14 maggio 2010    

Inizia la IX Legislatura: due coincidenze da segnalare (di Romano Pitaro)


Definita la squadra del governo regionale dal presidente   Scopelliti, il quattordicesimo Presidente,   inizia  - su uno sfondo economico e sociale  gravemente  problematico -   con l’elezione di    Talarico a  Presidente ( l’undicesimo ) del Consiglio regionale,  la IX legislatura. 

Dopo i cinque anni del centrosinistra alla guida della Regione che vinse,  nel 2005, grazie alla  protesta e al disagio derivanti  dai cinque anni del centrodestra vittorioso nel 2000,  la prima riflessione   è che la politica ha avuto, almeno  fin qui,   difficoltà ad esprimere leadership in grado   di non farsi condizionare dagli interessi organizzati sul  territorio   nella ripartizione   della spesa pubblica e nell’assumere  decisioni volte  a  fare  della Calabria una regione normale.  Le fragilità del sistema – regione  hanno sminuito  ogni ipotesi di  grande svolta, qualsiasi  audacia politica  e ogni  coraggio riformista. 

Il Presidente del Consiglio Francesco Talarico nel suo discorso di insediamentoOggi però il quadro nazionale è molto cambiato. Se negli anni scorsi  era ipotizzabile un conflitto  tra chi la Regione intendeva “rivoltarla come un calzino” -almeno a parole -  e chi teorizzava, dentro il filone  del riformismo in salsa calabra,  il “non toccare nulla” e   procedere   a partire dal rispetto dello status quo,   la realtà con cui fare i conti  adesso  è ben  diversa. E  se si indulgesse negli errori di sempre, per la Calabria sarebbe un guaio.

Ragionare, quindi,  con le categorie politiche  di cinque anni fa, quando forse ancora era  possibile contare sulla  solidarietà nazionale, sarebbe uno sbaglio.   Lo scenario italiano ed europeo si  è molto ristretto per chi, come la Calabria, ha accumulato nei decenni troppi ritardi ed a Parma, l’altro giorno,   la Confindustria ha certificato che la crisi economica  morde più di quanto non si dica (“la malattia è grave”). Ogni indicatore attendibile, inoltre,  mette in cattiva luce il Sud e le sue aree più svantaggiate.

Non  è superfluo, pertanto,  segnalare due  coincidenze da tener  d’occhio con attenzione.  Onde evitare che, come è già accaduto in passato,   superata la fase dell’euforia,  la politica, sommersa dalle solite ma  nel frattempo acuite  emergenze quotidiane, smarrisca progetti  ed   orizzonti.   Quanto sta accadendo in Italia   esige lucidità ed accortezza.    Per cui,  se  la Calabria non vuole finire nel tritacarne,  ha   bisogno   di avere, in tempi stretti,   una Regione non ferma ma  in movimento, non paralizzata da veti ma  leggera e decisionista.  Una Regione, in sostanza,  capace di reagire adeguatamente, qualora prendesse corpo un’architettura  istituzionale  sfavorevole al Mezzogiorno.

La  prima coincidenza  è data dai  quarant’anni della  Regione  i cui esiti sono  deludenti.  Il   ‘regionalismo’, come si è    dispiegato in Calabria,  fa fatica a stare al passo coi tempi.  Le modifiche elettorali del 1995 e quella  del 2000 con l’introduzione dell’elezione diretta del Presidente,  non sono valse a ristrutturare un  ‘regionalismo’ su cui il tempo è stato impietoso.

Al  momento la Calabria    non è attrezzata per  fronteggiare gl’incalzanti eventi nazionali ed internazionali.  Gli strumenti a sua disposizione non sono incisivi, i tempi per  concretizzare idee   o per il conseguimento dei risultati legislativi sono  lunghi, estenuanti. Ciò che  il neo Presidente del Consiglio regionale promette  è quanto mai  urgente: disboscare l’enorme  selva legislativa e colmarne le lacune.  Spesso, tra l’altro, non si sa neppure se una legge ha prodotto effetti e in che misura. In queste condizioni, fatta salva la buona volontà,  è come andare alla guerra nucleare armati di  spade e scudi. 

