2 aprile 2010    

La sfida che attende i «Governatori» del Sud (di Romano Pitaro)


Se comanda la Lega cosa ne sarà del Sud?  E’ stupefacente constatare come  tra le innumerevoli  analisi dei flussi elettorali e sullo spostamento dei rapporti di forza all’interno della maggioranza di centrodestra, questa domanda abbia poca o nulla attenzione.


E’ vero,  quella che si staglia  oggi dinanzi ai nostri occhi   non è più la Lega pura e razzista,   del durismo bossiano dichiarato senza reticenza.  Appare come una forza tranquilla.  Specie con l’ interpretazione che ne fa il ministro Maroni,   il cui impegno nell’inverare il diritto alla sicurezza è apprezzato dal cittadino ‘impaurito’.  L'Italia delle Regioni
Tenta, in ogni occasione pubblica,  di mimetizzarsi come forza politica tollerante che, grazie alla sua fisionomia  identitaria e al suo fitto  legame col territorio, guadagna consensi in quantità massicce.  Ha reso accettabile, a volte anche ai più fini palati amanti delle posizioni terze,  il suo menu culturale intriso  di simboli abborracciati  e suoni abusati.
La Lega ha ottenuto fin qui, grazie alla golden share che esercita su un Pdl rissoso, l’approvazione del federalismo fiscale. Ha stravinto al Nord, dilaga al Centro (Emilia Romagna, Liguria, Toscana), copre i vuoti cosmici lasciati dai partiti  di centrosinistra e di centrodestra. E’ l’unica forza di maggioranza con un progetto e una leadership indiscussa. Ma se non ostenta la sua essenza profonda ( che  si coglie bene in alcuni servizi televisivi   in cui l’immigrato e il Sud sono visti come i mali di cui il Paese deve  liberarsi se vuole risolvere la crisi economica e il  disagio sociale);  se non ostenta le  ragioni di fondo da cui è mossa ( prima fra tutte,   sganciare il Mezzogiorno depresso dalla ricca  locomotiva nordica); e se, infine,  non manda a quel paese il Pdl (considerato  come una combriccola fracassona) che non gode di buona salute (domenica scorsa  ha perso  un milione di voti, come documenta  l’Istituto Cattaneo),  è perché la Lega di Bossi ha ancora  da farsi approvare i decreti attuativi del federalismo fiscale.
E’ li che si consumerà la crisi della maggioranza, se  dovessero insorgere orgogli politici e culturali. Ed è sempre  lì che sarà palese l’insofferenza della Lega verso la ‘bestia’ meridionale  il cui torto è, secondo i Leghisti, di essere antropologicamente incapace di darsi da fare per produrre ricchezza e di essere geneticamente votata allo scrocco di risorse pubbliche generate dal Nord. 
Lo scombussolamento che affligge i due partiti principali, il Pdl e il  Pd (che  ha perso 2 milioni di voti ed ha fallito ogni tentativo di resistenza al Nord anche nella versione appena  accennata  del Pd del Nord), rischia di provocare, in questo quadro, danni gravissimi all’unità del Paese.  E’ verosimile attendersi, infatti,  se non interverranno decisioni drastiche, al momento  difficili  da ipotizzare, che con i grossi risultati ottenuti dalla Lega nelle regioni del Nord e del Centro, l’attenzione dei politici ex An oggi nel Pdl (tradizionalmente attenti alle ragioni del Sud e della Nazione) si sposterà sensibilmente dal  Nord al Centro/Sud.  Lasciando del tutto campo libero ai Leghisti nel Nord che già  dilagano negli spazi pubblici  con slogan   primitivi e dal sicuro  accento anticostituzionale. Nel contempo  Berlusconi,  già  ostaggio della Lega, privo di qualsiasi strategia nazionale che includa il Sud,  finirà col cedere incondizionatamente  ai suoi diktat, considerato che la sua attenzione è  assorbita da assilli giudiziari privati cui intende dare  sbocco attraverso discutibili  disegni di riforma costituzionale da suggellare con l’elezione diretta (la sua) del Presidente della Repubblica. Ciò significherà condividere in toto, da parte del Pdl di Berlsuconi,   la tesi di fondo  della Lega, secondo cui la crisi del Nord si risolvere mollando definitivamente  il Sud  spendaccione e incapace di ridurre il gap di sviluppo che lo separa dalle altre aree dell’Europa ricca, al suo destino di emarginazione sociale e di povertà. 
In sostanza, il pensiero forte della maggioranza è  espresso dalla Lega (il triangolo Bossi/Berlusconi/Tremonti)  ed ha i tratti dell’antimeridionalismo più marcato.  I contraccolpi di Fini sono motivati anche da questa amara constatazione, ma l’impressione è che Fini non abbia più le divisioni  per ostacolare la deriva del Pdl come forza nazionale  di destra liberale nè l’avanzata dell’ideologia leghista.  Anzi: il centrodestra, per come si presenta, dopo avere sdoganato la Lega (insieme al centrosinistra) è lo strumento ideale  per far esplodere le pulsioni secessioniste. 
Ha visto bene  l’economista Gianfranco Viesti nell’asserire che l’Italia “sembra avviata a velocità crescente verso una secessione di fatto”. Ma soprattutto è illuminante l’affermazione secondo cui “il disinteresse delle classi dirigenti per il presente ed il futuro del Sud nasconde il disinteresse per il presente ed il futuro dell’intero Paese”. 
Se non si ha la capacità di pensare a come sarà l’Italia da qui al 2030 (  il vero nodo), le sue scuole, il mondo del lavoro, i servizi pubblici,  a  prevalere sono  gli interessi organizzati, i disegni  particolari, la secessione di fatto che, se non è ancora istituzionale,  lo è quanto meno sul piano psicologico e culturale.
La domanda, prima che sia troppo tardi,  su cosa fare e come reagire  non deve porsela solo l’opposizione, che pure stenta a declinare con  vigore  le ragioni del Sud,  ma anche il pezzo di classe dirigente del Pdl che è radicato nel Sud. C’è da sperare che i Presidenti di Regione del centrodestra appena eletti nelle regioni meridionali facciamo vedere gli attributi.  Sono eletti per cinque anni, nessuno può disarcionarli. E nessuno può ragionevolmente  pensare di costruire una leadership autorevole, di cui valga la pena ricordarsi, se il territorio che si è chiamati  a governare è sistematicamente  calpestato. Nessuna ragion di Stato (tantomeno di partito) può imporre ai governatori meridionali di accettare l’inaccettabile. Ossia che le regioni di cui sono Presidenti siano ignorate. O considerate residuali;  una ‘bestia’, appunto, che finora benignamente sarebbe stata  sfamata, ma  di cui adesso  ci si vorrebbe liberare. 


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