12 maggio 2005    

Un bilancio della VII legislatura e alcune criticità (di Romano Pitaro)


 

Quando lo storico esaminerà, col suo comodo, l’andamento della VII legislatura regionale, non sarà inflessibile quanto lo sono oggi, a caldo, gli osservatori quotidiani degli accadimenti politici regionali. Dovrà, infatti, tenere conto di alcune novità legislative e politiche che hanno influenzato la legislatura come mai era accaduto in passato.
Tra le pur positive realizzazioni del Consiglio regionale (leggi sull’urbanistica e per il trasferimento delle deleghe agli enti locali, dibattiti qualificati sulla mafia e sulle riforme istituzionali, la dichiarazione sulla Costituzione europea siglata da tutte le Assemblee regionali d’Europa a Reggio Calabria, il ricordo della morte, con la collocazione di un pregevole monumento a San Giovanni in Fiore, di centinaia di minatori in una tragedia assurdamente dimenticata e verificatasi a Monongah nel West Virginia un secolo fa) si segnalano tuttavia talune criticità. A futura memoria, come si suole dire.
Alcune vistose; dei fenomeni negativi che hanno attraversato i cinque anni (2000/2005) della legislatura e che, in un certo senso, l’hanno condizionata fino a provocare una sorta di depressione dell’Assemblea legislativa, privata, più volte, dell’indispensabile confronto aperto, leale e costruttivo con l’Esecutivo regionale. Lasciata, spesso, sola; anche dinanzi a problematiche di rovente attualità.
Una criticità è riscontrabile, senz’altro, nelle cesure tra Giunta e Consiglio, tra Esecutivo e Legislativo, tra Presidente della Regione e Consiglio (compresa la sua maggioranza), che hanno movimentato la legislatura. Su questo punto, la severità dei cronisti si attenuerà nel giudizio dello storico, che dovrà tenere conto dell’introduzione di circostanze, in buona parte, inedite nella legislatura da poco sfumata.
Infatti, dopo trent’anni di vita regionale, mummificata nelle regole e intrisa, fino al midollo, di proporzionalismo e anche di sana (o insana seconda altri) cogestione tra Giunta e Consiglio, il Parlamento ha, in un contesto di riforme generali che sono parte di una transizione istituzionale ancora non chiusa, calato sul banco un carico da undici: la legge costituzionale n. 1 del 1999.
La riforma che ha introdotto l’elezione diretta del Presidente ha sbilanciato, sostanzialmente, l’equilibrio dei poteri fra i due organi della Regione. A netto vantaggio del Presidente, che, sommando poteri enormi, spesso agitando ciò che è stato definito ‘l’equilibrio del terrore’, sintetizzabile nella formula simul stabunt simul cadent, ha finito col rifiutare persino d’ascoltare le rimostranze, le obiezioni, le richieste di chiarimenti dei consiglieri regionali.
Non poche volte assessori, persino assessori esterni, hanno, diciamo così, snobbato l’Assemblea regionale. Irriso quasi le sue pretese di chiarimenti, quando addirittura non si sono scontrati pubblicamente (persino sui giornali) con consiglieri, rappresentanti del popolo eletti nei collegi, rei di reclamare spiegazioni, o addirittura la semplice presenza dell’assessore X nella Y Commissione per avere, dalla viva voce dell’assessore, le delucidazioni su una specifica questione attinente l’attività istituzionale.
Alcune volte l’assessore esterno non è neppure andato in Commissione. Mettendone in crisi l’identità, l’autorevolezza, l’utilità istituzionale. O s’è presentato a cose fatte nel Palazzo della Giunta regionale di Catanzaro.
L’emblematica vicenda della cittadella regionale, in questo senso, costituisce un caso indicativo della discrasia tra visione dell’Esecutivo, su un problema di portata strategica, e visione dell’Assemblea. Quest’ultima, pur avendo deliberato – sia nella VI che nella VII legislatura – la scelta di un sito dove ubicare il Palazzo della Regione a Catanzaro, ha subìto, su tutta la linea, la scelta politica unilaterale dell’Esecutivo. Tralasciando le torsioni e le incongruenze, con risvolti, come si ricorderà, anche di carattere giudiziario, dell’intera vicenda, l’esempio della cittadella regionale, dà la cifra dell’incomunicabilità tra i due organi, entrambi legittimati dai cittadini col voto, della Regione.
Ciò ha prodotto alla Regione, e quindi, alla Calabria, un incalcolabile danno d’immagine, ma anche di operatività e di efficacia. Se aggiungiamo che l’Esecutivo non ha dialogato neanche con le forze sociali - Confindustria compresa - si deduce che la Calabria non è riuscita, specie nel dialogo col Governo e l’Europa, a fare sistema. Ad avere, cioè, la forza necessaria, che soltanto l’unione di più parti politiche e sociali consente, per focalizzare le grandi tematiche dello sviluppo mancato ed indurre il Governo, il Parlamento e il sistema economico nazionale a guardare alla Calabria con una rinnovata volontà di fare.
Ecco, pertanto, un errore che nella nuova legislatura occorrerà assolutamente evitare. Magari indicando, da parte dell’Esecutivo, un assessore in grado di tenere lubrificato il canale di comunicazione tra la Giunta e l’Assemblea . Addirittura, il modo di funzionare di questo filtro potrà offrire agli osservatori, la misura della funzionalità dell’intera Regione nei prossimi anni. Più il dialogo, bidirezionale, è fluido, più funziona la Regione.
La dimostrazione di una separazione in casa, netta e scostante, che vi è stata tra Giunta e Consiglio, la si coglie anche da un altro dato. Altrettanto grave. Non è stato mai possibile organizzare una seduta consiliare per il question-time (nelle scorse legislature sono state fatte sempre).
Richiesta, promessa, inserita più volte nell’ordine del giorno, ma una seduta dedicata al botta e risposta tra consiglieri ed assessori, pubblica e senza rete, per discutere le interrogazioni non è stata mai svolta.
Voi protestate, io, Esecutivo, me ne frego e tiro dritto per la mia strada.
Nessuno risponde al consigliere: è la sintesi di quanto è accaduto. Guardiamo i numeri. Su seicentoquaranta (640) interrogazioni in più di quattro anni, soltanto undici hanno avuto l’onore della discussione, peraltro frettolosa e ottenuta di straforo, in Aula.
Solo undici interrogazioni, dieci delle quali soltanto nel 2000 e poi una nel 2004 (le risposte scritte sono state cento) hanno goduto di una spiegazione e di un minimo di dibattito. Le altre giacciono, dimenticate senza speranza, nei cassetti degli assessori. Vere e proprie opportunità di confronto mortificate. E un pezzo, per nulla marginale, di democrazia saltato a piè pari, deliberatamente. Nonstante l’obbligatorietà delle risposte alle interrogazioni esplicitamente prevista dal Regolamento del Consiglio regionale.
Perché tanta sordità, e perché mai tutte quelle interrogazioni siano state così maltrattate dall’Esecutivo, non è dato sapere con precisione. Certo, quando l’Esecutivo non dà risposte neppure alle interrogazioni, non è l’Assemblea che svicola o viene meno ai patti democratici. E siccome l’Assemblea rappresenta tutte le opzioni politiche, ideologiche, culturali e sociali, a essere stata inascoltata, durante questa legislatura, è stata proprio la Calabria.

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