1 ottobre 2010    

Quella "cosa" chiamata 'ndrangheta: parla lo scrittore A. Nicaso (di Romano Pitaro)


“In Calabria, in molti ambiti sociali, da questa organizzazione non si può più prescindere. Sono i politici a cercarla con sempre maggiore frequenza e sono i politici a garantirle quella sopravvivenza che ammorba la nostra società”. Non usa mezzi termini e non fa sconti a nessuno,  quando parla  della ‘ndrangheta. Che,  oggi,  è  “più forte e agguerrita ed ha la testa nel cuore di pietra dell’Aspromonte, ma  può contare su ramificazioni e contatti in Italia, in Europa e nel mondo”.   Antonio Nicaso è   uno che di ‘ndrangheta se ne intende.  Autore  lucido e colto, insegna  “storie delle organizzazioni criminali” al Middlebury  College, in Vermont.   Ha scritto venti libri sulla criminalità organizzata.   Alcuni, veri e propri bestseller tradotti in più lingue (“Fratelli di Sangue” e “La Malapianta”),     assieme a Nicola Gratteri, uno dei giudici più esposti nella lotta contro le ‘ndrine.   E’, insomma,  uno dei massimi esperti  di ‘ndrangheta a  livello internazionale, in grado di “leggere” le  ramificazioni mondiali  della mafia calabrese.  A breve,  Mondadori  manderà in libreria l’ultimo suo lavoro ed il primo del genere: “La mafia spiegata ai ragazzi”. Vive tra  Canada e Stati Uniti,  ma non perde d’occhio la terra in cui e nato ( Caulonia) 46 anni fa,   e dove, di tanto in tanto, fa una capatina. Lo scrittore Antonio Nicaso
Tutti contro la ‘ndrangheta, a viso aperto. Questa volta non ci sono    cattivi  maestri  o “profeti”  che giungono in Calabria  per importare la democrazia.  La manifestazione di Reggio -   sabato prossimo -   nasce qui ed in mezzo alla gente. Chi dice che finora è mancata, in Calabria,  nel contrasto alla criminalità,  la presenza della società civile adesso secondo lei  deve  ricredersi?
Non basta una manifestazione, ne ricordo tante, soprattutto in provincia di Reggio Calabria, dopo gli omicidi di Rocco Gatto e Giuseppe Valarioti, ma anche recentemente dopo l’uccisione di Francesco Fortugno. Sono servite a poco. Di questa manifestazione, comunque, condivido le premesse. Nasce da qui, grazie a un quotidiano che con coraggio affronta ogni giorno il dramma di una terra che, da troppo tempo, convive con la ‘ndrangheta. Per decenni ci hanno fatto credere che la lotta alle mafie fosse soltanto un problema di ordine pubblico, da affrontare con l’esercito, le manette, le sentenze dei tribunali.  Io resto invece dell’avviso che per lottare le mafie c’è bisogno di un esercito di maestri elementari, come sosteneva Gesualdo Bufalino. La lotta alla ‘ndrangheta è un problema culturale. La cultura delle ‘ndrine è diseducativa, come quella di certi politici che ancora si nutrono della logica del compromesso, dell’appartenenza, del diritto che diventa favore. E da qui che bisogna partire, per garantire un ricambio della classe politica, della logica con cui si cerca continuamente il consenso. La Calabria dovrebbe ripartire dalla storia e dalla geografia. Dovrebbe tutelare meglio il suo territorio e dovrebbe indignarsi ogni giorno per lo stato in cui versa. E non soltanto quando la ‘ndrangheta alza il tiro e ammazza qualcuno. Oggi c’è più informazione, ci sono più giornali, c’è più voglia di raccontare questa Calabria che brucia e che frana. Ma c’è anche tanta voglia di riscatto, la vedo negli occhi dei giovani che incontro quando torno nella terra dove sono nato. Mi auguro che questa iniziativa serva a scuotere tutti, ma anche a dare continuità alla protesta, alla reazione di un popolo che vuole respirare il fresco profumo della libertà.
Tutti contro una “cosa” chiamata ‘ndrangheta. Ma cos’è  esattamente  la ‘ndrangheta? 
