24 novembre 2009    

I 150 anni dell'Unità. L'Italia chieda scusa alla Calabria (di Romano Pitaro)


Butti giù la maschera e dica parole di verità. Ha la maturità per farlo:  150 anni nel 2011.   L’Italia,  che al Sud guarda con la  benevolenza pelosa di una  Antica fonderia a Mongiananobildonna che  fulmina con gli occhi   uno  zingarello cencioso, se non vuole che l’ampollosa ricorrenza   sia una farsa, consegni  di persona le sue scuse alle Serre calabresi.  Che, tramortire dall’abbandono, speravano in  un po’ di luce dalla Trasversale,  incompiuta da 43 anni. Le colonne in  ghisa di Mongiana, borgo di 800 anime che vive di forestale,   sono  ciò che rimane della borbonica  “Regia Ferriera”  le cui officine spaziavano in  un’area di 2 chilometri .  La più grande acciaieria d’Italia prima che l’Italia nascesse.   

Il baricentro della siderurgia del Regno delle due Sicilie  ammazzato  dall’Unità d’Italia  che  si prepara a  festeggiare il  compleanno.   Un tormentone   sta diventando, in un’Italia  lacerata da salvacondotti ad personam  e dalla “paura”  fomentata per ampliare il  consenso,   la ricorrenza del 2011.  Più s’ insiste nel proporla, più fa un effetto strano.  Se questo Paese è rotto nei fatti,  serve la magna celebrazione di un’Unità che  fa acqua da tutti le parti?  Quali obiettivi deve conseguire l’austero  Comitato insediato per ideare eventi?  Risposta evanescente: ribadire l’importanza dell’Unità, declinare l’abnegazione dei patrioti e -  vedrete che andrà cosi -  i pregi o i difetti  della Costituzione repubblicana  che seguì  (specie se nel 2011 Berlusconi sarà ancora  in trono).  Ma se si volesse dare  sostanza culturale all’appuntamento, lo scopo  prioritario dovrebbe essere la presa di coscienza  dell’odierno  “gap”  Nord/Sud che azzoppa il  Paese.  Come si fa?

Anzitutto   chiedendo scusa a chi dall’Unità  ha subito un torto.  La ricorrenza come occasione per ricordare una   ferita mortale e  attenuare la recriminazione di migliaia di italiani condannati dall’Unità  ad emigrare.  Dunque, iniziamo cosi: c’erano una volta le Ferriere nelle Serre...

Si disse,nel 1861, per giustificarne la decapitazione,  che in futuro gli altiforni della  siderurgia dovessero sorgere in pianura.  Le rotaie delle miniere delle Serre  furono vendute a peso. Nacque l’acciaieria di Terni ma, guarda caso, sui monti.  Ci furono proposte: al governo dell’Italia liberale gli operai delle Serre offrirono di ridursi la paga e supplicarono  attenzione. Ci furono proteste: il tricolore sotto i piedi, no al referendum per l’annessione, l’assalta alla sede della Guardia Nazionale, si formarono due bande, le donne in piazza al grido di “Viva don Ciccio” (Francesco II) e  la bandiera bianca con i gigli. Ci furono partenze:   Stati Uniti,  Canada,  America latina.  Veniva soppressa, di punto in bianco, dall’Italia di Cavour e di Vittorio Emanuele II, un’ industria risalente ai  fenici che dava lavoro a 3000 persone.  Una immagine d'epoca di Mongiana

Annientato un polo industriale di cui oggi rimangono soltanto  le rovine.  Lì fu realizzato il fucile da fanteria modello Mongiana. Lì  videro la luce i primi ponti sospesi in ferro d’Italia, il “Real Ferdinando” sul Garigliano ed il “Maria Cristina” sul Calore.   Ora, un’Italia che non intenda banalizzare  la ricorrenza del 2011,   e dopo un secolo e mezzo di silenzio sul clamoroso  scandalo con cui l’Italia   appena fatta mostrava a questa parte del Sud il volto peggiore,  si spera che si  torni a  parlare del triangolo industriale (Mongiana/Stilo/Ferdinandea) della penisola italiana che sorgeva nell’area oggi  più emarginata del Paese (Nardodipace è il paese più povero d’Italia). In tutto questo tempo, della realtà industriale di Mongiana  è stata cancellata ogni traccia.  Eppure in questa parte della Calabria,  definita il cuore spirituale del Mezzogiorno,  le pagine di storia non sono  mancate.    Il  13 ottobre 1852  Ferdinando II, con 12mila soldati  alloggiò  nelle Serre. Diretto a Mongiana, dove  c’era la Reale Ferriera cui davano impulso le Officine di Pietrarsa dopo gli interventi di modernizzazione decisi  da Re Bomba  che a Mongiana aveva spedito i migliori mineralogisti sassoni ed ungheresi per formare gli operai. Lì il borbone andava a visitare la sua nuova fabbrica d’armi e la ferriera che consentiva al Regno di essere autonomo nella produzione di armi e di vantarsi di un’opera eccellente. Al punto che lo zar la fece riprodurre identica in Russia,inaugurando le Officine di Kronstadt. 

