19 febbraio 2010    

Comuni a rischio estinzione: un libro per approfondire (di Romano Pitaro)


Si è alzato   il  sindaco di  Centrache    Francesco Luppino,  ed ha detto: “Nel mio paese la scuola non c’è più”. Gelo  tra i presenti che assistono a Cosenza alla presentazione di un libro, “Amicò”, sui comuni che “si raccontano” ai ragazzi”.  Ma di che parliamo?  Di un libro o di  tragedie sociali? Tutte e due le cose.  Le difficoltà di chi   amministra  un comune    piombano, inevitabili,  in ogni discussione.   Ciò che non si vede, nel  buio fitto in cui sono stati cacciati i borghi  del Sud,   è uno spiraglio di luce. Risalgono al Medioevo,  ma  oggi  rischiano la vita.   

Va bene il libro sui comuni, va bene  sapere che per nascere  hanno lottato contro  re, imperatori e vescovi  fino a diventare il pilastro di una società post moderna  che   riserva loro  un posto  nella Costituzione,     ma perché ci si accanisce così sui comuni?    La sensazione che la storia ci crolli addosso, per via di scelte algide e ragionieristiche,  si  materializza ogni volta che un sindaco non trova più i  soldi per l’assistenza ai poveri, per tenere aperta  la mensa, per comprare la benzina del pulmino.     Las copertina del libro di Claudio Cavaliere

Mentre si discute di   ‘Amicò’,   il nuovo  libro   del sociologo Claudio  Cavaliere  che finirà in tutte le scuole d’Italia e sarà presentato al salone dell’editoria per ragazzi di Bologna,   s’intuisce che la realtà è più  veloce  delle  riflessioni.   E’  più avanti dei timori più cupi.  Se il Governo non si ravvede,  i piccoli comuni del Sud   rischiamo di chiudere.     Settimane addietro è toccato alle  scuole.    La Lega delle Autonomie  ha denunciato,  appena la ministra Gelmini ha annunciato la riforma,  che  97 comuni calabresi  rischiavano di perdere le  scuole elementari.  Ma se i bambini non vanno più a scuola nei paesi dell’entroterra, dove vanno?  Si vuole che finiscano   nelle grinfie dei capimafia a imparare come meglio  colpire al cuore lo Stato?  Se non c’è più attenzione  ai diritti di cittadinanza e lo Stato molla questi presidi di  democrazia,  gli spazi  vuoti sono colmati dalla criminalità. Diceva Luigi  Sturzo  ( Appello ai siciliani,  marzo 1959) che "per un autentico sviluppo è necessario puntare sull'educazione delle nuove generazioni con scuole serie, scuole importanti, scuole numerose".  Quel  pathos e quella sensibilità paiono evaporate. S’intravede solo l’ irresponsabilità  delle politiche pubbliche.  Può avere un senso un comune  senza scuola? Ma forse l’idea è quella di  togliere prima  la scuola e  dopo il comune. Attenzione, perché queste inclinazioni svelano altro. Il disegno di spaccare il Paese  e  una visione autoritaria della democrazia.  Da  un lato  si vorrebbe smontare  i controlli  costituzionali sul decisionismo dell’Esecutivo, dall’altro, orizzontalmente,  si acuisce il disagio dei cittadini che nei comuni hanno i  referenti più immediati.   C’è, in ogni caso, di che   preoccuparsi nel constatare lo scempio ai danni dei comuni, svuotati   di risorse e ignorati. 

Il libro di Cavaliere  offre l’’occasione per fare il punto sulla vita dei comuni.  Piace tanto ai ragazzi a cui è diretto ed anche ai sindaci. Perché anche  loro vogliono  sapere a cosa servono;  che il più grande (Roma)  ha 2 milioni e mezzo di abitanti  e il più piccolo 33 (Morterone in Lombardia); che il primo della lista è Abano Terme e l’ultimo Zungri; che Lu, Ne, Re e Ro, sono quelli col nome più corto e Pino sulla Sponda del Lago Maggiore ce l’ha più lungo; che Predo è quello più a Nord e Lampedusa  più a Sud; che i  montani sono 3546 e Curmayeur il più alto (4819 metri); Sestriere  con la casa più vicina al cielo  e Massa Fermana ha avuto il primo sindaco donna.

Comuni: sono 8101,  il Paese.   E sono  tutti popolosi e pochi con poca gente? No!  I  piccoli sono  più della metà: 5720 ed hanno meno di 5mila abitanti,  3644 hanno meno di 2mila abitanti.  Ma, anche qui,  l’ incuria sovrasta.   Mentre parliamo, il buio di prospettive per molti ‘piccoli’ del Sud  è già inoltrato.   Si è alzato, durante la presentazione del libro, il sindaco di Cardinale,  Amedeo Orlando,  ed ha fulminato la platea: “Piccolo sarà bello in tutta Italia, ma in Calabria è sinonimo di abbandono, perché?”.  Chi risponde: gli  antropologi stufi  d’ insistere  sulla dimenticanza dell’entroterra? La questione è vecchia. Risale a Giuseppe  Isnardi (1950), studioso di geografia, che definiva eroici  i paesi interni della Calabria in lotta con una natura aspra.

 E torna d’attualità ad ogni pioggia abbondante  che sgretola  la Calabria, perché la montagna è abbandonata o in mano alla speculazione.  L’osso e la polpa di Manlio Rossi Doria.   Ma chi si occupa del rischio d’estinzione dei piccoli comuni  che gravitano   nel deserto sociale dei monti calabri?  Nessuno.  C’è anche qui una questione meridionale. Se a Nord  la qualità della vita è alta nei piccoli borghi che prosperano di turismo e commercio,  nei borghi calabresi   gli esercizi chiudono, il turismo langue, i giovani fuggono.  I sindaci: impotenti pubblici ufficiali in attesa del  contributo della Regione per  fiere e sagre.

 Scenario desolante ma non limitato. In Calabria  piccolo è molto. I  piccoli, infatti,    rappresentano  l’80 per cento de 409  comuni. Vi abita  (nei comuni con meno di 5 mila abitanti) il 33,3 per cento  della popolazione calabrese. E qui, altre note dolenti:  tra 2002 e 2009 i piccoli comuni calabresi hanno perso il 2,7 per cento della popolazione e nel solo ultimo anno 272 comuni (66,5 per cento) hanno fatto registrare saldi di residenti negativi.  Sono 44 i comuni calabresi, quasi tutti inferiori a 3mila  abitanti, che hanno presentato saldi di residenti negativi a due cifre tra 2008 e 2009, con la punta massima del comune di Paludi  (meno 36 per cento). Nell’entroterra il crollo demografico ha toccato, in dieci anni,  cifre del 40 per cento. Interne popolazioni svaniscono.

Al Nord piccolo è vivacità e innovazione, in Calabria sconforto e  morte. Aumentano gli indici di vecchiaia e i giovani partono. “Amico” è un libro interessante ma richiede un secondo approfondimento.  Il   sociologo però  deve accettare d’indossare  i panni del becchino.   Il sequel  avrà,  se la rotta è questa, un  titolo siffatto: “C’erano una volta i piccoli comuni”.   Ma a quel punto, di sicuro, la democrazia italiana avrà subito una trasformazione. Perché è evidente che  dietro la non volontà  di aggredire il cancro che si mangia  i comuni calabresi,  c’è l’assenza di strategia per fermare il declino del Paese.


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