Se dopo un anno esatto (è stato a Cosenza, Lamezia e Reggio il 15 e 16 gennaio 2009), il Capo dello Stato torna in Calabria, è lampante che le cose non vanno bene. Se, anziché stare al Quirinale e vigilare sul “processo breve” approvato in Senato in un’atmosfera livida e tesa, il Capo dello Stato s’ affaccia nelle vie calabre, è segno che lassù c’è preoccupazione per quaggiù. La mafia piazza una bomba al Palazzo della Procura generale a Reggio e la “caccia al nero a Rosarno” finisce sulle pagine dei giornali di tutto il mondo. Razzismo o poveri contro poveri? Elementi su cui un Presidente di Repubblica come minimo s’ interroga. Che accade laggiù? Purtroppo, benché autorevoli, le esortazioni dei Presidenti della Repubblica scesi in Calabria il più delle volte sono state parole al vento. La Calabria di Presidenti ne ha visti ben sette su undici. E a fare un bilancio l’esito non è esaltante. I loro “messaggi” fanno sempre la fine del kafkiano “messaggio dell’imperatore”, non arrivano mai al destinatario. Che, nella specie, è il Governo su cui incombe l’onere dell’azione.
“Calabresi, non datevi per vinti. L’Italia tutta è con voi”. Nel 2005, il 18 ottobre, ci ha pensato il presidente Carlo Azeglio Ciampi a incarnare lo Stato in Calabria con davanti agli occhi il feretro del vicepresidente del Consiglio regionale Franco Fortugno assassinato dalla mafia.
Frasi memorabili Ciampi pronunciò nello stesso luogo il 2000 e prima ancora Sandro Pertini (1978/ 1985).
Pertini nelle Serre calabresi comprava dal maestro Grenci alcune delle sue inseparabili pipe. Raccontò a Catanzaro: “In visita in Inghilterra, la regina Elisabetta mi diede in regalo una pipa Dunhill, l’ho ringraziata ma le ho anche detto che la radica di quella pipa viene dalla Calabria”. E nel suo messaggio di fine anno (1983) disse: “Io ho girato in un lungo e largo la Calabria. Se vi è un popolo generoso, buono, pronto, desideroso di lavorare e di trarre dal suo lavoro il necessario per poter vivere dignitosamente, è il popolo calabrese”.
Prima di Napolitano la Calabria ricorda Ciampi, che in più occasioni (fu al funerale dei morti nella tragedia di Soverato del 2000) visitò le 5 province. Improvvisa quella del 2005: Ciampi è giunto in uno dei momenti peggiori per la Calabria. Col volto di cartapesta, in Consiglio regionale onorò il feretro di Fortugno.
Il 18 febbraio 2005 è l’ultima data in cui un Presidente della Repubblica è venuto in Calabria. Ciampi sparse fiducia a piene mani in quel lugubre 18 ottobre: “'Calabresi reagite con fermezza: non siete soli, l'Italia è tutta con voi''. Soggiunse: ''La mia presenza qui è un atto di doveroso omaggio alla figura di Fortugno ed al suo impegno politico e civile''. Ha commosso l’immagine di quel Presidente, in raccoglimento davanti alla bara di Fortugno, con la mano adagiata sul feretro. Quel Presidente ha fatto credere alla Calabria, parlando con i giovani, che nella lotta per il riscatto non sarebbe stato sola.
In realtà Ciampi suscitò speranze anche nel viaggio a febbraio del 2001. In quel periodo esprimeva ottimismo sull' azienda Italia (“è stato ridotto il disavanzo, ci si avvicina a quota zero”). Davanti ai big della politica calabrese, a Reggio, affermò che “la questione meridionale non è risolta e c’è dunque tuttora bisogno di meridionalismo e di sviluppo”. Ciampi spronò la Calabria ad auto emanciparsi lungo la scia della svolta positiva degli ultimi anni qui consolidata con aumenti di occupazione, export, turismo”.
E ancora: “State già facendo bene, ne è prova il fatto che le istituzioni locali abbiano utilizzato quasi l' 80 per cento dei fondi strutturali messi a disposizione da Roma e Bruxelles: prima non si riusciva nemmeno a progettare come spenderli, quei denari, e li si perdeva”.
Ma 5 anni dopo (2005) il presidente Ciampi si ritrovò davanti una regione colpita al cuore dalla mafia e una società mortificata. Stessa musica con Oscar Luigi Scalfaro, presidente dal ’92 al 99. Ai ferri corti con il centrodestra, Scalfaro, nella sua seconda discesa (tre giorni) dovette fronteggiare una contestazione dei parlamentari reggini del Polo. Secondo cui “per molto meno di quel che oggi dice Bossi (alleato del centrosinistra) nel '70 arrivarono a Reggio Calabria i carri armati”. E sebbene Scalfaro si difendesse (“La politica è del governo. La Padania? Non la conosco”) il viaggio fu contagiato dalle vicende nazionali.
