11 dicembre 2009    

Antonio Acri: un signore della politica (di Romano Pitaro)


Non lo vedremo più Tonino Acri (l’onorevole Acri) nel Transatlantico del Consiglio regionale, assiepato da giovani collaboratori che lo sussidiavano nell’azione legislativa e lo stimavano. Un politico, di solito, è temuto, riverito, magari schernito alle spalle se la gaffe è la sua performance prevalente. Il consigliere regionale Pd Antonio Acri Lui no. Acri godeva di stima e di apprezzamento pubblico, prescindendo dalle appartenenze. Aveva carisma, ma il carisma non s’inventa, né te lo regala nessuno. Stimato anzitutto perché non temeva alcun rimprovero etico al suo specchiato cursus honorum; è sempre stato accanto alla gente, e le sue idee, segnatamente riformiste, lo irrobustivano anziché no. Il suo

trascorso di comunista non rappresentava un fardello di cui disfarsi, ma un mondo che la storia si è lasciata alla spalle da cui tuttavia attingere per dare ethos e profondità all’azione del presente. In secondo luogo, perché quel che doveva dire Acri lo diceva apertis verbis. Senza timore per le polemiche. Mi ha colpito il suo contegno rispetto ai giudici, prima che venisse chiarita definitivamente la sua posizione in un’inchiesta che lo ha turbato umanamente. Non ha mai parlato male di loro. Sempre parole di rispetto per la loro “alta funzione” ho udito dalla sua bocca. Anzi, ha sempre chiesto essere giudicato e rapidamente, perché era arciconvinto d’ essere una personale pulita e di aver fatto ogni cosa nel rispetto della legge.

Non lo vedremo più, Tonino Acri, perché alla fine la sua lotta è stata vana e il cancro ha avuto la meglio. Rassicurava tutti, quando si dirigeva verso l’Aula curvo e pallido in viso. Parlava della sua malattia come fosse un’influenza, era però cosciente della sua solitudine, perché quando si lotta per la vita, anche se ti circondano in tanti, sei solo. Lottava da un anno, ma soltanto nelle ultime settimane alle riunioni di Commissione risultava assente “giustificato”. Non vederlo, uno come lui che della puntualità faceva una questione di principio e storceva il muso quando notava il ritardo di taluni suoi colleghi, era già un cattivo presagio. Se non poteva scendere a Reggio dalla sua San Giovanni in Fiore, era segno che stava cedendo. La morte è arrivata mercoledì, inesorabile. Aveva molte idee che gli frullavano in testa, per esempio la passione per i piccoli comuni, sono loro, ripeteva, l’asse portante della Calabria, ma sono lasciati soli, dovrebbero essere aiutati molto di più. Prendeva ogni cosa con serietà e ogni impegno assunto doveva dare risultati. Nessuno gli aveva dato in dono lo scranno in Consiglio regionale.

La gavetta l’aveva fatta per intero. Amministratore comunale, sindaco, Presidente di Provincia, Presidente della Lega delle Autonomie locali: una vita spesa dentro i Palazzi, ma non aveva niente del potente inavvicinabile. Nulla di quel genere di arroccamento cui certa politica è protesa, in mancanza d’idee e impaurita del confronto. Invece il confronto, soprattutto con gli amministratori comunali, lui lo cercava continuamente. A Torre di Ruggiero, un borgo delle Serre lontano dal suo collegio elettorale, era diventato uno di casa. La problematica della Trasversale delle Serre l’aveva avvinto e s’era addentrato al punto che, dopo essersi documentato, dava suggerimenti preziosi. I sindaci dell’area lo chiamavano per consigli e per “una mano”.

Qualche settimana fa, saputo del finanziamento della Regione per il completamento della Trasversale delle Serre, mi aveva incaricato di organizzare a suo nome un secondo convegno con l’assessore Maiolo: “Dopo quella bellissima manifestazione (l’aveva organizzata lui a maggio e aveva voluto presiederla nonostante il cancro) in cui è stato fatto il punto sulla Trasversale, adesso dobbiamo tornare a dire alla gente che non ci siamo dimenticati”. Quel convegno non si potrà più fare senza Acri. Oppure diventa più urgente, ora che lui ci ha lasciati. Sono convinto che il suo stile di politico sobrio ed operativo, in qualche modo, in qualche misura e con i dovuti accorgimenti, la Regione e i comuni non possano archiviarlo. Sarebbe, viceversa, interessante capire come renderlo più evidente, specie in un momento in cui l’improvvisazione, il dilettantismo e l’indifferenza sommergono lo spazio pubblico. Come far capire, soprattutto alle nuove generazioni, attraverso il racconto del percorso politico ed amministrativo di uomini come Antonio Acri, che in Calabria si può essere politici ed amministratori e godere del rispetto delle persone. Un signore della politica non urlata com’era Acri, uno che con la sua stessa persona, il suo discorrere mesto ma deciso, teneva distante il populismo e la demagogia che ammorbano il Paese, può senz’altro essere uno dei tanti preziosi fili di cui si ha necessità per legare la trama della prima, della seconda e di quella che sarà domani la Repubblica italiana.


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