15 gennaio 2010    

Rosarno: crisi economica e 'ndrangheta (di Romano Pitaro)


Trentasette feriti, svariati arresti e il fuoco di una guerriglia urbana vera a e propria, non hanno fatto di Rosarno soltanto un marginale teatro di  scontri. Soprattutto hanno trasformato la città della Piana nell’epicentro degli effetti drammatici di alcune tra le più acute problematiche che agitano il mondo globalizzato. Quel che si definisce la modernità liquida dei nostri giorni per svariate ore ha scelto la Calabria per esplodere. La rabbia degli immigrati di Rosarno infatti, non è altro che l’impatto del globale (che affida al mercato molte delle funzioni un tempo riservate allo Stato nazionale) sul locale (in cui spesso c'è solo lo spazio per gestire le paure collettive). E quando due drammi sociali (uno mondiale e l’altro regionale) si scontrano violentemente, emerge tutta la debolezza degli Stati nazionali nel fronteggiare fenomeni che sfuggono alla loro sovranità e, in specie, l’arcipelago di diaspore che contrassegna la nostra civiltà. La dimensione angusta di una regio ne come la Calabria, speronata da vetuste contraddizioni sociali e la sciata al suo destino dal Governo, ha fatto da sfondo alla dirompente fuga dai Paesi poveri del mondo. La dimensione critica quotidiana di questa regione del Sud è oscurata dai media nazionali e dalle Istituzioni. L’Italia sa che è una regione a pezzi, ma si risponde: se la sbrogli come può. Senza capire che quando la bomba esplode, nessuno può considerarsi al sicuro. Quei calabresi pigri, piagnoni e omertosi: si diano una mossa, risolvano da sé i loro problemi, non hanno coscienza civica e non denunciano la mafia. Un errore politico e culturale questa visione del problema. Idem l’oscuramento della quotidianità calabrese. È nelle giornate ordinarie della Calabria, infatti, che cresce la rabbia degli africani trattati come schiavi dagli agricoltori della Piana di Gioia Tauro. Nelle giornate ordinarie, inoltre, s’accresce lo sdegno dei calabresi del comprensorio che si muovono, a passi felpati, fra intimidazioni convincenti della ‘n drangheta, che qui ha il monopolio della forza, e la faccia burocratica di uno Stato lontano, che non dà risposte occupazionali, sanitarie, culturali. Quando salta il tappo della sopportazione, o due mondi (gli immigrati e i locali) vicini fisicamente ma distanti in cultura e linguaggi confliggono, scoppia la violenza. Due drammi sociali, l’immigrazione e l’emergenza sociale calabrese, non si sommano per in dirizzarsi contro le cause da cui originano. L’istinto delle emergenze sbotta in gesti cruenti e non c’è mediazione che tenga.

Accorrono i pompieri, quindi. Ma è tardi. Sicché questioni eminentemente sociali sono ridotte, nell’incapacità dello Stato e della politica d’incanalarle in un progetto generale che abbia gambe su cui procedere, a fenomeno di ordine pubblico da reprimere. Come sempre: anziché la luna si guarda il dito. Non la ‘ndrangheta e l’immigrazione sono i due corni del problema considerati, ma l’immigrato da zittire e il cittadino da riporre davanti alla tv che lo trastulli e lo rassereni. Lo Stato ha perso - lo spiega da tempo Zygmunt Bauman – l’utopia della soluzione dei problemi e cede alla tentazione di esaurire ogni suo compito nello sforzo di “abolire gli incubi e le paure che attanagliano i cittadini”. Ci s’interroga, così, sulle modalità della repressione non su quelle del l'integrazione. E un’idea sbagliata, la repressione, ma avvincente e coinvolgente. È in questo solco che l’ideologia della paura, su cui la Lega punta l’intera sua posta politica, vince e stravince. L’italiano che assiste allo spettacolo, indegno di un Paese civile in cui centinaia d’immigrati sono trattati come animali, riceve dalla televisione una sola rassicurazione: quella della Lega, che propone l’espulsione dei clandestini, rei a priori e orrore delle famiglie perbene. L’Italia democratica, che s’infervora per il decennale di Craxi, della politica liberista o statalista o entrambe mischiate, invece non ha messaggi semplificati da inviare, che tengano a freno il peggio che si agita nella pancia del Paese in crisi. Non sa che fare. Impotenti, vista la grandezza del fenomeno, le associazioni del volontariato, la Caritas, i preti, i frastornati servizi sociali degli enti locali. Così un Paese sordo, che non ha la forza di leggere la realtà in rapida evoluzione e organizzare le risposte giuste, s’affida al manganello e spera nei poliziotti. 

Il quadro che è sotto gli occhi è da studio. È accaduto altre volte, riaccadrà. Allo Stato, però, interessa solo tamponare la falla, un’altra volta si vedrà. I calabresi, tra l’altro, neanche protestano più. La protesta, infatti, è a cura degli africani non integrati. Ci sarebbe da fare attenzione. Perché se si sommano le problematiche sociali e di ordine pubblico, in un territorio giù difficile, con l’ira degli immigrati sfruttati, la miscela è di quelle che sfonda ogni equilibrio sociale. Ci sarebbe da domandarsi cosa accade in questo mondo a rotoli, in cui il vecchio ordine bipolare è soppiantato dal multipolarismo anarchico. Capire che Rosarno, per esempio, altro non è che un pezzo di mondo, prima che un lembo di Calabria tralasciata, in cui la fame di quel miliardo di sottonutriti, di cui ci raccontano le statistiche di tanto in tanto, incrocia la delinquenza organizzata ma, siccome è una fame disperata, la sua rabbia non ha freni inibitori neanche dinanzi alla violenza cupa della mafia. Il rischio è che la situazione sfugga di mano. Ma i problemi non sono separabili, ormai. In alcuni contesti, poi, lo si percepisce a occhio nudo.

Immigrazione, sottosviluppo economico, mafia e disorganizzazione amministrativa. Serve poco, però, in questo caso, chiedere che il Governo si dia una strategia complessiva per il Sud che non ha. A ben riflettere l’interrogativo è più inquietante: Rosarno indica la possibilità che se gli Stati occidentali non si pongono davvero il tema dello sviluppo equilibrato del pianeta, accadano sfracelli a ripetizione. La Lega gode a far da becchino alla democrazia italiana impotente, ma non capisce che quando l’onda diventa smisurata non risparmia nessuno.-


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