3 novembre 2009    

XIX Rapporto sull'Immigrazione
Sintesi del Dossier Caritas/Migrantes




I NUOVI DATI: OLTRE 4 MILIONI DI IMMIGRATI IN ITALIA

Anche nello scenario di crisi economica e occupazionale, delineatosi alla fine del 2008 e rafforzatosi nel corso del 2009, l’immigrazione non ha arrestato la sua crescita. L’aumento annuo di 250 mila unità, considerato nelle previsioni dell’Istat come scenario alto, è risultato inferiore a quanto effettivamente avvenuto (+458.644 residenti nel 2008, +13,4% rispetto all’anno precedente).

I cittadini stranieri residenti erano 2.670.514 nel 2005 e sono risultati 3.891.295 alla fine del 2008, ma si arriva a circa 4.330.000 includendo anche le presenze regolari non ancora registrate in anagrafe. Incidono, quindi, tra il 6,5% (residenti) e il 7,2% (totale presenze regolari) sull’intera popolazione; ma il dato arriva al 10% se si fa riferimento alla sola classe dei più giovani (minori e giovani fino ai 39 anni). Se poi si tiene conto che la regolarizzazione di settembre 2009, pur in tempo di crisi, ha coinvolto quasi 300 mila persone nel solo settore della collaborazione familiare, l’Italia oltrepassa abbondantemente i 4,5 milioni di presenze: siamo sulla scia della Spagna (oltre 5 milioni) e non tanto distanti dalla Germania (circa 7 milioni).

Il 2008 è stato il primo anno in cui l’Italia, per incidenza degli stranieri residenti sul totale della popolazione, si è collocata al di sopra della media europea e, seppure ancora lontana dalla Germania e specialmente dalla Spagna (con incidenze rispettivamente dell’8,2% e dell’11,7%), ha superato la Gran Bretagna (6,3%). Nei Paesi di più antica tradizione migratoria, però, è molto più elevato il numero di cittadini nazionali di origine immigrata, essendo più agevole la normativa  sull’accesso alla cittadinanza: in Francia il 23% della popolazione ha genitori o nonni di origine immigrata; in Germania, mentre i cittadini stranieri sono scesi a circa l’8%, quelli con un passato migratorio raggiungono ben il 18%. In Italia, dove questa distinzione non è statisticamente agevole, nel 2008 si è giunti a quasi 40 mila casi di acquisizione di cittadinanza a seguito di matrimonio o di anzianità di residenza. La copertina del Dossier Immigrazione 2009

Continua a prevalere la presenza di origine europea (53,6%, per più della metà da Paesi comunitari). Seguono gli africani (22,4%), gli asiatici (15,8%) e gli americani (8,1%). Risulta fortemente attenuato il policentrismo delle provenienze, che per molti anni è stato una spiccata caratteristica dell’immigrazione italiana: le prime 5 collettività superano la metà dell’intera presenza (800 mila romeni, 440 mila albanesi, 400 mila marocchini, 170 mila cinesi e 150 mila ucraini). A livello territoriale il Centro (25,1%) e il Meridione  (12,8%) sono molto distanziati dal Nord quanto a numero di residenti stranieri (62,1%), così come il Lazio (11,6%) lo è dalla Lombardia (23,3%), tra l’altro preceduto, seppure di poco, dal Veneto (11,7%).

Il dinamismo della popolazione straniera è da ricondurre principalmente alla sua evoluzione demografica da una parte e alla domanda di occupazione del Paese dall’altra, mentre influiscono in misura veramente minima le poche decine di 2 migliaia di sbarchi, pari a meno dell’1% della presenza regolare.  Nel 2008 sono state 36.951 le persone sbarcate sulle coste italiane, 17.880 i rimpatri forzati, 10.539 gli stranieri transitati nei centri di identificazione ed espulsione e 6.358 quelli respinti alle frontiere. Non si tratta neppure di un cinquantesimo rispetto alla presenza di immigrati regolari in Italia, eppure il contrasto dei flussi irregolari ha monopolizzato l’attenzione dell’opinione pubblica e le decisioni politiche; tanto più che il rapporto tra allontanati e intercettati è di 34 ogni 100 (il più basso dal 2004) e si registra una crescente confusione tra immigrati “clandestini”, irregolari, richiedenti asilo e persone aventi diritto alla protezione umanitaria.

