24 ottobre 2005    

Fortugno: un politico perbene (di Romano Pitaro)







Con le braccia intrecciate, sprofondato in una sedia, Franco Fortugno, vicepresidente del Consiglio regionale, sfoggiava il suo sorriso mite di sempre.  FRANCO FORTUGNO

Chissà se quella sera piovosa d’ottobre  a New York, in un ristorante giapponese,  Nobu,  lui, discreto e restio alle polemiche, immaginava che la sua morte avrebbe scatenato un putiferio in Calabria e nel Paese. Un dibattito in Consiglio regionale convocato subito dal presidente Bova. Il sopraggiungere del Presidente della Repubblica. Un dibattito  in Parlamento e  “il risveglio dei grandi partiti sul caso Calabria”, come ha notato monsignor Brigantini nell’omelia funebre. 

Dopo il suo assassinio la Calabria non è più la stessa. E il Paese guarda la Calabria diversamente.  Non più  terra dove i politici sono collusi, tutti  mestatori e chiùpilupetutti . Ma dove l’assassinio di un politico perbene  scatena una solidarietà ampia, interminabile.  Ci sono anche politici buoni, anche politici che quando muoiono strappano emozioni nei giovani.  Nella gente. E   suscitano sdegno.

La ‘ndrangheta ha visto male. Ha colpito il “politico di ogni giorno”, come è stato definito Fortugno.  Quello che non ha agganci mafiosi e non sfoggia l’arroganza del potere.  Che parla con la gente e ne incarna le istanze. Ha colpito e provocato una reazione che ha tutta l’aria di essere assai seria.  Fortugno può essere  il seme morto del Vangelo che produrrà frutto. 

L’assassino del vicepresidente del Consiglio regionale  ha umanizzato la politica calabrese. Ha fatto vedere  al Paese che la politica in Calabria non è soltanto mele marce.  E’ anche cortesia e  disponibilità. Umanità. Capacità  di stare nel Palazzo senza degenerare.  Lavoro quotidiano svolto con dedizione.    

In quella serata newyorkese  Fortugno non immaginava che la  morte lo stava spiando.    Era pieno di vita, la moglie   accanto. Raggiante. La sera prima aveva completato la sua missione all’estero da capo delegazione del Consiglio, cenando assieme al Governatore del West Virginia e ottenendo l’impegno di una visita ad aprile in Calabria di Joe Manchin III. Un gemellaggio perfezionato tra due realtà demograficamente omogenee e simili nei tratti geografici di fondo.

Sembrava un’impresa impossibile incontrare il Governatore, visto che il viaggio aveva subito dei ritardi, ma Fortugno c’era riuscito. Tutto era andato bene.  La premiazione dei calabresi illustri di New York, l’accordo con Manchin.  Mancava la sfilata del Columbus Day e Fortugno voleva a tutti i costi che, per la prima volta, il Consiglio sfilasse con la Giunta. Insieme sulla  Fifth Avenue, “perché – diceva – siamo una sola famiglia. E’ un’assurdità fare due  cose diverse in una città come New York. Che immagine daremmo  della Calabria?”.

Immaginava quella sera, mangiando poco   perché il sushi  non gli andavano a genio,  il ritorno in Calabria del nipote di uno dei minatori di San Giovanni in Fiore che hanno reso grande l’America e lavorato nella miniera di Monongah. Rideva quando ipotizzavamo un colloquio impossibile fra il nonno Manchin I,  calabrese analfabeta   dei primi del Novecento, e il nipote, Manchin III,  studi in economia e oggi l ‘uomo politico più importante dello Stato del West Virginia.  Cosa si sarebbero raccontati? 

Rifletteva Fortugno. Non sapeva, abbracciando la moglie e ritornando in albergo  sotto la pioggia di New York che, in qualche luogo, qualcuno  aveva deciso la sua condanna a morte.  Restava solo  da capire dove/come/quando. L’idea di  rappresentare la Regione  all’estero per  intrecciare relazioni con le tante “Calabrie” sparse nel mondo lo avvinceva. Non immaginava che un  killer l’avrebbe messo fuori gioco pochi giorni dopo il suo rientro dagli Stati Uniti.    Tolto di mezzo con cinque colpi di pistola. Nessuno  l’immaginava. Fortugno  era un politico al di sopra di certe contaminazioni. Perbene.  Si dice cosi  di un uomo che non ha rapporti con la mafia e   che non sperpera risorse pubbliche.

Oggi la sua morte scuote  la Calabria fin nelle fibre più remote. Scuote la politica. I calabresi.  Suscita polemiche. S’incendiano le coscienze. I giovani scendono in piazza. Scrivono di ‘ndrangheta firme prestigiose sui quotidiani.  Si smuovono pezzi dello Stato. Prima di partire per gli Stati Uniti ho cliccato il suo nome  sulle agenzie di stampa e non è apparsa che una pagina bianca. Ho rifatto la stessa operazione ieri  e  Fortugno era presente ovunque. La sua fine l’ha reso celebre;  e lui questa celebrità naturalmente non l’ha richiesta.  Anche per questo la sua fine ci mette paura.  E ci fa riflettere su chi siamo e chi potremmo diventare. Sul destino che  gioca con le nostre carte  e sui mutamenti che si hanno quanto altri le mischiano a nostra insaputa.  

Si discuterà tantissimo nei giorni a venire. Fortugno rimarrà indelebile,  anche perché l’Aula del Consiglio regionale porterà il suo nome. Ottima scelta. Sicuramente qualcosa accadrà nei prossimi mesi. Lo Stato reagirà. Certamente noi saremo diversi.  Anche se, almeno per chi l’ha conosciuto, il sorriso buono di Franco Fortugno, medico ed onorevole cortese, sarà l’assenza che intristirà l’Astronave istituzionale.  

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