15 aprile 2009    

Luglio 2002: Nel dramma dell'Argentina (di Romano Pitaro)


Recessione, svalutazione monetaria, disgregazione sociale e impoverimento galoppante per ampi strati della popolazione che su 35 milioni, conta 12 milioni di persone di origine italiana. Ogni giorno Plaza de Mayo, a Buenos Aires, confluiscono manifestanti che chiedono lavoro e un futuro meno nero. Una delle mete importanti per l’emigrazione italiana rischia l’esplosione sociale. La delegazione italiana guidata dal presidente Fedele ha portato a termine la Missione-Argentina. Ha incontrato ministri, politici di primo piano, imprenditori, intellettuali ed esponenti delle associazioni dei calabresi. “Servono fatti non più parole2, chiedono gli italo-argentini. Ma la situazione finanziaria e il caos politico non consentono nessun ottimismo.

Argentina del dolore. Questo è il paese che si incontra di questi tempi. Il tango, struggente rievocazione di partenze angosciate (“è un pensiero triste che balla” lo definì Enrique Santos Discepolo, che secondo il romanziere Ernesto Sabato fu il suo creatore più illustre) è oggi la più efficace rappresentazione dello scoramento che attanaglia il paese sudamericano. Buenos Aires - la ''casa rosada''
Masticando una riflessione di Guido Piovene, lo scrittore che visitò l’Argentina nel 1964 e la raccontò su “La Stampa”, si può sostenere che oggi l’immagine di un Paese ricco (“seduto su una miniera d’oro”, secondo alcuni economisti statunitensi, ma appunto “seduto”) lascia il posto ad una nuova impressione diffusa: è come se la gente avesse in tasca una lettera da inviare, magari una lettera di protesta con tante accuse, ma non conosca l’indirizzo del destinatario.
Migliaia d’argentini allagano, quasi ogni santo giorno, come anime in pena che dirigono verso la Casa Rosada, le ampie strade di una città in cui accanto a bellissimi palazzi sorgono parchi curatissimi, ma pochi sanno come uscire da questo pantano. “Il peronismo”, spiegano ai tavolini dell’austero Gran Café Tortoni di avenida  De Mayo, “ha livellato ogni cosa, associato tutto e tutti, la tendenza autoritaria e quella democratica e ora nessuno riesce a formulare una proposta in grado di aggregare”. Sarà, ma se fosse vero sarebbe, anche in questo caso, la riprova di una incredibile pigrizia mentale, dato che Peron è morto da un bel pezzo e giace nel cimitero della Chacarita, dove i fiori non gli mancano mai.
Sembrò che il peronismo, nella seconda metà degli anni ’40, potesse farla finita con lo strapotere delle famiglie agrarie – infatti segnò la fine di un mondo conservatore e patriarcale già in crisi – ed associare a se stesso industriali, imprenditori, parte dei ceti medi ed in qualche modo agganciare i ceti popolari. “Ma il peronismo - spiega Piovene in un saggio riproposto di recente dal Mulino – soffocò alcuni suoi germi vitali nella tirannia, nell’arbitrio, nelle ruberie senza limiti, portò al crollo della moneta e finì nel marasma. Pose fine alla vita dolce della vecchia Argentina, ma sostituendovi il caos”. E il caos politico, economico e istituzionale, è ciò che la delegazione italiana dei Consigli regionali guidata dal presidente dell’Assemblea calabrese Luigi Fedele, intravede nel corso di una missione ricognitiva.
 
IL CORRALITO HA BLOCCATO
I RISPARMI DELLA GENTE
L’Argentina che vediamo nelle strade dell’immensa capitale è fatta di gente dagli sguardi corrucciati che sfreccia lungo l’elegante Via Florida, in cui a centinaia ti propongono, come un’ossessione, il cambio di dollari in pesos: “Cambio, cambio!”
Cambiano dollari con pesos: uno a tre e mezzo, quattro. Vivono grazie a una divisa che è stata la causa del disastro. L’Argentina che vediamo. Quella che alle porte di ogni banca offre lo spettacolo di un tumulto di gente i cui risparmi sono dentro forzieri da cui non possono uscire (corralito: il blocco dei depositi bancari che penalizza soprattutto i ceti medi proibisce il prelievo di più di 250 pesos o dollari la settimana o mille il mese; l’accusa che si muove al ministro Cavallo è di aver emesso questo odioso provvedimento, quando il grosso dei capitali privati era al sicuro). Il peggio che potesse capitare ad un sistema democratico. Da un canto, le povertà esibite quasi con vergogna da gente abituata a vivere bene e che ora è costretta a raccontare i propri disagi. Povertà che illanguidiscono Buenos Aires, “ricca di civiltà europea”, e la rendono simile alle province più povere del nord e del sud. Dall’altro, le lussuose ville dei ricchi sulle spiagge atlantiche e della classe di speculatori che, nel corso degli anni Novanta, hanno messo da parte fortune enormi, intrigando in vario modo con le privatizzazioni (telefonia, reti televisive, gas, elettricità, trasporto aereo e persino petrolio) e che, quando la crisi è esplosa, hanno portato i capitali all’estero (forse 130 miliardi di dollari).