 

SOTTOSVILUPPO, MIGRAZIONI E UNIONE EUROPEA

La popolazione mondiale a fine 2008 è arrivata a 6 miliardi e 829 milioni e il ritmo di crescita, seppure rallentato rispetto al passato, non si è interrotto. Nel 2025 gli abitanti della Terra raggiungeranno gli 8 miliardi e incrementeranno la loro concentrazione nelle città, specialmente nei Paesi in via di sviluppo (Pvs), dove un terzo della popolazione vive in baraccopoli. Nei Paesi a sviluppo avanzato (Psa) rimarrà solo un quinto della forza lavoro mondiale: basti pensare che, alla stessa data, in Europa è prevista una diminuzione di 38 milioni di persone e in Africa l’aumento di un miliardo.

Le migrazioni si collocano nel contesto di un mondo ingiusto e inducono a prendere in considerazione le ragioni dei Paesi di origine. La ricchezza mondiale è tale da poter assicurare a ogni abitante i mezzi per vivere dignitosamente (a parità di potere d’acquisto, il PIL pro capite è di 10.206 dollari): una finalità attualmente impossibile a causa della sua ineguale distribuzione. I Pvs, dove vive l’85% della popolazione, non hanno a disposizione neppure la metà della ricchezza mondiale (46,1%) e si attestano su un reddito medio pro

capite di 5.500 dollari, contro i 36.000 dollari dei Psa. Le condizioni dei singoli Paesi sono molto differenziate e ancora troppe persone vivono in condizioni di povertà strutturale, concentrate specialmente in Africa e in Asia. Le persone che soffrono la fame sono aumentate e arrivano a un miliardo. Alla fine del 2008 sono state 42 milioni le persone costrette alla fuga da guerre e persecuzioni. Vi sono milioni di persone che non dispongono neppure di 1 dollaro al giorno, e altre, nei Paesi ricchi, che in media ne hanno a disposizione 100 al giorno.

Si ripete lo slogan di “aiutare gli immigrati a casa loro”, con l’intento di far passare per sagge politiche restrittive alle quali corrisponde il disimpegno sul piano degli aiuti. I “grandi della Terra”, nei loro incontri, rinnovano le promesse di intervento, ma si tratta degli stessi impegni presi nel passato e finora non mantenuti. Molti Psa, e in particolare l’Italia, sono ben lontani dal devolvere per lo sviluppo lo 0,7% del Prodotto interno lordo, stabilito come obiettivo minimo a livello internazionale. È vero che l’Italia è un Paese con molti problemi (povertà, usura, stipendi bassi, questione del Mezzogiorno ecc.), ma ciò non giustifica il disimpegno rispetto al problema dello sviluppo mondiale e neppure la chiusura nei confronti dell’immigrazione.

Piccole economie, come quella della Moldavia, ricevono dalle rimesse più di un quarto del Pil nazionale: si può immaginare cosa capiterebbe se, in cambio di un improbabile aiuto in loco, venisse meno il contributo degli emigrati di quel Paese. Lo stesso si può dire di molti altri Stati, per i quali gli emigrati sono una diffusa fonte di sostegno e di speranza. Tra i 200 milioni di migranti nel mondo, si contano ben 12,3 milioni di vittime di sfruttamento lavorativo e 1,4 milioni di vittime di sfruttamento sessuale, con una vasta area di irregolarità che di per sé espone più facilmente alla precarietà e ai soprusi.

