3 dicembre 2009    

La Cgil chiede più attenzione per il Sud (di Romano Pitaro)
Come 63 anni fa...


28 novembre 2009: giornata “di lotta” a Cosenza. Le rosse bandiera della Cgil riempiono  le vie contro un Governo che  sul Sud è muto.   Per questo Governo, che non manda  un ministro neppure dinanzi agli incubi ambientali più neri,  la Calabria è out:   “Hic sunt leones”. 

28 novembre 1946:  “di lotta”  anche quella giornata. E insanguinata. Una coincidenza di date, che però  va oltre le date  e tocca  contenuti sostanziali   che rendono i due contesti storici, separati da 63 anni,  estremamente importanti.

Un momento della manifestazione della Cgil a CosenzaIl 28 novembre 1946  la contadina “rossa” Giuditta Levato   fu colpita al ventre da un colpo di  fucile.  S’erano verificati centinai di soprusi ai danni dei contadini nell’era dei baroni, ma ancora l’omicidio non era diventato lo strumento per affermare l’intangibilità del potere costituito e della  proprietà privata. Mentre Giuditta si chiudeva la porta di casa alle spalle per andare a Calabricata, in provincia di Catanzaro,  in Calabria regnavano i Barracco, i Berlingieri, i Gallucci, i Gaetani. Da secoli dettavano legge e la caccia era lo spasso  del debosciato latifondo calabrese. Che  comandava sulla miseria dei contadini calabresi con algido distacco. Non era possibile, per i contadini, neanche    avvicinarli i padroni. “E’ più facile parlare con Dio che col barone Barracco” dice un contadino a Giovanni Russo  in un  indimenticabile   libro-viaggio del 1949. Ma qualcosa stava accadendo.  Intorno alla giovane donna di Calabricata,   c’era il frastuono eccitato. La terra l’avevano avuta e ora l’agrario Mazza, anche lui convinto  che “ la riforma è una rovina, un furto”, opponeva resistenza.   Il  grilletto del fucile  fu premuto dalla sua  guardia privata.   C’era la voglia di zittirla con ogni mezzo, nel 1946,  quella plebaglia immonda.  Un lampo e la giovane donna sentì il dolore acuto che dalla  pancia si diffondeva in ogni fibra.     La guerra era finita da poco e il fascismo seppellito.  Lei era incinta, madre di due figli. Ma non poteva starsene a casa quel giorno, la terra era  a portata di zappa: il sogno d’intere generazioni di contadini. Era stata  già assegnata dallo Stato ( ministro dell’agricoltura era il comunista Fausto Gullo) alla cooperativa di Calabricata.  Ma quel proprietario si  ostinava a non mollare e  aveva portato i buoi a rovinare la semina sui terreni. Aveva dalla sua la forza e il disprezzo per i nullatenenti. Lei aveva fiutato il vento della storia: occorreva resistere.  Insieme ce l’avrebbero fatta. Invece i colpi di fucile furono la risposta del latifondo calabrese all’orgoglio contadino, che qualche mese prima era tracimato  nelle campagne del Marchesato.

28 novembre 2009: ai numeri, che  dimostrano, in maniera spietata, lo spappolamento delle aree più svantaggiate del Sud (Calabria in testa),  non c’è reazione significativa da parte delle Istituzioni nazionali  né del sistema delle   imprese, asserragliato nel bunker a leccarsi le ferite di una crisi strutturale. Ancora una volta,  il Sud è costretto a chiedersi: che fare? Consapevole che tocca togliersi di dosso la rassegnazione e far diventare protagonista della storia se stesso se vuole ottenere risultati.  Lo ha fatto innumerevoli volte, ma spesso ne è uscito malconcio. O, in ogni caso, non ha vinto la scommessa, dato che gli  antichi guai si ripropongono adesso  con virulenza e si sommano a nuove emergenze: scarsa produttività, mafia, povertà e  disagio sociale, paura, dissesto idrogeologico,   difficoltà a dialogare col resto del Paese anche per la presenza di  forze politiche che fomentano le tensioni e giocano a dividere l’Italia.   Le due date, però,   non hanno in comune soltanto una protesta fragorosa che serpeggia  in tutto il Mezzogiorno (oggi  protestano, per la stessa causa, tutte le  regioni del Sud. Nel dopoguerra, subito  dopo Calabricata, esplosero proteste in tutto il Sud contrassegnate  dall’eccidio di   Melissa e dalla  strage di Portella della Ginestra).

Hanno in comune, i due “28 novembre”,   il contesto sociale  che pone sfide di spessore storico.  63 anni fa la democrazia era da costruire  e la lotta per l’occupazione delle terre rappresenta  l’atto  fondativo per eccellenza della democrazia nel Mezzogiorno. Oggi la democrazia è un caposaldo irrinunciabile, ma  è da difendere da  fendenti  di portata micidiale. Allora le masse di poveracci  “irrompevano nella storia” e rivendicavano lavoro,  giustizia e libertà. Oggi i meridionali rivendicando il lavoro, che si assottiglia viepiù mentre s’allargano le diseguaglianze sociali, e  avvertono che l’Italia è insidiata  da nemici interni la cui prepotenza, fondata su ricchezze smisurate, vorrebbe incrinare la Costituzione e, di conseguenza, minare principi come l’articolo 3 che ci pone tutti indistintamente sullo stesso piano . 