Da un lato la disperazione di più della metà dei 35 milioni di argentini in povertà, che fanno la coda agli uffici di cambio e davanti alle banche; dall’altro i ricchi, che sono diventati più ricchi speculando, utilizzando la spesa pubblica. Mentre l’Argentina affondava.Il numero di ''Calabria'' del Luglio 2002 dedicato al ''dramma argentino''
L’Argentina facile preda per mandibole fameliche, ecco cosa si intuisce andando in giro per le strade di Buenos Aires e nei ristoranti vuoti di puerto Madero. Della povertà ad ogni angolo, mendicanti che aprono nervosamente sacchi della spazzatura. L’Argentina di oggi è la rabbia dei tassisti che, anche se non interrogati, urlano “Ladroni, i politici sono tutti dei ladroni!” ed è fatta di taxi sgangherati, che sfrecciano a centinaia, vuoti, guidati da piccoli imprenditori messi sul lastrico dalla crisi, o da operai licenziati che hanno utilizzato la buonuscita comprando un’auto e una licenza.
E’ saltata l’anomalia argentina in Sudamerica. Più nessuna diversità dal resto del continente. Anche in questo paese sono tornate le abissali differenze sociali e i reati per fame. Scippi nei luoghi più impensati e la recrudescenza di reati commessi per mangiare. Hanno scritto in tanti che è il paese più metafisico del mondo l’Argentina, ma oggi rischia di diventare il Paese più tragico. Tragico per le illusioni perdute di milioni di europei emigrati dalla seconda metà dell’Ottocento e i sogni di benessere svaniti. E la speranza che è crollata. Con un inquietante interrogativo che stenta a uscire, tant’è l’orrore che rievoca: “E i militari, fin quando staranno nelle caserme?”.
Forse anche questo sospetto d’incursione di un mondo mai del tutto indagato e a causa del quale tante lacerazioni sono state inferte nella mente stessa di questa nazione, frutto di centinaia d’innesti etnici e culturali, dovrebbe spingere il Fondo monetario internazionale, gli Stati più ricchi, l’Europa sempre lesta a rivendicare protagonismo e iniziative, ma ancora restia a muoversi in questa parte del continente latino-americano, a non sottovalutare i fenomeni di disgregazione sociale che minano la tenuta democratica dell’Argentina.
Certo, servono interventi rapidi e quattrini. Spiega Alfredo Atanasoff, il coordinatore dei ministri di Eduardo Dhualde, - qual è la linea del Governo alla delegazione guidata da Fedele (presenti anche i consiglieri regionali Borrello, Dima, Nucera, Pacenza e Pisano).
In una delle sale della Casa Rosada, il ministro afferma: “Siamo consapevoli della crisi profonda che attraversa il nostro Paese, che è una crisi di sfiducia verso la classe politica. Il nostro è chiaramente un governo di transizione i cui obiettivi prioritari sono la ristrutturazione del sistema finanziario, l’accordo con il Fondo monetario, l’inversione del clima recessivo che dura da quattro anni e il superamento dell’insolvenza dovuta al peso enorme del debito estero”. Il Governo è contrario a nuove elezioni - l’Argentina andrà a votare alla scadenza della legislatura prevista a settembre del 2003 -: “Oggi non esistono le condizioni per andare al voto, prima occorre superare la crisi economica che sta espandendosi pericolosamente anche in altri Paesi dell’America meridionale e poi non vedo leader nuovi all’orizzonte”.
 
 
FRA BREVE UN’INFLAZIONE
INTORNO ALL’80 PER CENTO
Atanasoff fa un’analisi spietata: “La crisi è grave, il tasso d’inflazione secondo alcune proiezioni può in breve tempo giungere all’80 per cento. Ci servono subito 2 miliardi di dollari per la politica sociale, per la creazione degli ammortizzatori sociali che in qualche modo frenino il progressivo impoverimento della società provocato da una grave recessione e da una spinta inflattiva dovuta al deprezzamento del peso rispetto al dollaro. Ci servono anche 2 miliardi di dollari per finanziare produzione di prodotti esportabili nel mondo”.
