiche”. Questo libro può essere letto in meno di un’ora e con le stesse emozioni di un giallo di rango. Ma può anche indurre ad una rilettura serale; e l’indomani mattina può farci compagnia in treno, in ufficio, nella pausa. Scatena la voglia di saperne di più. E’ semplice ed è difficile. Perché è simpsoniano. Costruito su più livelli. Può essere letto da ragazzi d’ogni età senza lambiccarsi il cervello; per l’efficacia con cui i messaggi sono organizzati, ha la forza d’incunearsi nel pianeta internettizzato degli adolescenti. O consumato da adulti rotti al vizio della lettura, che potranno afferrare le tante allusioni e le astuzie culturali di cui è zeppo. I Basilischi, per esempio, chi sono mai? In poche pennellate è svelata la vicenda della mafia allignata in Basilicata dopo il terremoto del 1980, quando lo Stato stanzia 8mila miliardi di lire per la ricostruzione. Oppure ecco svelate la ragione per cui le famigerate Triadi cinesi chiedono “la busta rossa per il tè” (il pizzo) soprattutto in Toscana, o perché non c’è traccia della Yakuza in Italia, accomunata alla ‘ndrangheta per la mistica del silenzio: “La cosa essenziale del parlare è quella di non parlare affatto”. Naturalmente ogni notizia - dai due boss di Cosa Nostra americana Albert Anastasia e Frank Costello, di cui si tende a dimenticare che erano calabresi, alla squadra del cuore di Toto Riina (l’Inter), per finire con l’eroismo che costò la vita a Rocco Gatto, il mugnaio di Gioiosa Ionica che si oppose alla ‘ndrangheta - è il tassello di un vasto puzzle economico e finanziario, che vede le mafie del mondo farsi spazio con la violenza nei mercati e intrecciare relazioni con gli Stati e le varie lobby. Come dire: aldilà del folklore con cui le mafie si esibiscono (per esempio le 400 organizzazioni mafiose nigeriane terrorizzano le ragazze ridotte in schiavitù con i riti magico tribali del woodoo; la mafia albanese garantisce agli uomini il controllo assoluto sulle donne in base alla legge della montagna del 1400 e le bande dei motociclisti negli Stati Uniti, come usa fare anche la Yakuza, non nascondono la loro appartenenza), c’è da non dimenticare mai la solida rete d’interessi su cui poggia un sistema economico che non di rado utilizza le mafie e in cui le mafie soddisfano gli appetiti. Ma il libro può anche essere letto insieme: da ragazzi ed adulti. Come accade con i Simpson. I ragazzi ridono per allusioni oscure di cui afferrano solo l’umorismo e i grandi sogghignano per aver compreso che dietro “il parente di Homer che gestisce una compagni di gamberi in fallimento”, c’è l’evocazione di Forrest Gump. Con questo libro scritto per loro, invece, i ragazzi capiranno come nasce e come aggredisce la società ( e perché) la mafia, anzi le mafie. E gli adulti avranno modo di soffermarsi sulle ragioni che hanno reso potente la ‘ndrangheta. La quale, dopo aver gestito, tra il 1969 e il 1989, un terzo dei 620 sequestri di persona che ci sono stati in Italia ed aver investito i proventi (400 miliardi di lire equivalenti a 200 milioni di euro ) nel traffico di droga di cui ha il controllo quasi esclusivo in Europa grazie ai collegamenti con colombiani, turchi, messicani, afgani e libanesi, oggi vanta un fatturato annuo di 44 miliardi di euro. (Le quattro mafie italiane muovono 130 miliardi di euro l’anno, ossia il 7 per cento del “pil” italiano). Conoscere la mafia, dunque, ma non per evitarla. La scelta dei temi e l’excursus storico e concettuale che Nicaso sapientemente distilla, fruibili senza il ricorso a vocabolari specifici per decrittare analisi complesse, rivelano l’ obiettivo più ambizioso. Una volta che le società democratiche hanno imparato che la mafia “non è una marca di formaggi”, secondo l’ironia di un vecchio boss di Palermo, Nicaso, che sa quanto manchi alla Calabria il “profumo di libertà”, vorrebbe mettere a disposizione anche questo suo libro non soltanto per irrobustire la memoria corta dell’Italia. Ma soprattutto per rispondere, aiutando a far crescere “il coraggio della paura” (Paolo Borsellino) attraverso l’educazione alla legalità, a quell’uomo del clan Piromalli che, nel 1996 a Milano, dopo aver chiesto un dollaro per ogni container che sbarca nel porto di Gioia Tauro, disse: “Noi siamo là, viviamo là. Abbiamo il passato, il presente, il futuro”. Per dirgli, insomma, che si sbaglia. Che è vero per il passato e per il presente. Ma che il futuro è aperto. E ce lo possiamo ancora giocare…
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