Ciò che segnala oggi la Cgil, la cui storia si è forgiata in quelle lotte per la terra ed ha accompagnato il Sud nelle successive intemperie sociali (quel  periodo di lotte contadine -1943-1953- iniziate a Calabricata   ebbe come epilogo il  fallimento della riforma agraria e  l’esodo di massa obbligatorio per milioni di contadini disillusi che finirono nei “ghetti dell’immigrazione” Il tentativo di Gullo di riformare l’agricoltura meridionale era abortito, infatti il nuovo ministro dell’agricoltura, il democristiano  Antonio Segni, agevolò  la grande proprietà e  attraverso una serie di scelte legislative e in un clima d’indifferenza premeditata del Governo  verso le esigenze dei cafoni del Sud,    parti l’offensiva dei proprietari terrieri  contro le cooperative contadine”, al punto che molta della terra conquistata nell’inverno del  1946 e del 1947 fu perduta l’anno successivo) è il riacutizzarsi della questione meridionale con un  divario  Nord/Sud “inaccetabbile” per lo stesso ministro Tremonti.

I termini della questione sono naturalmente mutati, ma è evidente che alla fame dei contadini di allora è subentrato “l’urbanesimo malato” delle grandi città del Sud (Napoli, Reggio Calabria, Palermo).  “La piaga del Sud coincide” , come asserisce Rosario Villari “con la disoccupazione giovanile” e, insieme,  col suo patrimonio di cervelli, costretto a fuggire perché nel Sud, in gran parte di esso, non ci sono prospettive. C’è, inoltre,  una pericolosa crisi delle istituzioni cui si accompagna la debolezza della società civile i cui pezzi migliori (comprese le cosiddette “minoranza combattive”)  sono minacciati,  o tenuti sotto scacco dalla criminalità organizzata.

Insomma, nonostante la tenacia con cui donne impavide come Giuditta Levato hanno provato a mutare il corso della storia, i problemi del Mezzogiorno sono, in buona parte, rimasti senza risposta. E oggi come mai si avverte un’ assenza di peso specifico del Mezzogiorno nella vita del Paese. Il Sud conta poco e l’asse Berlusconi/Lega lo relega ai margini. Non sono affrontati  i fattori reali dell’arretratezza del Mezzogiorno, nodi  che s’identificano, perlopiù, con la  povertà tecnologica e istituzionale.L'arrivo del lungo corteo dei manifestanti davanti al palco dei relatori

Quel mondo dei contadini del Sud  “serrato nel dolore e negli usi, negato alla storia e allo Stato, eternamente paziente”, quel mondo immerso “nella sua immobile civiltà, su un suolo arido, nella presenza della morte”, come lo dipinge Carlo Levi, s’era  infine  svegliato.  S’era messo contro i baroni, superando paure ed incertezze. Disposto, a dispetto d’ogni previsione, a sconfiggere “lo sconsolato senso d’inferiorità”. Si è messo in discussione respingendo ogni fatalismo e dando spazio al protagonismo dei singoli individui.  Questo, in estrema sintesi,  il messaggio della contadina di Calabricata che si coglie dalla sua personale tragedia ed in tutto ciò che lei simboleggia.   

Quel mondo del  Sud dell’Italia rievoca la data del 28 novembre e  non bisogna dimenticarlo. Il Sud, anzitutto, ha il dovere e tutto l’interesse a tenerne viva la memoria.  C’è anzi da fare una delicata, meticolosa e laboriosa ricucitura dei tanti strappi storici  che si sono verificati.  Per indicare, con lucidità,  le questioni che sono, ancora oggi, sintetizzabili nella immarcescibile “questione meridionale”.Perché, nonostante  le suggestive  espressioni di Levi  non siano più attuali, spesso siamo costretti a prendere atto che  non è  mutata l’atmosfera cupa di quel periodo.

Una parte del Paese subisce la mafia (ed avverte poco la presenza dello Stato), la disoccupazione generalizzata  e lo  sviluppo senza modernità.  Anche oggi - dati Istat - la maggior parte delle famiglie povere risiede in Calabria. Ma soprattutto soffre una solitudine accentuata dall’assenza di un serio dibattito nazionale sulle sorti del Sud, che possa suscitare una forte presa di posizione politica, economica, sociale, commisurata alla gravità dei problemi.  

Al momento, non vi è alcuna  regia che si occupi dei drammi sociali del Sud,  che è parte notevole del Paese e senza la quale non si va da nessuna parte. Altro che Europa, con un Sud in parte disintegrato nella sua stessa identità umana.  E’ forse tempo, quindi,  per comprendere che, dopo tante disillusioni,  - la  piattaforma della Cgil su questo invita a ragionare -   la questione meridionale non può essere considerata come una semplice appendice di qualcos’altro.    Va, invece, affrontata come la più seria questione politica e culturale del Paese.


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