26 agosto 2010    

"Un delitto spettacolare sulla spiaggia di Soverato" (di Romano Pitaro )


Impavido, si muove sulla spiaggia con una pistola in mano. Tra la gente in relax  e i bambini  alle prese con  castelli e buche.  Non l’ha notato nessuno,  o chi l’ha visto s’è girato dall’altra parte, magari  per non frapporsi  all’esecuzione  di un omicidio terribile e cinematografico.  Soverato 22 agosto: “ciack, si gira!”  Il  casco calato  in testa avvolge un  pensiero cupo.  E’ il killer di una domenica d’agosto che  punta la preda e non si distrae.  Il set è stupefacente, la spiaggia fine e calda di  Soverato in un  tardo, caldo, pomeriggio. Quando il killer svanisce su una moto, che più in là  sarà trovata  bruciata,  è il set stesso che deflagra. Alla “mafia dei boschi” piace spettacolarizzare i suoi omicidi.  E’ la sua firma. Non c’è una regia per l’estetica dei delitti, parrebbe di no. Forse è la furibonda violenza che si scatena contro le vittime che di per sé è scenica; genera contrasti cromatici e manda a pezzetti  la normalità.   Quell’atmosfera quasi irreale di un mare placido che si macchia di rosso sangue,  evapora però  in un baleno. Subentra la cruda, tragica, realtà di un delitto di mafia,  e di un’altra vita stroncata.  Non resta, quando la normalità riprende a battere,  dell’assassino  nessuna emozione  e  ricordo filmico. Solo urla e disperazione, adesso. E non provengono da una pellicola o da un cinema.  L’assassinato aveva  quaranta anni,  era sulla spiaggia  con la moglie e il figlio. Reale,  in carne ed ossa. Classificarlo come uno dei delitti della “mafia dei boschi”,  è, involontariamente, insistere sulla parte spettacolare dell’evento.  Doveva essere una tranquilla  giornata di mare ed invece per lui  è stato l’ultimo  bagno.  Avrà pensato che quel giorno la  morte l’attendeva, se l’attendeva,  altrove. Non certo sulla spiaggia e  non  tra la gente;  e che, in quell’altrove, comunque,  lui non ci sarebbe stato.  Ha fatto, invece,  appena in tempo ad accorgersi di quello che gli stava capitando, ma non ha schivato i  colpi di pistola. Uno l’ha centrato alla  testa. In questa Calabria può capitare di tutto. Che tuo figlio faccia un castello  sulla spiaggia e lì accanto un killer agisca indisturbato. Sempre lei, “la mafia dei boschi”, di recente ha fatto fuori due gemelli mentre giocavano a carte. Terribile il duplice omicidio, ma anche incredibilmente  teatrale,  e poi due gemelli... Ci sarebbe da scrivere un dramma: povertà più  sangue più  mafia e destini incrociati.  E’ questo, forse, il “bello” della diretta.  Cioè di una regione che non ha santi in paradiso. Nella Rai, nei grandi giornali, nelle case editrici.  Per cui, orfana di tutto,  si rappresenta da sé.  Attraverso i suoi messaggi più furiosi che coincidono con quelli più orridi e catastrofici.  Costruisce da sé, istintivamente, senza alcuna mediazione, nell’immaginario collettivo internazionale,  un profilo e una narrazione, utilizzando materiale rudimentale e trame primitive, benché nascondano interessi economici e traffici illegali dai guadagni colossali. Un turista inglese, che domenica  si fosse trovato a Soverato, avrebbe pensato alla  scena di un  film  girata sotto gli occhi dei bagnanti  pagati per non accorgersi di niente (fino al rumore degli spari) ed a cui il pistolero intima, a missione compiuta, di farsi i fatti loro. Come nei migliori western. La resa dei conti ha bisogno di uno scenario variopinto e di un  pubblico,  sbigottito sì  ma che lasci fare, o che, se le cose si mettono proprio male,  corra a nascondersi nelle stanze delle prostitute  del saloon.  Capita che la Calabria finisca nei film.  E’ interessante l’ostinazione a durare della ‘Ndrangheta, che, mitizzata per l’impermeabilità parentale, assurge al  ruolo di prima donna tra le mafie mondiali tutto il resto, che si agita nella regione che ha partorito la ‘Ndrangheta,  è grigiore che non suscita attenzione,  perché non scatena violente reazioni nei calabresi. Capita che la Calabria finisca in  pellicole dalle  immaginarie concatenazioni psicologiche che inevitabilmente distorcono il senso del reale. Capita che l’astrazione dei dati reali dia di noi al mondo intero  una sensazione gradevole e che altre volte, al contrario,  ci offenda, fino a farci venire la gotta.  E capita anche, come l’altro giorno a Soverato,   che la Calabria sia il film di se stessa.  Questa Calabria ignorata dai potenti circuiti della  comunicazione scritta ed audiovisiva, buca  il  video a colpi di pistola e con omicidi sensazionali. Una grande scena di sangue che ha come  sfondo un tramonto che precipita nel “Mare Nostrum”.  Un film che si dipana senza uno scopo editoriale, privo di un regista dal cappello a larghe tese e di grandi attori protagonisti,  e senza l’aspirazione di finire nelle sale cinematografiche. Plasmato soltanto  con il sangue e la morte  di una criminalità feroce, che ha regole dure  e  leggi ferree, che rischia di sovrapporsi, sistematicamente,  alla realtà delle persone comuni di cui pure è fatta la Calabria.  Quell’omicidio efferato, quel passo rapido e sicuro del killer dal volto nascosto che corre via con una moto e quegli spari che rovinano l’incanto di una giornata estiva, finiscono nelle prime dei giornali e nell’apertura dei tg. Della seduta “urgente” del consiglio comunale di Soverato, tenutasi ieri sera per parlare di criminalità,  è quasi ovvio che non se ne occuperà nessuno dei tg nazionali. Che vuoi che interessi la reazione della gente! Per richiamare ancora l’attenzione dell’opinione pubblica italiana su Soverato e le Serre, ci vorrà un altro morto ammazzato. E, si badi, non dovrà trattarsi di una morte stereotipata, un colpo di fucile e basta  in una strada  appartata. Ma dovrà essere  un omicidio  le cui dinamiche non verrebbero in mente, per movenze  e colpi di scena,  neppure a Coppola, Leone, Spielberg…
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