Definita la squadra del governo regionale dal presidente Scopelliti, il quattordicesimo Presidente, inizia - su uno sfondo economico e sociale gravemente problematico - con l’elezione di Talarico a Presidente ( l’undicesimo ) del Consiglio regionale, la IX legislatura.
Dopo i cinque anni del centrosinistra alla guida della Regione che vinse, nel 2005, grazie alla protesta e al disagio derivanti dai cinque anni del centrodestra vittorioso nel 2000, la prima riflessione è che la politica ha avuto, almeno fin qui, difficoltà ad esprimere leadership in grado di non farsi condizionare dagli interessi organizzati sul territorio nella ripartizione della spesa pubblica e nell’assumere decisioni volte a fare della Calabria una regione normale. Le fragilità del sistema – regione hanno sminuito ogni ipotesi di grande svolta, qualsiasi audacia politica e ogni coraggio riformista.
Oggi però il quadro nazionale è molto cambiato. Se negli anni scorsi era ipotizzabile un conflitto tra chi la Regione intendeva “rivoltarla come un calzino” -almeno a parole - e chi teorizzava, dentro il filone del riformismo in salsa calabra, il “non toccare nulla” e procedere a partire dal rispetto dello status quo, la realtà con cui fare i conti adesso è ben diversa. E se si indulgesse negli errori di sempre, per la Calabria sarebbe un guaio.
Ragionare, quindi, con le categorie politiche di cinque anni fa, quando forse ancora era possibile contare sulla solidarietà nazionale, sarebbe uno sbaglio. Lo scenario italiano ed europeo si è molto ristretto per chi, come la Calabria, ha accumulato nei decenni troppi ritardi ed a Parma, l’altro giorno, la Confindustria ha certificato che la crisi economica morde più di quanto non si dica (“la malattia è grave”). Ogni indicatore attendibile, inoltre, mette in cattiva luce il Sud e le sue aree più svantaggiate.
Non è superfluo, pertanto, segnalare due coincidenze da tener d’occhio con attenzione. Onde evitare che, come è già accaduto in passato, superata la fase dell’euforia, la politica, sommersa dalle solite ma nel frattempo acuite emergenze quotidiane, smarrisca progetti ed orizzonti. Quanto sta accadendo in Italia esige lucidità ed accortezza. Per cui, se la Calabria non vuole finire nel tritacarne, ha bisogno di avere, in tempi stretti, una Regione non ferma ma in movimento, non paralizzata da veti ma leggera e decisionista. Una Regione, in sostanza, capace di reagire adeguatamente, qualora prendesse corpo un’architettura istituzionale sfavorevole al Mezzogiorno.
La prima coincidenza è data dai quarant’anni della Regione i cui esiti sono deludenti. Il ‘regionalismo’, come si è dispiegato in Calabria, fa fatica a stare al passo coi tempi. Le modifiche elettorali del 1995 e quella del 2000 con l’introduzione dell’elezione diretta del Presidente, non sono valse a ristrutturare un ‘regionalismo’ su cui il tempo è stato impietoso.
Al momento la Calabria non è attrezzata per fronteggiare gl’incalzanti eventi nazionali ed internazionali. Gli strumenti a sua disposizione non sono incisivi, i tempi per concretizzare idee o per il conseguimento dei risultati legislativi sono lunghi, estenuanti. Ciò che il neo Presidente del Consiglio regionale promette è quanto mai urgente: disboscare l’enorme selva legislativa e colmarne le lacune. Spesso, tra l’altro, non si sa neppure se una legge ha prodotto effetti e in che misura. In queste condizioni, fatta salva la buona volontà, è come andare alla guerra nucleare armati di spade e scudi.
Se, poniamo, il federalismo che si ha in mente fosse aggressivo, la Calabria semplicemente non lo sopporterebbe e il rischio che esplodano violente crisi sociali non è da sottovalutare. I ‘moti’ di Rosarno di gennaio, aldilà delle polemiche sull’immigrazione, denunciano che quando si sommano ai bisogni del territorio insoddisfatti nuovi disagi sociali, le reazioni si fanno virulente e imprevedibili. L’altra coincidenza da segnalare è più scivolosa: lo scontro politico, nel Paese, al netto delle polemiche di rito, non è più fra destra/sinistra.
Proprio in vista del 150° dell’Unità del Paese, assistiamo al tentativo del Nord (di una parte perlomeno) di sganciare il Sud, accusato d’ essere spendaccione, stracarico di problemi, mafioso e non riformabile. Lo scontro oggi è sull’asse Nord/Sud. Come lasciano intendere sia il presidente Napolitano che la Chiesa con i richiami a non sottovalutare il 150° compleanno dell’Unità. La storia del Paese, come si è snocciolata dal 1861 fino a tutta la prima Repubblica, narra come aree economicamente disomogenee possano coesistere grazie alla mediazione politica e culturale.
Però adesso la querelle potrebbe sfuggire di mano. Il Nord ritiene di dover competere con le aree europee ricche, quindi non ha più voglia di sobbarcarsi i costi finanziari per sfamare la ‘bestia’ meridionale.
L’opinione di Luca Ricolfi (‘La Stampa’) è che il trionfo della Lega ha come conseguenza mutamenti nella struttura profonda del sistema politico italiano. Succede pertanto che, mentre in Calabria la Regione ed i suoi vertici si preparano a misurarsi con i cento problemi, Il Nord che ha voluto l’Unità adesso la vorrebbe disfare o ridisegnare a modo suo. Insomma, la IX legislatura regionale s’affaccia su una piazza che lascia presagire scintille. Ci sarebbe bisogno di focalizzare bene le dinamiche che sono state attivate nel Paese. Troppo poco è accontentarsi dell’unica sintesi su cui al momento, dopo quattro decenni di Regione, si conviene, ossia che ogni cinque anni i calabresi buttano giù chi governa. C’è bisogno di attivare subito su questi temi i saperi di cui si dispone e fare analisi puntuali e individuare le giuste terapie da mettere a disposizione della Regione.
Discutere sulle cause del crescente dislivello di sviluppo tra la Calabria ed il Paese e sul ‘grippaggio’ politico /amministrativo da rimuovere, se non si vogliono altre inefficienze e diseconomie. Altrettanto auspicabile è provocare una reazione del sistema delle autonomie locali, che va sottratto dal cono d’ombra in cui s’è cacciato. Una reazione come quella dei comuni lombardi che addirittura protestano contro il Governo, in virtù della loro autonomia e degli interessi dei cittadini rappresentati, se in Calabria non prende corpo non è perché manchino i presupposti, ma perché il sistema degli enti locali è frantumato.
Governare una terra complessa come questa ed in questa congiuntura non è una passeggiata. La Regione Calabria ha oggi i mezzi per interloquire proficuamente col Governo ed ha una leadership giovane e pugnace.
Il primo Presidente della Regione è stato Antonio Guarasci (1970/1974), un democristiano tutto d’un pezzo. Uno che ha fatto la battaglia in Africa di El Alamein e del cui senso delle istituzioni si discute ancora nelle aule universitarie. Ecco: la Regione che i calabresi hanno voluto, in maniera netta, col voto del 28/29 marzo, deve scegliere qual è il solco che intende imprimere al suo cammino. Se ispirarsi allo stile di Guarasci e volare alto o limitarsi ad emulare, di sicuro migliorandone la performance, l’empirismo cui la Calabria è stata abituata e i cui esiti sono sotto gli occhi di tutti. Ben sapendo che le due scelte implicano conseguenze assai differenti.