Ma non solo. Saltando ogni timore reverenziale, i politici del centrodestra rimproveravano a Scalfaro il tradimento degli impegni assunti per la Calabria nel corso della sua visita del 7 dicembre 1994. Più o meno: “Ci ha ingannati. Ha promesso lavoro e giustizia. Aspettiamo da un anno e mezzo, inutilmente. Perciò non vogliamo neppure incontrarlo”. E lui: “Nossignori, non ho promesso nulla, io. Non l’ho mai fatto in 46 anni di vita politica. Il mio dovere non è questo. Semmai è di interpretare le volontà della gente e far da ambasciatore, di bussare a Palazzo Chigi e seguire le cose, dopo. Badate: è il governo a rispondere della politica generale del Paese, chi non lo sa è bene che impari. E poi, quando recitate l’elenco delle regioni italiane, non fate più quel nome, Padania... Io non lo conosco”. Allora la recriminazione per l’abbandono dello Stato ruppe le formalità e divenne rumore. Annotava il Corriere della Sera: “Il Presidente controbatte mostrando un po’ di difficoltà per la sgradevole sorpresa e si salva con un’incitazione che sembra in parte autobiografica (“Si può anche perdere, nella vita, ma non ci si deve arrendere mai”) e che però si attaglia perfettamente pure alle emergenze di questa terra: disoccupazione, criminalità, Stato sociale”. Renato Meduri, senatore di An, tuonava: “L’ultima volta che il Presidente venne qui, il 7 dicembre 1994, dopo aver camminato tra due ali di folla che lo applaudiva chiedendo lavoro, promise: “Abbiate fiducia, porterò le vostre istanze a Roma e avrete presto risposta. E’ passato un anno e mezzo e nessuno ha avuto notizia di qualche sua iniziativa a favore della Calabria”. In realtà, per il centrodestra Scalfaro aveva “la grave colpa di aver sostenuto Dini e affondato Berlusconi e di essere stato condiscendente verso la Lega”. Ma l’annosa irrisolta “questione calabrese” forniva l’occasione per smascherare l’incapacità dello Stato di dare risposte al Sud del Sud.
Capitò anche ad Einaudi di fare prediche inutili. Nella Calabria degli Anni ’50, sopraggiunse la rovinosa alluvione del 1951 che sconvolse la Locride e alcuni paesi delle Serre.
Bilancio: 70 vittime, 67 comuni travolti (4.500 senza tetto, 1.770 abitazioni crollate, 26 ponti sfarinati, 77 acquedotti danneggiati, piantagioni distrutte). Il presidente Einaudi giunse in Calabria con le migliori intenzioni. Si fece interprete del disagio e andò via. Nel suo breve discorso di fine anno menzionò quel dolore: “…Muoveremo insieme verso le ulteriori prove. E insieme testimoniamo anzitutto il nostro affettuoso ricordo a quelli tra noi che vivono tuttora sotto il peso di immeritate angustie, primi tra essi – voi mi intendete – quanti abbiamo sofferto lutti e stenti a motivo delle recenti alluvioni”.
Quell’alluvione in Calabria è diventata l’emblema d’ infinita miseria e di una ricostruzione fallita. I “cafoni calabresi” le case le ebbero, ma dopo trent’anni, quando molti erano già emigrati. In una lettera di qualche tempo dopo, il presidente Einaudi si rivolse al capo del Governo Alcide De Gasperi: “Mi chiedo che paese sia il nostro, se nel 1951 si scrivevano cose che ancora oggi non trovano nessun tipo di attuazione”.
E di seguito: “Ci rassegneremo ancora una volta? Dimenticheremo, di fronte all’urgenza di sempre nuovi problemi pressanti, che il problema massimo dell’Italia agricola è la difesa, la conservazione e la ricostruzione del suolo del nostro Paese contro la progressiva distruzione che lo minaccia?”
Neanche quando il Quirinale ha insistito s’è ottenuto granché per il Sud. Dopo Einaudi, un tour completo in Calabria lo fece Giuseppe Saragat. E’ il 1966. Per avere un altro Presidente in giro per la Calabria bisognerà aspettare Pertini 16 anni dopo. Nel 1991 e nel 1992 è la volta del Presidente picconatore. Motivo: morti di mafia. Francesco Cossiga fu ai i funerali del .giudice Antonino Scopelliti assassinato a Piale tra Villa San Giovanni e Campo Calabro e l’anno dopo ai funerali dell’ispettore di polizia Salvatore Aversa e Lucia Precenzano uccisi in un agguato di ‘ndrangheta a Lamezia.
Il primo viaggio nelle regioni da Presidente Giuseppe Saragat lo fece in Calabria. Andò a San Luca nella casa natale di Corrado Alvaro e incontrò i calabresi nelle città. “Voleva conoscere la Calabria”, racconta Costantino Belluscio, che fu il suo segretario particolare: “A me Saragat chiedeva: come mai si sono rivoltati cosi in ritardo i calabresi nel protestare contro uno Stato che è stato una matrigna?”. Anche se è vero, lui diceva, ripetendo una frase di Turati, che la colpa dell’arretratezza del Mezzogiorno non è dovuta alla storia e alla geografia, ma anche in parte agli uomini che vivono nel Sud. Alla classe dirigente, ad un ceto intellettuale, che è stato sempre al servizio del potere”.
Naturalmente l’analisi di Saragat si fermo lì. Il destino dei Presidenti della Repubblica a tu per tu con l’osso del Paese: non essere ascoltati. Il presidente Napolitano conosce come le sue tasche il Mezzogiorno. Ha già stigmatizzato l’inettitudine del regionalismo meridionale. Adesso esorta la Calabria alla mobilitazione, che non è un’idea originale. Promette, però, più attenzione per le esigenze dei magistrati e delle forze dell’ordine che sono sul fronte contro la ‘ndrangheta. Vedremo la fine che faranno le sue promesse.-