In questo scenario l’Europa si conferma come l’area di maggiore presenza, ospitando circa un terzo del totale dei migranti. Nell’UE a 27 gli immigrati sono 38,1 milioni, con un’incidenza del 6,2% sui residenti: più di un terzo proviene da altri Stati membri (36,7%), ma ormai si rischia di considerare “stranieri” anche i comunitari, dei quali gli italiani costituiscono in diversi paesi una parte cospicua. L’immigrazione continua a essere uno dei temi caldi e gli organismi dell’Unione Europea si sono occupati in prevalenza del controllo dei flussi e dei rimpatri, mentre è rimasto in sordina l’obiettivo della convivenza nella diversità. In quest’ultimo decennio la Spagna e l’Italia sono stati, nell’Unione, i Paesi  maggiormente interessati dall’immigrazione e in essi ha trovato sbocco la maggior parte dei flussi: nei due Paesi sono stati superati, rispettivamente, i 5 e i 4 milioni di immigrati (5.262.000 e 4.330.000), con un aumento decennale di cinque e di tre volte. Gli Stati mediterranei sono entrati a far parte, così, dei grandi Paesi di immigrazione. Nel 2008 la popolazione straniera nell’Unione a 27 è aumentata di circa 1,5 milioni, un buon quarto dei quali da attribuire all’Italia, lo Stato membro in cui la presenza straniera è maggiormente cresciuta in termini assoluti. Questo primato comporta un ruolo di maggiore responsabilità e c’è da chiedersi se esso sia stato adeguatamente esercitato.

 

DEMOGRAFIA, MINORI E SCUOLA

In Italia, 1 abitante su 14 (7,2%) è di cittadinanza straniera. L’incidenza è maggiore tra i minori e i giovani adulti (18-44 anni), con conseguente maggiore visibilità a scuola e nel mercato del lavoro.  Più di un quinto della popolazione straniera è costituito da minori (862.453), 5 punti percentuali in più rispetto a quanto avviene tra gli italiani (22% contro 16,7%). I nuovi nati da entrambi i genitori stranieri (72.472) hanno inciso nel 2008 per il 12,6% sulle nascite totali registrate in Italia, ma il loro apporto è pari a un sesto se si considerano anche i figli di un solo genitore straniero. Ad essi si sono aggiunti altri 40.000 minori venuti a seguito di ricongiungimento. Tra nati in Italia e ricongiunti, il 2008 è stato l’anno in cui i minori, per la prima volta, sono aumentati di oltre 100 mila unità. A chiedere il ricongiungimento il più delle volte (65,6%) è una persona sola; negli altri casi l’interessato vive con uno o più individui, a testimonianza di un processo di inserimento sempre più avanzato.

L’età media degli stranieri è di 31 anni, contro i 43 degli italiani. Tra i cittadini stranieri gli ultrasessantacinquenni sono solo il 2%. L’immigrazione è dunque anche una ricchezza demografica per la popolazione italiana, che va incontro al futuro con un tasso di invecchiamento accentuato; e lo è specialmente per i Comuni con meno di 5.000 abitanti, molti dei quali senza questo supporto sarebbero in prospettiva a rischio di spopolamento.

Gli alunni figli di genitori stranieri, nell’anno scolastico 2008/2009, sono saliti a 628.937 su un totale di 8.943.796 iscritti, per un’incidenza del 7%. L’aumento annuale è stato di 54.800 unità, pari a circa il 10%. L’incidenza più elevata si registra nelle scuole elementari (8,3%) e, a livello regionale, in Emilia Romagna e in Umbria, dove viene superato il 12%, mentre si scende al 2% al Sud e nelle Isole. Di questi studenti, 1 ogni 6 è romeno, 1 ogni 7 albanese e 1 ogni 8 marocchino, ma si rileva di fatto una miriade di nazionalità, veramente un “mondo in classe”, come mettono in evidenza i progetti interculturali.