Mongiana: per arrivarci dall’Angitola c’è un’ora di curve moleste.  Le Serre oggi sono un deserto sociale  colpito da una micidiale   emigrazione e punteggiato dai  cantieri  fantasma  della Trasversale.    Ma c’è stato un tempo in cui, prima che giungesse Garibaldi, le Regie Ferriere  davano di che vivere a tutti gli abitanti della zona. Prima dell’Unità,  il polo siderurgico calabrese era una realtà industriale d’interesse internazionale.  La prima ferrovia del Regno delle due Sicilie, la Napoli-Portici,  inaugurata nel 1839, si fece col ferro di Mongiana. In quell’area si concentravano le ferriere di Stilo, Pazzano e Mongiana, e nel 1769 fu creato, al centro delle Serre, lo stabilimento siderurgico di Mongiana. “Dalle Serre – documenta  lo storico Augusto Placanica – il ferro,  fucinato e lavorato, con produzione fra l’altro  di fucili e cannoni per l’esercito, veniva portato alla marina di Pizzo, e di qui avviato per mare ai mercati d’assorbimento”.  Con i  Borboni,  le ferriere calabresi fecero parte del piano della metallurgia voluto  da Ferdinando IV e furono il mercato più generoso per l’occupazione serrese.  Tutto finì con Garibaldi.  Sbarcato in Calabria  e salendo lungo la costa tirrenica,  sostò a Pizzo e da lì inviò 1370 uomini comandati dal capitano Antonio Garcea con l’ordine di occupare Mongiana, “requisire lo stabilimento, la fabbrica d’armi, cosi importante per l’economia di quella marcia verso Napoli”.  Qualche innocua fucilata e la resa dei 25 borbonici  a guardia di Mongiana. 

Le ferriere di MongianaCessavano di esistere le ferriere con la nascita  dell’Italia liberale. “L’antica isola d’industria mineraria che – scrive lo storico Pietro Bevilacqua - in età borbonica aveva prodotto quantità rilevanti di materiale ferroso  entrò in crisi a causa delle scelte economiche dei governi liberali che ebbero in Calabria conseguenze anche immediate. L’industria mineraria fu indubbiamente quella che per essere legata alle commesse governative sentì più repentinamente gli effetti della nuova situazione”. La corposa  denuncia di  De Stefano/ Matacena è  scolpita nei numeri della massiccia   emigrazione che si ebbe nelle Serre,   specie alla fine dell’Ottocento. “Lo Stato unitario privilegiò subito la componente piemontese-ligure. Il nuovo governo favori spudoratamente la siderurgia ligure, tant’è che l’Ansaldo, che prima del 1860 contava la metà dei dipendenti di Mongiana, a Italia fatta li raddoppia, mentre, allo stesso tempo, sono dimezzati quelli del Meridione.   Se oggi il Sud è degradato e diverso dal Nord si deve molto a quella lontana concezione di unità”.

Parole  di fuoco pronunciò  Nicola Zitara, meridionalista calabrese, su quella “strage” che lo Stato  appena nato fece  in Calabria: “L’unità d’Italia ha tutt’altro che occidentalizzato il Mezzogiorno. L’unificazione del mercato nazionale gli   ha spezzato le reni”. Migliaia di famiglie sul lastrico.

Un'industria d'interesse strategico per il Regno delle due Sicilie fu cancellata con un tratto di penna. E un’area della Calabria  condannata all’inedia e alla fuga.  Ancora nel 1861 la “Real Ferriera” è premiata all’Esposizione industriale di Firenze e nel 1862 all’Esposizione industriale di Londra, ma lo Stato italiano la butta via. Ebbene, il torto fatto oggi s’intende riconoscerlo e cercare di ripararlo? L’occasione è propizia.   Lo Stato chieda scusa alle Serre calabresi e, anziché  buttare soldi in convegni,  organizzi  la  riproduzione più verosimile degli antichi stabilimenti per farne n’attrazione turistica e un polo  culturale con annesso museo multimediale.  Si completi, da qui al 2011, nominando un commissario nella figura di un prestigioso prefetto cui assegnare poteri straordinari, la Trasversale delle Serre, simbolo di uno Stato non liberista o colbertista,  ma arruffone e senza nerbo.  Si ridia   l’opportunità di riprendere il filo della memoria  alle  Serre e  la possibilità ai suoi abitanti  di sentirsi non più figli  di un’Italia minore. 


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