Se, poniamo,  il federalismo che si ha in mente  fosse  aggressivo,  la Calabria semplicemente non lo sopporterebbe  e il rischio che esplodano violente crisi sociali non è da sottovalutare. I ‘moti’ di Rosarno di gennaio, aldilà delle polemiche sull’immigrazione, denunciano che quando si sommano ai bisogni del territorio insoddisfatti  nuovi  disagi sociali, le reazioni si fanno  virulente e imprevedibili.  L’altra coincidenza da segnalare  è più scivolosa: lo scontro politico,  nel Paese, al netto delle polemiche di rito,   non è  più fra  destra/sinistra.   

Proprio in vista del 150° dell’Unità del Paese, assistiamo al tentativo del Nord (di una parte perlomeno)  di sganciare il Sud, accusato d’ essere spendaccione, stracarico di problemi, mafioso  e  non riformabile.  Lo scontro oggi è sull’asse Nord/Sud. Come lasciano intendere sia il presidente Napolitano che la Chiesa con i  richiami a non sottovalutare il 150° compleanno dell’Unità.  La storia del Paese, come si è snocciolata dal 1861 fino a tutta la prima Repubblica, narra come aree economicamente disomogenee possano coesistere grazie alla mediazione politica e culturale.

Però adesso la querelle potrebbe   sfuggire di mano. Il Nord ritiene di dover competere con le aree europee ricche,  quindi  non ha più voglia di sobbarcarsi i costi finanziari per sfamare la ‘bestia’ meridionale.

L’opinione di  Luca Ricolfi (‘La Stampa’) è che il trionfo della Lega ha come conseguenza mutamenti nella struttura profonda del sistema politico italiano. Succede pertanto  che, mentre in Calabria la Regione ed i suoi vertici  si preparano  a misurarsi con i cento problemi,  Il Nord  che  ha voluto l’Unità adesso  la vorrebbe  disfare o  ridisegnare a modo suo. Insomma,  la IX legislatura regionale s’affaccia su una piazza    che lascia presagire scintille. Ci sarebbe  bisogno di  focalizzare bene le dinamiche che sono state attivate nel Paese. Troppo poco è accontentarsi dell’unica   sintesi su cui al momento, dopo quattro decenni di Regione,   si conviene,  ossia   che ogni cinque anni i calabresi buttano giù chi governa. C’è bisogno di attivare subito su questi temi i saperi di cui si dispone e fare analisi puntuali e individuare le giuste  terapie da mettere a disposizione della Regione. 

Discutere sulle cause del crescente  dislivello di sviluppo tra la Calabria ed il Paese e sul  ‘grippaggio’ politico /amministrativo  da rimuovere, se non si vogliono altre   inefficienze e diseconomie. Altrettanto auspicabile è  provocare  una reazione  del sistema delle autonomie locali, che va sottratto  dal cono d’ombra in cui s’è cacciato.  Una  reazione come quella  dei comuni lombardi che addirittura  protestano contro il Governo, in virtù della loro autonomia e degli interessi dei cittadini rappresentati, se in Calabria non prende corpo non è perché manchino i presupposti, ma   perché il sistema degli enti locali è frantumato. 

Governare una terra complessa come questa ed in questa congiuntura  non è una passeggiata.   La Regione Calabria ha oggi  i mezzi   per  interloquire proficuamente  col Governo ed ha  una leadership giovane e pugnace.

Il primo Presidente della Regione   è stato Antonio Guarasci (1970/1974), un democristiano tutto d’un pezzo. Uno che ha fatto la battaglia in Africa di El Alamein  e del  cui senso delle istituzioni si discute ancora  nelle aule universitarie.  Ecco: la Regione che i calabresi hanno voluto, in maniera netta,  col voto del 28/29 marzo,  deve scegliere  qual è il solco  che intende  imprimere al suo cammino.  Se ispirarsi allo stile di  Guarasci e volare alto  o limitarsi ad  emulare,   di sicuro migliorandone la performance,  l’empirismo cui la Calabria è stata abituata e i cui esiti sono sotto gli occhi di tutti. Ben sapendo che le due scelte implicano conseguenze assai differenti. 


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