Si tratta di alunni “stranieri” per modo di dire, perché quasi 4 su 10 (37%) sono nati in Italia e di questo Paese si considerano cittadini; e il rapporto sale a ben 7 su 10 tra gli iscritti alla scuola dell’infanzia. Per costoro la lingua, spesso invocata come motivo di separazione, non costituisce un ostacolo; e così potrebbe essere anche per i ragazzi ricongiunti nel corso dell’anno, a condizione di potenziare le misure di sostegno per l’apprendimento dell’italiano.

Questi giovani condividono con i coetanei italiani comportamenti, gusti, consumi, incertezze esistenziali. Soprattutto le ragazze puntano all’emancipazione economica e individuale, spesso con conseguenti strappi con la famiglia e le tradizioni di origine. Differenze si riscontrano, invece, nel percorso scolastico, a causa di problemi di ritardo, dispersione, insuccesso, specialmente nella scuola secondaria superiore: ragionando in termini di sistema per il futuro del Paese, bisognerà ridurre questo svantaggio, dotando la scuola dei mezzi e del personale necessari.

Nelle università italiane, a differenza di quanto avviene nelle scuole e anche a differenza di quanto si riscontra nei grandi Paesi europei, la presenza internazionale è ridotta ed è straniero (o perché venuto appositamente dall’estero o perché figlio di genitori stranieri residenti in Italia) solo 1 ogni 35 iscritti, con concentrazioni particolarmente elevate negli atenei di Roma “La Sapienza”, Bologna, Torino, Firenze e Padova.

I 51.803 universitari esteri, dei quali 11.500 immatricolati nell’ultimo anno, si orientano maggiormente verso le facoltà di economia e di medicina. A laurearsi nel 2007 sono stati in 5.842 ed è probabile che la maggioranza ritornerà nei Paesi di origine.

 La scheda inerente i dati della Calabria

IMMIGRATI E MONDO DEL LAVORO

Anche in un anno di crisi incipiente, come è stato il 2008, l’apporto degli immigrati è risultato così necessario da far aumentare il loro numero tra gli occupati di 200 mila unità. Del resto, nel mercato occupazionale italiano l’internazionalizzazione è in corso da tempo e i lavoratori nati all’estero sono il 15,5% del totale. Tra di essi non mancano gli italiani di ritorno (a testimonianza degli oltre 4 milioni di emigrati italiani residenti all’estero), ma la stragrande maggioranza è costituita da lavoratori stranieri, il cui afflusso si è incrementato specialmente nell’ultimo decennio.

I lavoratori stranieri in senso stretto sono quasi un decimo degli occupati e contribuiscono per una analoga quota alla creazione della ricchezza del Paese, come posto in risalto, rispettivamente, dalle indagini trimestrali dell’Istat sulla forza lavoro e dalle ricerche di Unioncamere. Come risaputo, i motivi di lavoro sono, insieme ai motivi familiari, quelli che attestano il carattere di insediamento stabile dell’immigrazione. Si tratta di persone spesso inserite da molti anni sul posto di lavoro e che, superando difficili condizioni di partenza, oggi presentano queste caratteristiche:

• un tasso di attività di 11 punti più elevato rispetto alla media (73,3 vs 62,3);

• estrema motivazione a riuscire, per il fatto che per loro la migrazione rappresenta una scelta esistenziale forte;

• disponibilità a svolgere un’ampia gamma di lavori, da cui deriva anche la loro alta concentrazione nei settori meno appetibili per gli italiani;

• esposizione a maggiori condizioni di rischio sul lavoro (143.651 infortuni nel 2008, dei quali 176 mortali);

• scarso grado di gratificazione (soprattutto per via del mancato riconoscimento delle qualifiche e dell’inserimento in posti occupazionali di basso livello);

• necessità di sostenere i familiari rimasti in patria (ai quali nel 2008 hanno inviato 6,4 miliardi di € con le rimesse);

• sottoposizione ad atteggiamenti di diffidenza e, da ultimo, anche di ostilità, con ricorrenti atti di vero e proprio razzismo.

