Ben venga la nuova legge sull’emigrazione. Ma si dia inizio, effettivamente, al “nuovo” ragionamento con i calabresi della diaspora.
In giro per il mondo i calabresi chiedono: “Dov’è la Calabria?”. L’impressione è che temano che la Calabria sia sparita dalle mappe geografiche e viva esclusivamente nelle loro teste. Intrisa di ricordi antichi e nostalgie profumate.
Ora s’insiste sul tema. Magnifico; in Calabria, purtroppo, è come se s’incominciasse ogni volta da zero. Sarà per il piacere dell’analisi infinita o perché un virus ha colpito la memoria collettiva. Il bilancio nelle relazioni mondiali della Calabria è sotto gli occhi di chiunque. Perché è cosi scarso? Dov’è il manico e dove il difetto? E’ vero che dalla sera al mattino non si può cambiare il corso delle idee che non sono state mai partorite, ma orsù, dopo le frasi di rito, almeno un’idea. Un abbozzo di segnale che vada oltre la buona intenzione.
I giacimenti preziosi di Calabrie cresciuti a dismisura in ogni continente, segnandone persino in profondità la storia, com’è accaduto in Argentina dove Angela Aieta, da misera calabrese emigrante è divenuta per scelta intrepida desaparecida (una delle 30 mila) in coraggiosa lotta contro i generali della “Guerra sporca”, sono uno dei tasselli decisivi per lo sviluppo della regione. Mancante, però. Ciò che, qualche anno fa, era indicato dal Ministero degli Esteri, forse con linguaggio altisonante, come l’internazionalizzazione del Mezzogiorno. Lo stesso Mezzogiorno che oggi non solo non è diventato global, ma è come sparito dall’agenda del Governo. E che per giunta subisce le offese della Lega, che se affronta il tema del dualismo, grave strozzatura dell’Italia, lo fa con leggerezza sconfortante.
Che ora le reti siano corte o lunghe, pur riconoscendo che è interessante capire per meglio decidere, conta fino a un certo punto. Decidere, ecco cosa attendiamo. Da dove incominciare una relazione autentica col meglio delle Calabrie sparse per il globo: questo ci si deve dire. E come e quando.
Guagliardi e Cersosimo, due personalità di spicco del Governo della Calabria, garantiscono che sì. Lo faranno, se già non lo stanno facendo. Buon lavoro. La speranza è che i politici che verranno dopo, al prossimo raduno di calabresi trapiantati in un altrove remoto, non debbano ancora ricominciare da zero. La parola neanche in politica può essere merce con cui riempire voragini di idee e progetti. Infine, abusandone, si genera scetticismo e sfiducia che minano alle fondamenta la democrazia. Così, per il rispetto che dobbiamo al sacrificio immane di chi suo malgrado è fuggito, se non si ha niente di tangibile da mettere sul tavolo, il silenzio non è un cattivo surrogato.