Altrettanto chiaro l’ambasciatore italiano a Buenos Aires, Roberto Nigido, che riceve la delegazione guidata da Fedele nell’elegante sede del quartiere Palermo: “L’Argentina sta attraversando la più grave crisi della sua storia contemporanea. Nel biennio 2000-2001 la situazione economica si è deteriorata in maniera inarrestabile, la disoccupazione è salita del 20 per cento, il prodotto interno è continuato a cadere e l’Argentina sconta ormai quattro anni di recessione, la deflazione si è accentuata. D’altronde, né i cospicui pacchetti di salvataggio messi a punto a livello internazionale, nè le misure approntate dal ministro dell’Economia, Cavallo, hanno avuto alcun effetto positivo sull’economia reale, condizionata dalle misure recessive attuate dal governo nella speranza di mantenere il bilancio in pareggio. Anche a livello finanziario, il deterioramento dell’Argentina è continuato senza sosta, con un indice del rischio nel paese che ha oltrepassato a fine 2001 i 5mila punti basici e la conseguente, virtuale esclusione dell’Argentina dal mercato del credito”.
Se i fatti sono questi, dunque, dov’è una reazione organica del Governo? Dov’è un programma di medio-termine per uscire dalla crisi e individuare un percorso? Tutto resta imprecisato. La speranza è concentrata nella buona volontà del Fondo Monetario Internazionale che, però, predica austerità (accordo con le province per la disciplina del bilancio e la stabilizzazione del sistema bancario) e revisioni legali (modifica della legge sui fallimenti ed abrogazione della legge sulla sovversione economica) assai difficili da mettere in atto in un paese narcisista, abituato a spendere molto ed a produrre poco.
L’Argentina che vediamo è quella della Boca, il quartiere costruito dagli immigrati italiani sulle rive del Riachuelo, fatta di miserie e memorie e dei ricchi che se la spassano a Punta del Este.
Vive male il paese della Pampa, vive dolore, sofferenza e rabbia. Tutto - dicono - a causa della dollarizzazione dell’economia e della selvaggia svalutazione del peso. A un certo punto, il Fondo monetario, chiude i rubinetti ed esige il rientro dei crediti concessi: una catastrofe che coinvolge tutto il sistema bancario internazionale che ha erogato fondi. Una scelta che paralizza il sistema produttivo (c’è stato un calo del prodotto interno lordo del 15 per cento nel 2002).
 
SU 35 MILIONI DI ABITANTI
12 MILIONI SONO POVERI
Se la ricchezza era stata spalmata anche nelle fasce intermedie della società facendo dell’Argentina il Paese più vicino alle democrazie europee, adesso rischia di finire nuovamente nelle mani di pochi.
Il sogno argentino dell’Europa come modello cade. Il venti per cento più ricco della popolazione detiene il 64 per cento del reddito in molti paesi dell’America meridionale informa l’ultimo Rapporto del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo. L’Argentina faceva eccezione. Tra le battute salaci c’era quella più frequente che indicava quanto essa fosse europea (L’argentino è un italiano che parla spagnolo, ma vorrebbe essere inglese e si comporta come se fosse francese) o l’affermazione dello scrittore Jorge Lòuis Borges, secondo cui il vero europeo sarebbe l’argentino in cui scorre sangue italiano, spagnolo, francese...
Una immagine di Plaza de Mayo a Buenos AiresMa oggi finisce di essere un’anomalia in Sudamerica l’Argentina, si adegua al resto del continente in cui percentuali infime decidono il destino di tutti. La crisi identitaria dì questo Paese, che non sapeva se essere europeo o americano, oggi non lascia dubbi. Alcuni imputano il crollo non certo alla crescita demografica pressoché nulla, ma all’eccessiva liberalizzazione dell’economia ispirata, secondo l’economista Aldo Ferrer, “da una visione fondamentalista della globalizzazione”: in sostanza lo Stato ha abdicato a qualsiasi funzione di regolazione dell’economia, della disintegrazione del tessuto produttivo e le roventi tensioni sociali.