Di questi circa 2 milioni di lavoratori immigrati, quasi 1 milione si è iscritto ai sindacati, mostrando così la volontà di tutelare la dignità del proprio lavoro e prefigurando altresì quanto potrà avvenire nei circoli culturali, in quelli sportivi, negli uffici e in altre strutture aggregative a seguito della loro progressiva partecipazione. 1 milione sono anche, secondo

stime, le donne immigrate che si prendono cura delle nostre famiglie. La regolarizzazione realizzatasi a settembre 2009 e chiusasi con 294.744 domande di assunzione di lavoratori non comunitari come collaboratori familiari o badanti (queste ultime pari a un terzo del totale), seppure tempestata di polemiche nella fase di approvazione, ha evidenziato ancora una volta la complementarità tra esigenze della popolazione italiana e disponibilità di quella immigrata; inoltre, con alcune ulteriori accortezze, il provvedimento avrebbe  consentito l’emersione di un numero maggiore di persone, con benefici innegabili non solo per esse stesse e per le famiglie da assistere, ma anche per lo Stato: l’operazione ha fruttato, infatti, 154 milioni di euro in contributi arretrati e marche, mentre nel periodo 2010-2012 farà entrare nelle casse dell’Inps 1,3 miliardi di euro supplementari. Anche il settore del lavoro imprenditoriale, nonostante le difficoltà della fase congiunturale, è  riuscito a mantenere un certo dinamismo: attualmente si contano 187.466 cittadini stranieri titolari di impresa, in prevalenza a carattere artigiano, che garantiscono il lavoro a loro stessi e anche a diversi dipendenti (attorno ai 200 mila, secondo la stima riportata nel libro ImmigratImprenditori della Fondazione Ethnoland).

Questo settore, tenendo anche conto dei soci e delle persone coinvolte in altri ruoli, movimenta mezzo milione di persone, un aspetto non trascurabile in un momento in cui l’economia ha bisogno di traino, tanto più che nel caso degli immigrati è stata finora realizzata solo la metà delle loro effettive potenzialità nel mondo dell’imprenditoria.

Nel clima di grande commozione che ha suscitato il terremoto de L’Aquila del 6 aprile 2009, merita sottolineare come presenza, lavoro e convivenza tra italiani e immigrati vadano sempre più strettamente intrecciandosi, sia nelle giornate normali come in quelle della disgrazia. Su 291 vittime del terremoto, 19 nominativi sono stranieri, quasi il 7% delle vittime identificate, al di sopra dell’incidenza dei cittadini stranieri in Abruzzo che è del 4,5%. Anche in questo triste evento, il contributo degli immigrati è molto elevato, ruolo del resto comprensibile se si tiene conto che nella zona dell’aquilano vi sono molti immigrati dediti alla pastorizia e ai lavori agricoli, specialmente macedoni, albanesi e romeni (quest’ultimi a lungo stigmatizzati come una collettività “canaglia”).

Gli immigrati, associati in maniera ricorrente alla criminalità, evidenziano invece il basso tasso di legalità del nostro Paese, come dimostrano le assunzioni in nero, il ricorso al caporalato, l’evasione contributiva, l’inosservanza delle norme contrattuali, il mancato riconoscimento delle qualifiche. Per questi motivi, l’azione svolta per liberare le donne vittime della tratta è stata allargata anche alle vittime di sfruttamento lavorativo e, dal 2000, in media ogni anno sono state assistite 1.200 persone con progetti finanziati dal Dipartimento delle Pari Opportunità.

 

APPROFONDIMENTI SU CRIMINALITÀ

E APPORTO FINANZIARIO

Dei diversi approfondimenti condotti dal Dossier segnaliamo quelli riguardanti il rapporto tra immigrazione e criminalità e quello sul loro apporto contributivo fiscale. Tra gli italiani intervistati di recente, 6 su 10 attribuiscono agli stranieri un tasso di criminalità più alto e, perciò, è necessario approfondire i dati statistici disponibili e rispondere in maniera argomentata a tre questioni: è quanto ha cercato di fare il Dossier con l’agenzia “Redattore Sociale”.

