21 maggio 2009    

Restauro e conservazione come ''ierofania'' della Bellezza
Il saggio di Mario Fuscà


Non è facile oggi scrivere esaurientemente di restauro di opere d’arte, tenuto conto che le filosofie che lo sottendono sono diverse e a volte contraddittorie.

Don Mario Fuscà col suo saggio Restauro e conservazione come “ierofania” della bellezza compie un atto di coraggio e lo fa con la consapevolezza di fare una cosa giusta ed utile sia sul piano teorico che pratico. La copertina del libro di Mario Fuscà edito da Adhoc Edizioni

Il restauro è la capacità professionale di tenere giovani e appetibili i beni storici ed artistici senza stravolgerne invasivamente il senso ed il valore intrinseco. Facendosi forte di valenti teorici della tecnica del restauro, l’autore puntualizza - e fa bene - che, se il restauro serve a rendere fruibile e funzionale un manufatto, nell’opera d’arte ogni intervento non può essere pervasivo ed invasivo col rischio di pregiudicarne la storicità e la spiritualità che la sostengono. Non è la funzionalità, cioè, a dover prevalere, ma l’opera d’arte in sé e per quel che manifesta. Restaurare e conservare, in altre parole, devono coniugarsi con la convinzione che l’opera d’arte, in tutte le sue manifestazioni, esprime e contestualizza un’esperienza unica e vitale. Se poi il soggetto è di natura religiosa, l’opera d’arte è un messaggio ed in quanto tale deve comunicare l’invisibile.

Il restauratore, pertanto, non può non “riconoscere il legame inscindibile che intercorre tra il restauro e l’opera d’arte” (P H. Pfeiffer). E l’opera d’arte che deve orientare il restauro e non il contrario.

Il restauratore, in questo senso, prima di progettare il tipo di intervento, deve saper percepire “il sacro originario” interiore, che ha portato l’artista a storicizzare e manifestare la sua intuizione del divino, dell’invisibile, la cui evidenza non può essere in nessun modo stravolta o alterata. Richiamandosi a Mircea Eliade, don Fuscà sottolinea e ribadisce che “il sacro non è costituito da un atto arbitrario dell’uomo, ma da una ierofdnia, da una manifestazione di Dio attraverso la mano dell’artista”. Proprio per questo l’intervento va contestualizzato nel vissuto dell’artista, unico interprete ispirato della irruzione del divino nel sensibile.

Il restauratore evade il suo compito se non coglie e non intuisce questo aspetto profondo dell’opera d’arte, che resta dell’autore e non del restauratore.

Quando questa filosofia non ha funzionato, gli interventi aggiuntivi hanno solo creato danni andando a colpire non solo l’arte, ma il mondo spirituale dell’autore. Occorre ricordare, poi, che l’opera d’arte a tema religioso è sempre frutto di un atto di intima contemplazione.

Giustamente Mario Fuscà conclude che “ciò che si restaura e si conserva è sì qualcosa di materiale e di storico, ma non possiamo considerare l’arte cristiana solamente come qualcosa da ammirare sotto l’aspetto estetico e storico”. L’opera d’arte cristiana è di più: è teologia della bellezza, è sforzo di comunicare con l’Eterno, è “ierofania”, manifestazione di Dio stesso.

Arte e fede si richiamano e non possono ignorarsi. L’arte, cioè, e l’arte sacra in specie, ha valore di simbolo che testimonia un momento vitale che non c’è più (il “vestigio”, cioè la ierofania all’artista), ha il valore partecipativo di un memoriale” del senso vissuto e quindi, in successione dinamica, che lega il presente e l’assente. Il fruitore, attraverso il simbolo dell’opera d’arte, è chiamato a ricostruire ed esperimentare in sé tutti questi valori.

Un intervento di restauro non può modificare e mortificare questo intimo dialogo comunicativo che deve idealmente scattare tra fruitore ed autore dell’opera d’arte. Così, per esempio, la ricostruzione di parti mancanti di una tela sdrucita o corrosa, potrebbe costituire un grave rischio se, nel rifare la totalità complessiva, si dovesse perdere di vista l’aspetto di “vestigio” e di “memoria” che l’opera d’arte ha in sé. Si altera il dialogo comunicativo con l’intromissione di elementi di disturbo (colori nuovi, frammenti di tessuto mancanti, ecc.).

Il volume di don Fuscà si muove con maestria tra questi concetti e tecniche espressive.

Interessanti ed arricchenti poi risultano i brani antologici di autori dell’antichità richiamati per ribadire il valore e la forza delle immagini (Orazio, S. Basilio, S. Gregorio di Nissa), lo scopo morale delle stesse immagini (S. Nilo di Ancira, S. Gregorio Magno, il Concilio di Nicea, S. Bonaventura, S. Tommaso d’Aquino).

Risulta nell’insieme un lavoro ben articolato, che non si ferma solo agli aspetti teorici e dottrinali del significato dell’arte e del restauro.

Nella seconda parte, infatti, si dilunga ad illustrare la Cappella di S. Maria in Castel di Signa, in provincia di Firenze, come modello concreto di intervento di restauro e di adeguamento liturgico, secondo le recenti Norme della Chiesa Italiana (1996).

Dalla descrizione storico-artistica della chiesa si passa ad esaminare una linea progettuale di adeguamento liturgico funzionale all’edificio sacro, consono alle esigenze liturgiche e rispettoso del ciclo storico-artistico del monumento. La chiave ermeneutica dell’intervento, cioè, resta la Cappella, su cui va ad intervenire il progetto.

L’autore, poi, si sofferma sul “percorso simbolico ed iconologico” focalizzato nei singoli elementi costitutivi dell’edificio sacro: il presbiterio con il suo Crocifisso ligneo, l’abside, l’altare maggiore, la balaustra, la navata come “luogo del pellegrinaggio” del fedele (cap. II).

Su questo e nell’insieme va a modularsi l’adeguamento liturgico, che, quindi, non inventa e non violenta l’esistente, ma lo adegua in maniera coerente con la riforma liturgica, la storia e l’arte della chiesa (cap. III).

Nell’ultima parte sono raccolte - come in ogni buon progetto - le tavole fotografiche, che consentono al lettore di trasformarsi lui stesso in ideale progettista e fruitore del bene restaurato.

E veramente un buon lavoro, come si vede. Ben articolato, propositivo, convincente. E di questo bisogna essere grati a don Mario Fuscà, recentemente promosso Direttore dell’Ufficio Beni Culturali della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea.

Luigi Renzo

Vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea


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