24 ottobre 2005    

Chi ha ucciso Fortugno deve pagare (di Marco Minniti*)




MARCO MINNITI “La ringrazio, Presidente, per avere convocato insieme con l’Ufficio di Presidenza questo appuntamento straordinario, che rappresenta un momento di particolare rilevanza per la vita democratica della nostra regione.
Oggi è un momento di dolore, di indignazione e – posso aggiungere un altro termine? – di rabbia. Con troppa facilità noi cancelliamo questo termine dal nostro vocabolario, pensiamo che sia politicamente scorretto. Io penso che, invece, sia arrivato il momento di dire con chiarezza che noi siamo molto arrabbiati. Cos’altro deve succedere in questo lembo d’Italia, perché si dica con chiarezza che siamo andati oltre ogni limite?!
Ho ascoltato le sue parole, Presidente, ho ascoltato le parole del Presidente Loiero, le considero del tutto appropriate: non siamo più all’allarme rosso, siamo ben oltre tutto ciò. Quello che è avvenuto ieri non è soltanto un colpo alle speranze, alle ambizioni dei calabresi, è una drammatica sconfitta dello Stato democratico: quando si uccide in quel modo una persona perbene, è una sconfitta dell’Italia, non è soltanto un problema della Calabria. E’ bene che questo lo si capisca fino in fondo, qui in Calabria, tutti quanti insieme, ma lo si capisca anche fuori dai confini di questa regione.
L’omicidio di Francesco Fortugno è stato compiuto dalla mafia, ma con un chiaro e fortissimo messaggio politico: la mafia sceglie attentamente non solo le vittime, ma anche le modalità, i luoghi e le date e non sfugge a nessuno che, ieri, era un momento importante nella vita del nostro Paese – e quando dico questo, lo dico rispettando anche coloro che a questo impegno non hanno partecipato – e il fatto che si uccida un consigliere regionale, un rappresentante delle massime istituzioni calabresi in un seggio elettorale per le consultazioni primarie rappresenta un segnale inequivoco.
Guardate, quello è un appuntamento democratico e riguardava, certo, una coalizione, non tutto il Paese, ma rappresentava, in qualche modo, un messaggio, un segnale di democrazia e di partecipazione ed averlo ucciso in quel modo, con quella modalità, un raffinato omicidio anche dal punto di vista strettamente militare, è un segnale che deve essere colto fino in fondo da tutta la democrazia calabrese. Quando dico questo, parlo agli uomini della maggioranza in questa Regione, ma anche agli uomini dell’opposizione. E’ un segnale che riguarda tutti, che in sostanza pone una questione che è più di fondo, cioè se in Calabria c’è una democrazia effettivamente padrona di se stessa oppure è una democrazia in ostaggio!
Se volete sapere la mia opinione e fino in fondo, dobbiamo parlare le cose con il linguaggio della verità tra di noi. Oggi, in Calabria, c’è una democrazia che è in ostaggio, la si condiziona pesantemente, questi i segnali delle intimidazioni, dei messaggi contro tutti (i sindaci, gli amministratori, i rappresentanti degli enti locali, il Presidente Loiero, l’assessore alla sanità, chiunque), per poi arrivare all’omicidio. In qualche modo, la sensazione che si ha è che c’è una forza – la ‘ndrangheta – che lancia un messaggio: ‘In Calabria tutto può cambiare, purché si fermi alla pura formalità! Se cambia qualcosa di sostanziale, non si può andare avanti!’. Questo è un campanello drammatico, è una campana a morte per la democrazia, non parlo solo per il centro-sinistra, parlo per la politica in quanto tale che ha scritto nel suo Dna la volontà di poter cambiare le cose. Naturalmente, poi, ognuno le cambia secondo il suo progetto, in una direzione o in un’altra, ma le vuole cambiare. Qui c’è una forza potente che dice che, se si cambia, non si può!
E’ impressionante tutto ciò e dobbiamo dirlo che questo è un problema che non può essere limitato soltanto alla buona volontà dei calabresi. Qui siamo in tanti oggi, è un segnale straordinario, tuttavia non è sufficiente.
Vedete, penso che sia Bova che Loiero abbiano una straordinaria ragione nel dire che la cosa che dobbiamo di più temere – e mi avvio rapidamente alla conclusione – è quella di una risposta ordinaria. L’angoscia più grande che ho è quella che, passate le prime ore, i primi giorni, poi tutto ritorni come prima. Abbiamo una storia che ci dice che così, purtroppo, si è fatto tante volte. Non sarebbe una novità il fatto che tutto venisse inghiottito dall’ordinaria amministrazione, sarebbe una straordinaria novità se cambiasse davvero profondamente nel tempo qualcosa!
E’ per questo, allora, che da un lato chiediamo che quello che è avvenuto non sia sottovalutato – non è una formula di rito perché, finora, si è drammaticamente sottovalutato – e, dall’altro, che ci sia una risposta unitaria. Certo, la lotta alla mafia ha bisogno di risposta unitaria, ma – posso aggiungere un’altra cosa? – una risposta unitaria ma non indistinta, non una confusa risposta, ma che sia in grado, invece, di dire con chiarezza che ci aspettiamo una risposta durissima sul terreno della prevenzione e della repressione.
Guardate, c’è un segnale che deve essere colto: nel momento in cui si colpiscono le istituzioni, come sono colpite uccidendo Franco Fortugno, non le istituzioni calabresi, quelle italiane, la Repubblica italiana reagisce durissimamente. Reagire durissimamente significa che chi ha compiuto quell’omicidio deve pagare e deve pentirsi di averlo fatto!
Quindi significa risposta anche sul terreno della repressione, significa essere all’altezza di questa sfida. Se, invece, si continua con l’ordinaria amministrazione, col tic-tac dell’ordinaria amministrazione, noi non ce la facciamo.
Allora, se questo è, bisogna superare tutte le inerzie, non possiamo permetterci più nulla, inerzie nei settori e negli organismi dello Stato preposti a combattere la criminalità organizzata, non possiamo permetterci buchi, connivenze, complicità; non possiamo permetterci più nulla, altrimenti la partita è finita!
E poi c’è una risposta, una risposta politica. Io penso, Presidente, che abbiamo il dovere, se ce la facciamo – faccio una proposta – che, accanto alla giusta iniziativa che lei ha qui proposto di un passaggio formale di questa Assemblea con il Presidente della Repubblica, che mi pare una cosa molto giusta e doverosa, si sia capaci, passato l’elemento dell’emozione, di promuovere una strategia di iniziativa di popolo promossa dall’intero Consiglio regionale, uno straordinario momento di incontro con i calabresi che dia il senso forte di una democrazia che, al suo interno, ha progetti alternativi, perché non c’è dubbio che c’è una differenza radicale – e questo lo “rivendico” – tra centro-sinistra e centro-destra, ma sapendo che questa democrazia ha anche la forza, di fronte ad una sfida drammatica, di unirsi, di dare un segnale molto forte, cioè che sia di fiducia, perché il rischio più drammatico che abbiamo di fronte è che i calabresi perdano la fiducia.
Ecco, la risposta che noi dobbiamo a questa situazione è insieme solidale ed intransigente. Lo dobbiamo a Franco, ai calabresi, ai nostri figli, sapendo che oggi la battaglia contro la mafia, al di là di ogni slogan, è molto concreta e riguarda le libertà individuali e collettive di ciascuno di noi, in una parola, riguarda la democrazia”.
 

* Parlamentare e responsabile nazionale Democratici di sinistra sulle questioni della sicurezza
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