Prima questione: se l’aumento della criminalità sia dovuto in maniera più che proporzionale all’aumento della popolazione residente. La risposta è negativa. Nel periodo 2001- 2005 l’aumento degli stranieri residenti è stato del 101% e l’aumento delle denunce presentate contro stranieri del 46%. Alla stessa conclusione è giunta la Banca d’Italia in una ricerca imperniata sui dati relativi al periodo 1990-2003.

Seconda questione: se gli stranieri regolari siano caratterizzati da un tasso di criminalità superiore a quello degli italiani. A prima vista sembrerebbe proprio così: nel 2005 l’incidenza degli stranieri sulla popolazione residente è stata del 4,5% e l’incidenza sulle denunce penali con autore noto del 23,7% (130.131 su 550.590). In realtà, solo nel 28,9% dei casi sono implicati stranieri legalmente presenti e ciò abbassa il loro tasso di criminalità, che scende ulteriormente ipotizzando che anche gli italiani che delinquono  siano per il 92,5% concentrati tra i ventenni e i trentenni (come accade tra gli stranieri) e considerando che il confronto non tiene conto dei reati contro la normativa sull’immigrazione: alla fine, il tasso di criminalità risulta essere analogo per italiani e stranieri.

Terza questione: se gli stranieri irregolari si caratterizzino per i loro comportamenti delittuosi. È vero che, in proporzione, sono più elevate le denunce a loro carico, da riferire in parte al loro stato di maggiore precarietà e in parte anche al loro coinvolgimento nelle spire della criminalità organizzata.

Tuttavia, risulta infondata l’equiparazione tra irregolare e delinquente, come dimostra il fatto che la metà degli attuali quattro milioni di residenti sono stati irregolari, come lo erano, fino al mese di agosto 2009, le 300 mila collaboratrici familiari prima della domanda di emersione. Il boom della criminalità era già avvenuto in Italia all’inizio degli anni ’90 e, rispetto ad allora, il livello delle denunce è rimasto lo stesso. Certamente anche gli immigrati possono delinquere e su questo bisogna vigilare, senza tuttavia trasformarli in un capro espiatorio del nostro disagio sociale. Sul piano economico i dati relativi al 2007 evidenziano, innanzi tutto, il consistente apporto degli immigrati all’economia italiana: si tratta, secondo Unioncamere, di 134 miliardi di euro, pari al 9,5% del prodotto interno lordo. I versamenti contributivi effettuati all’Inps sono stati stimati dal Dossier pari a oltre 7 miliardi di euro, dei quali oltre 2,4 miliardi pagati direttamente dai lavoratori stranieri e la restante quota dai datori di lavoro. Invece, la stima del gettito fiscale, includendo le tasse più rilevanti, è di oltre 3,2 miliardi di euro.

Ne deriva che, direttamente dalle buste paga dei lavoratori immigrati, provengono in totale 5,6 miliardi di euro (ma secondo la Cgia anche di più). Pur nella difficoltà di calcolare l’incidenza degli immigrati sulla spesa sociale, non mancano i tentativi in tal senso e la Banca d’Italia stima che agli immigrati vada il 2,5% di tutte le spese di istruzione, pensione, sanità e prestazioni di sostegno al reddito, all’incirca la metà di quello che assicurano in termini di gettito.

 

SOCIETÀ E CONVIVENZA

Sono consistenti gli indicatori di un intreccio sempre più stretto tra i nuovi venuti e la società che li ha accolti, che vanno oltre il piano lavorativo. Le acquisizioni di cittadinanza (39.484 nel 2008) sono quadruplicate rispetto al 2000 e più che quintuplicate (53.696) se si tiene conto anche delle cittadinanze riconosciute direttamente dai Comuni. Neppure la rigidità della normativa costituisce un freno al dinamismo dell’integrazione e ormai in 4 casi su 10 l’acquisizione della cittadinanza viene concessa a seguito della residenza previamente maturata. Nonostante ciò l’Italia resta nettamente distanziata dagli altri Paesi europei per numero di concessioni (solo settima in graduatoria), proprio in conseguenza di un impianto normativo restrittivo.

