Se comanda la Lega cosa ne sarà del Sud? E’ stupefacente constatare come tra le innumerevoli analisi dei flussi elettorali e sullo spostamento dei rapporti di forza all’interno della maggioranza di centrodestra, questa domanda abbia poca o nulla attenzione.
E’ vero, quella che si staglia oggi dinanzi ai nostri occhi non è più la Lega pura e razzista, del durismo bossiano dichiarato senza reticenza. Appare come una forza tranquilla. Specie con l’ interpretazione che ne fa il ministro Maroni, il cui impegno nell’inverare il diritto alla sicurezza è apprezzato dal cittadino ‘impaurito’.
Tenta, in ogni occasione pubblica, di mimetizzarsi come forza politica tollerante che, grazie alla sua fisionomia identitaria e al suo fitto legame col territorio, guadagna consensi in quantità massicce. Ha reso accettabile, a volte anche ai più fini palati amanti delle posizioni terze, il suo menu culturale intriso di simboli abborracciati e suoni abusati.
La Lega ha ottenuto fin qui, grazie alla golden share che esercita su un Pdl rissoso, l’approvazione del federalismo fiscale. Ha stravinto al Nord, dilaga al Centro (Emilia Romagna, Liguria, Toscana), copre i vuoti cosmici lasciati dai partiti di centrosinistra e di centrodestra. E’ l’unica forza di maggioranza con un progetto e una leadership indiscussa. Ma se non ostenta la sua essenza profonda ( che si coglie bene in alcuni servizi televisivi in cui l’immigrato e il Sud sono visti come i mali di cui il Paese deve liberarsi se vuole risolvere la crisi economica e il disagio sociale); se non ostenta le ragioni di fondo da cui è mossa ( prima fra tutte, sganciare il Mezzogiorno depresso dalla ricca locomotiva nordica); e se, infine, non manda a quel paese il Pdl (considerato come una combriccola fracassona) che non gode di buona salute (domenica scorsa ha perso un milione di voti, come documenta l’Istituto Cattaneo), è perché la Lega di Bossi ha ancora da farsi approvare i decreti attuativi del federalismo fiscale.
E’ li che si consumerà la crisi della maggioranza, se dovessero insorgere orgogli politici e culturali. Ed è sempre lì che sarà palese l’insofferenza della Lega verso la ‘bestia’ meridionale il cui torto è, secondo i Leghisti, di essere antropologicamente incapace di darsi da fare per produrre ricchezza e di essere geneticamente votata allo scrocco di risorse pubbliche generate dal Nord.
Lo scombussolamento che affligge i due partiti principali, il Pdl e il Pd (che ha perso 2 milioni di voti ed ha fallito ogni tentativo di resistenza al Nord anche nella versione appena accennata del Pd del Nord), rischia di provocare, in questo quadro, danni gravissimi all’unità del Paese. E’ verosimile attendersi, infatti, se non interverranno decisioni drastiche, al momento difficili da ipotizzare, che con i grossi risultati ottenuti dalla Lega nelle regioni del Nord e del Centro, l’attenzione dei politici ex An oggi nel Pdl (tradizionalmente attenti alle ragioni del Sud e della Nazione) si sposterà sensibilmente dal Nord al Centro/Sud. Lasciando del tutto campo libero ai Leghisti nel Nord che già dilagano negli spazi pubblici con slogan primitivi e dal sicuro accento anticostituzionale. Nel contempo Berlusconi, già ostaggio della Lega, privo di qualsiasi strategia nazionale che includa il Sud, finirà col cedere incondizionatamente ai suoi diktat, considerato che la sua attenzione è assorbita da assilli giudiziari privati cui intende dare sbocco attraverso discutibili disegni di riforma costituzionale da suggellare con l’elezione diretta (la sua) del Presidente della Repubblica. Ciò significherà condividere in toto, da parte del Pdl di Berlsuconi, la tesi di fondo della Lega, secondo cui la crisi del Nord si risolvere mollando definitivamente il Sud spendaccione e incapace di ridurre il gap di sviluppo che lo separa dalle altre aree dell’Europa ricca, al suo destino di emarginazione sociale e di povertà.
In sostanza, il pensiero forte della maggioranza è espresso dalla Lega (il triangolo Bossi/Berlusconi/Tremonti) ed ha i tratti dell’antimeridionalismo più marcato. I contraccolpi di Fini sono motivati anche da questa amara constatazione, ma l’impressione è che Fini non abbia più le divisioni per ostacolare la deriva del Pdl come forza nazionale di destra liberale nè l’avanzata dell’ideologia leghista. Anzi: il centrodestra, per come si presenta, dopo avere sdoganato la Lega (insieme al centrosinistra) è lo strumento ideale per far esplodere le pulsioni secessioniste.
Ha visto bene l’economista Gianfranco Viesti nell’asserire che l’Italia “sembra avviata a velocità crescente verso una secessione di fatto”. Ma soprattutto è illuminante l’affermazione secondo cui “il disinteresse delle classi dirigenti per il presente ed il futuro del Sud nasconde il disinteresse per il presente ed il futuro dell’intero Paese”.
Se non si ha la capacità di pensare a come sarà l’Italia da qui al 2030 ( il vero nodo), le sue scuole, il mondo del lavoro, i servizi pubblici, a prevalere sono gli interessi organizzati, i disegni particolari, la secessione di fatto che, se non è ancora istituzionale, lo è quanto meno sul piano psicologico e culturale.
La domanda, prima che sia troppo tardi, su cosa fare e come reagire non deve porsela solo l’opposizione, che pure stenta a declinare con vigore le ragioni del Sud, ma anche il pezzo di classe dirigente del Pdl che è radicato nel Sud. C’è da sperare che i Presidenti di Regione del centrodestra appena eletti nelle regioni meridionali facciamo vedere gli attributi. Sono eletti per cinque anni, nessuno può disarcionarli. E nessuno può ragionevolmente pensare di costruire una leadership autorevole, di cui valga la pena ricordarsi, se il territorio che si è chiamati a governare è sistematicamente calpestato. Nessuna ragion di Stato (tantomeno di partito) può imporre ai governatori meridionali di accettare l’inaccettabile. Ossia che le regioni di cui sono Presidenti siano ignorate. O considerate residuali; una ‘bestia’, appunto, che finora benignamente sarebbe stata sfamata, ma di cui adesso ci si vorrebbe liberare.