L’abolizione del cambio fisso con il dollaro ha reso nudo il re: una serie di problemi strutturali sono emersi in tutta la loro gravità. Per esempio: l’Argentina esporta prodotti tipici di un’economia da paese sottosviluppato, lane e carne, “che non piacciono al mondo”; ma, essendo un paese dalle esigenze europee, importa una miriade di merci sofisticate e costose. “L’Argentina ha introdotto norme che danneggiano gli investimenti diretti dall’estero - commenta il responsabile studi della Banca nazionale del lavoro Giovanni Ayassa - invece di agevolarli. Recentemente sono state varate misure che rendono lunghi ed incerti tempi ed esiti dei fallimenti e del recupero dei crediti. Parallelamente è aumentata molto la sperequazione di reddito a svantaggio delle classi più povere. In pochi anni il rapporto tra i redditi del 10 per cento più ricco e del 10 per cento meno abbiente della popolazione argentina è salito dal 12 al 25 per cento”.  Secondo alcune stime nel 1970 su 22 milioni di abitanti i poveri erano 2 milioni, nel 2002 su 35 milioni di abitanti ci sono circa 14 milioni di indigenti.
In questo quadro critico, l’Italia non è rimasta alla finestra. Dei 35 milioni di argentini almeno 12 hanno sangue italiano, Il Governo ha reinserito l’Argentina tra i paesi beneficiari di aiuti bilaterali allo sviluppo ed è stato concesso un credito di 100 milioni di Euro (una bella somma) da utilizzare nel settore sanitario ed a favore delle piccole medie imprese. L’Italia è il sesto investitore estero e concentra gran parte dei suoi investimenti (tra il 1990 e il 1998, anno in cui è incominciata la crisi, si è toccata la cifra di 14 miliardi di dollari) nelle costruzioni, telecomunicazioni e auto. Sono 350mila i piccoli risparmiatori che detengono titoli del debito pubblico argentino. In un Paese sfiduciato - in cui il prodotto interno lordo continua a cadere e la disoccupazione supera il 30 per cento - è giunta la delegazione guidata dal presidente Luigi Fedele, responsabile per le questioni internazionali della Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali.
“Abbiamo avvertito fin dai primi incontri la crisi schiacciante che colpisce l’Argentina”, ha commentato Fedele dialogando con l’ambasciatore italiano.
“Ciò che è accaduto in questo Paese, sappiano tutti - ha spiegato Nigido - che ha effetti immediati in Italia. Siamo perciò ben lieti di dare appoggio operativo alla vostra iniziativa in favore degli anziani, dato che gli ospedali pubblici sono ridotti veramente male a causa dei tagli finanziari e spesso non hanno neanche le lastre per le analisi di routine”.
Nel prefigurare scenari politici nuovi in un dossier sull’Argentina (dati statistici, scheda-Paese, struttura istituzionale, attualità politica e situazione economica) predisposto per la delegazione dei Consigli regionali, l’ambasciata ha ipotizzato che, qualora il presidente della Repubblica Dhualde si dimettesse, tra i candidati favoriti alla Presidenza, individuati “tra i personaggi slegati dalle tradizionali strutture di partito ma sostenuti da influenti settori dell’establishment economico-finanziario”, c’è anche l’imprenditore di origine italiana Mauricio Macri (la cui regione d’origine è la Calabria), presidente della squadra di calcio del Boca Yuiniors.
 
INTERI NUCLEI FAMILIARI
VIVONO CON 100 DOLLARI AI. MESE
Se al disastro finanziario del sistema Argentina ed alla attuale assenza di ogni ipotesi plausibile di uscita dalla crisi, si sommano gli errori storici delle politiche messe a punto nei loro confronti dall’Italia, nonché le disfunzioni de incomprensioni fra gli italiani nel mondo e il sistema di riferimenti istituzionali dello Stato italiano all’estero, tutto per gli italiani che vivono in Argentina sarà più complicato. E questo, in sintesi, uno dei punti salienti emersi a conclusione di un dibattito franco che si è svolto nella sede dell’Associazione italiana di mutuo soccorso di Buenos Aires.