Un altro indicatore significativo sono i matrimoni misti. In 12 anni (1995-2007) sono stati celebrati 222.521 matrimoni misti, dei quali 23.560 nell’ultimo anno, pari a circa un decimo

del totale. Questi matrimoni sono una frontiera avvincente ma a volte difficile da presidiare: non mancano, infatti, i fallimenti (il 6,7% delle separazioni e il 5,7% dei divorzi

riguardano queste coppie), anche perché spesso manca, oltre che la preparazione individuale a un approccio interculturale della relazione, anche un humus sociale che la ostenga.

In ogni caso, considerando che separazioni e divorzi incidono nella stessa misura della popolazione straniera su quella complessiva e, soprattutto, in misura inferiore a quella dei

matrimoni misti sul totale dei matrimoni celebrati in un anno, il dato non costituisce una particolare anomalia. Anche la volontà di acquistare casa nel Paese di elezione, nonostante le previsioni rigide della normativa in caso di disoccupazione, si sta affermando sempre più: oltre un decimo della popolazione immigrata, infatti, è diventata proprietaria di un appartamento. La crisi congiunturale e la difficoltà di accesso al credito non potevano non causare una diminuzione delle compravendite di case da parte degli immigrati, per giunta con l’importo medio delle transazioni sceso a 113.000 euro. Sono dunque concordi gli indicatori statistici su questa voglia di integrazione, a cui purtroppo sembra corrispondere, da parte di molti italiani, l’impulso a contrastarla.

Sono state migliaia le segnalazioni all’Unar, delle quali 511 riconducibili a qualche forma di discriminazione, in 4 casi su 10 riguardanti immigrati africani, segnatamente maghrebini. Il lavoro e la casa sono gli ambiti più problematici per quanto riguarda le pari opportunità,  come pure il rapporto con gli enti pubblici, nei cui confronti si sono sollevate lamentele nel 13% delle segnalazioni. La gravità delle condizioni lavorative e abitative è confermata dai dati dei Centri d’ascolto della rete Caritas (372 centri, in rappresentanza di 137 diocesi, ai quali si sono rivolte 80.041 persone nel 2008), i quali attestano che, rispetto agli italiani, gli immigrati si presentano molto più raramente per richiedere un aiuto economico (7% contro 21%).

A turbare molti, per una malintesa volontà di difesa della religione cristiana, è il panorama multireligioso: in realtà oltre la metà degli immigrati è cristiana, i musulmani sono un terzo, le religioni delle tradizioni orientali meno di un decimo e poi, in misura più ridotta, seguono altre appartenenze. Secondo l’Agenzia europea per i diritti fondamentali, l’Italia è tra gli Stati membri più intolleranti nei confronti dei musulmani: 1 intervistato su 3 ha dichiarato di aver subìto un atto discriminatorio negli ultimi 12 mesi. Più positiva è l’esperienza che si sta facendo con gli ortodossi, i cui preti celebrano il rito liturgico nelle chiese cattoliche. Senza confusioni e sincretismi, questo nuovo scenario dovrebbe aiutare a far riscoprire il senso religioso, a lavorare insieme per le opere di pace e il benessere della società e a non usare Dio come un’arma contro i fedeli di altre religioni.

Vissuta così, la presenza multireligiosa può costituire un’opportunità di crescita individuale e collettiva, con riflessi positivi anche sui Paesi di origine. Le remore da parte degli italiani, a livello sociale, culturale e religioso, hanno trovato una sponda nel cosiddetto “pacchetto sicurezza” (legge 94/2009), che si è occupato dell’immigrazione solo con misure di carattere restrittivo, così che, anche a prescindere dal merito delle misure previste, è proprio questa unilateralità che lascia insoddisfatti. Tra i provvedimenti, del resto, si segnalano l’introduzione di un versamento di 200 euro a carico di chi richiede la cittadinanza o il rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno, come anche la previsione di un permesso di soggiorno a punti, che qualcuno ha paragonato a una patente a punti che di fatto è solo a perdere.