La ‘ndrangheta oggi è un’organizzazione potente che, dopo aver messo le mani sul traffico internazionale di cocaina, gestisce ricchezza e potere.  Gli ‘ndranghetisti hanno una forte solidità territoriale e non si accontentano solo di accumulare o giustificare ricchezza, vogliono comandare, vogliono decidere, vogliono gestire direttamente il potere. Non solo in Calabria, ma anche nelle altre regioni dove da tempo hanno messo radici.
Intimidazioni a iosa, morti ammazzati  con scelte cinematografiche  nel Soveratese, i  soliti ma immancabili omicidi nel Reggino e poi  la bomba a casa del dottor Di Landro (il procuratore generale presso la Corte d’Appello di Reggio).  Il clima si è  surriscaldato. Come interpreta quanto sta accadendo?
C’è un certo nervosismo. Ci sono molti giovani che scalpitano, come ai tempi in cui in Calabria comandavano Mommo Piromalli, ‘Ntoni Macrì e Mico Tripodo. Siamo in presenza di un forte ricambio generazionale, come negli anni Settanta. Allora come oggi, la ‘ndrangheta non è solo armi e violenza, ma anche menti raffinate, legami con servizi segreti deviati e logge coperte. L’attentato a Di Landro ci schiude scenari inquietanti, ambiti nel quali potrebbero muoversi altri soggetti rispetto alla ‘ndrangheta. Di Landro è un magistrato serio, attento e scrupoloso. Fa ciò che deve fare, cioè il proprio dovere. Ma purtroppo, in Italia e in Calabria in modo particolare, la normalità è rivoluzionaria.
E’ più debole o è più forte oggi la ‘ndrangheta?
Molto più forte e molto più agguerrita. È un’organizzazione che ha la testa nel cuore di pietra dell’Aspromonte, ma che può contare su ramificazioni e contatti dappertutto. in Italia, in Europa e nel mondo. È più ricca, utilizza internet per riciclare denaro, usa Skype per comunicare e si comporta come una multinazionale. Ha però la forza della tradizione, la capacità cioè di coniugare vecchio e nuovo, fortemente tradizionale ed estremamente innovativa.
Come spiega le intimidazioni pressanti a giornalisti, sindacalisti, politici ed amministratori comunali?
La ‘ndrangheta preferisce il silenzio ed era abituata a muoversi nel silenzio. In Calabria oggi ci sono tanti giornali che lavorano con coraggio ed onestà, tra mille pressioni e tante difficoltà. Ma ci sono e danno voce ad una Calabria che vuole cambiare, che non vuole rassegnarsi. Le intimidazioni ci sono sempre state, ma adesso fortunatamente fanno più notizia.
Crede che la ‘ndrangheta  possa essere sgominata? Ci sono,  in Italia,  le condizioni politiche, legislative ed amministrative per sconfiggere la mafia calabrese? 
Su questo ho meno certezze. In Italia non c’è mai stata volontà politica nella lotta alle mafie. Il legislatore ha sempre reagito quando lo Stato è stato attaccato frontalmente con stragi e omicidi eccellenti. Per combattere le mafie, lo Stato dovrebbe processare se stesso. Da sempre, le mafie stanno alla politica come l’acqua sta al pesce, l’una ha bisogno dell’altra. Non bastano gli slogan per combattere le mafie, c’e’ bisogno di riforme normative. Quelle che sono all’esame del legislatore (ddl sulle intercettazioni) non lasciano ben sperare. C’e’ un solo modo per combattere le organizzazioni criminali ed è quello di sequestrare e confiscare i beni illegalmente conseguiti. Bisogna farlo con maggiore decisione, ma soprattutto con continuità. Attualmente, resta nelle mani dello Stato solo il 10 per cento dei beni sequestrati. Qualche modifica è stata fatta, ne servono altre. Invece di bearsi per l’arresto di latitanti, frutto del sacrificio di molti investigatori, bisognerebbe investire di più nella giustizia e nell’azione di prevenzione e contrasto alla criminalità. Partendo dalle scuole…


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