 

PREDISPORSI A UNO SCAMBIO POSITIVO

Per la Caritas e per la Migrantes è fondamentale riconoscere la verità nella carità e unire, perciò, la conoscenza alla solidarietà, secondo l’insegnamento biblico ripreso da Papa Benedetto XVI nelle sue recenti encicliche e dalla Conferenza Episcopale Italiana con l’indicazione che “la vera sicurezza nasce dall’integrazione”.

L’Italia fa sempre più parte integrante dello scenario mondiale e, del resto, è dall’estero che ricaviamo circa la metà della nostra ricchezza. I 4 milioni di cittadini stranieri in Italia, come i 4 milioni di cittadini italiani all’estero, ricordano la necessità di inquadrare le questioni nazionali in un’ottica più ampia.

I dati del Dossier 2009 sottolineano che gli stranieri non sono persone dal tasso di delinquenza più alto, non stanno dando luogo a una invasione di carattere religioso, non consumano risorse pubbliche più di quanto versino con tasse e contributi, non sono disaffezionati al Paese che li ha accolti e, al contrario, sono un efficace ammortizzatore demografico e occupazionale. I “grandi numeri” esposti nel XIX rapporto sull’immigrazione Caritas/Migrantes rivestono anche un valore qualitativo rilevante ai fini della convivenza sociale. Continuiamo a considerare stranieri gli immigrati e a trattarli come tali, anche se lo sono giuridicamente ma non nei fatti. Invece, per prepararsi alla società di metà secolo,  quando secondo le previsioni un terzo della popolazione italiana avrà superato i 65 anni, gli immigrati sono una ricchezza indispensabile ed è in questa prospettiva che sono auspicabili politiche sociali e familiari più incisive, superando la tentazione dell’estraneità e favorendo l’inserimento, anche con la partecipazione al voto amministrativo e la revisione della normativa sulla cittadinanza, troppo rigida non solo per i bambini nati in Italia ma anche per i loro genitori insediati stabilmente. A causa del nostro atteggiamento chiuso, i giovani immigrati si sentono più cittadini del mondo che italiani (35% contro 24% delle risposte nell’indagine dell’Università Bocconi): parlano più lingue, ma paradossalmente rischiano di essere emarginati.

Nel dibattito pubblico non manca chi sostiene che nella nostra società è accettabile una presenza multietnica ma non multiculturale, e tanto meno interculturale, dunque una sorta

di mera presenza fisica in assenza di scambi, intrecci e fusioni, secondo un’impostazione di separatezza. Viene così riproposta la concezione dei “lavoratori ospiti”, che la Germania ha

definitivamente superato puntando, invece, sull’integrazione che, seppure attualmente eclissata da un’eccessiva insistenza sulla sicurezza, è la chiave che permette di gestire adeguatamente quanto sta avvenendo e quanto avverrà in futuro.

La scelta da parte di Caritas e Migrantes dello slogan “conoscenza e solidarietà” è un invito a soffermarsi sull’impatto che l’immigrazione può esercitare sul piano della convivenza. Nell’attuale situazione, segnata da un tasso di natalità ancora molto basso, questo innesto va gestito e non contrastato per principio, portando gli immigrati a sentirsi inseriti nella società, a rispettarne le leggi, a coglierne le possibilità di partecipazione e a dare tutto il loro apporto per la crescita del Paese. L’auspicio di Caritas e Migrantes è che, come molti Paesi nel mondo hanno costruito il loro sviluppo con l’apporto degli italiani, così anche l’Italia sappia costruire il suo futuro con l’apporto degli immigrati. Il nostro futuro, infatti, ha sempre più bisogno di uno scambio positivo tra la popolazione autoctona e quella di origine immigrata.

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