Un dibattito cui hanno preso parte oltre a Fedele e i consiglieri regionali calabresi, il Console generale Palladino, consultori di diverse Regioni italiane, presidenti di organismi che si occupano di emigrazione (Comites) ed una moltitudine di italo-argentini critici verso la politica italiana nei loro riguardi, rea - a loro dire - di annunciare interventi, coordinamenti unici, fondi finanziari comuni e quant’altro ma (dopo mesi e mesi da quando a dicembre scorso è deflagrata la crisi argentina) di non aver ancora concretizzato alcunché: “C’è molta confusione tra gli italo argentini, dato che si annunciano dall’Italia più interventi ma, nonostante il trascorrere dei mesi - ha sintetizzato lo stesso rappresentante del Consiglio Generale per gli Italiani all’Estero per l’America Latina, Antonio Macri - non si vede nulla. Si crea nella nostra collettività una forte aspettativa ma poi non si soddisfa” Oggi - è emerso da varie testimonianze - interi nuclei familiari di italo argentini vivono con 50, 100 dollari al mese e non sanno a quale santo rivolgersi per non finire per strada. Giunti ad un certo punto, per queste famiglie i cui pochi risparmi sono stati bruciati da politiche monetarie dissennate, non resta che l’indebitamento e poi la coartata vendita della propria casa conquistata a prezzo di immensi sacrifici quando l’Argentina era il granaio del mondo. L’assistenza sanitaria per chi non sa come sbarcare il lunario, è un’altra delle penose pagine di solitudine e dolore nell’Argentina dei giorni nostri.
Un dolore che, per quanto concerne la Calabria - ha spiegato il consultore Attilio Laise - è illustrato da ben ottomila schede compilate da argentini di origine calabrese che chiedono aiuto e siccome lo Stato argentino è sordo, il loro drammatico Sos alla Regione d’origine. Ottomila schede compilate da gennaio ad oggi (da quando una delegazione della Giunta regionale è giunta in Argentina dopo che sono stati impegnati un milione e mezzo di euro) costituiscono il quadro emblematico di una condizione sociale allo stremo.
Si sentono soli, inoltre, perché, quando stanno male, l’ospedale pubblico non è nelle condizioni di dare risposte e le strutture sanitarie private non regalano nulla. L’assistenza sanitaria pubblica in Argentina è saltata - avvertono gli italo argentini - e per ogni prestazione occorre avere soldi che non si hanno.
In Argentina, insomma, gli italiani non ricchi, quelli che vivevano discretamente prima del disastro economico, cioè la maggior parte, vivono in ristrettezze e si sentono vittime della storia. Vittime di un processo storico che prima li ha scacciati dalla loro terra d’origine - il tango, lo spettacolo che ancora si può gustare per le strade, è la rappresentazione plastica dello sconforto provocato dalla fuga dai paesi poveri dell’Europa della seconda metà dell’Ottocento e dei primi decenni del XX secolo - ed oggi li stritola imponendo loro una nuova emigrazione. Ora, se è possibile sopravvivere ad un’emigrazione, restando persone integre,è impossibile sopravvivere ad una seconda “fuga”.  Ma gli italiani – ed i calabresi che sono magna pars - d’Argentina (dal dopoguerra in avanti flussi di emigrati verso l’Argentina hanno prevalentemente riguardato Calabria, Sicilia, Campania e Basilicata, anche se in numeri assoluti le regioni più presenti in Argentina sono Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli, Calabria, Campania, Sicilia, Basilicata e Molise), si sentono vittime oltre che della storia, anche del meccanismo infernale della burocrazia (il Consolato di Buenos Aires rimanda al 2005, 2008 l’esame delle pratiche per la cittadinanza e l’espatrio giustificando questi rinvii con l’esiguità delle forze umane a disposizione) che, a chi chiede una mano d’aiuto, è costretto a rispondere “torni tra un anno o due”.
Molta attenzione è stata riservata all’urgenza di garantire un’assistenza socio-sanitaria ai più svantaggiati, cosi com’è emersa anche l’urgenza di riportare, da parte dell’Italia, l’integrazione al minino delle pensioni non più nella moneta argentina (il peso) ma in dollari, perché oggi il cambio tra le due divise è quasi 4 a uno (un dollaro per quattro peso).
A La Plata, un’importante città a circa un’ora di macchina da Buenos Aires in cui vi è una delle migliori università del Paese, la delegazione italiana ha incontrato la comunità dei calabresi. Grandi viali al buio, ampie vie diagonali prive di segnaletica e la forte disoccupazione (tra le più alte dell’intero Paese) fanno oggi di questa città, divenuta capoluogo di provincia quando Buenos Aires divenne la capitale argentina, l’emblema di una crisi corrosiva.
Città di oltre 250 mila abitanti in cui accanto ad imponenti edifici pubblici scorrono tristemente le cosiddette “case di cartone” dei poveri (una sorta di favelas prive di servizi), abitate dai descamisados fatti affluire da Peron e mai più tornati nelle campagne, la Plata ospita la comunità italiana più numerosa dell’Argentina, 80 mila persone d’origine italiana, ed una presenza significativa di calabresi: 8mila.
Nel centro dei calabresi di Bivongi, il rappresentante dell’associazione Benito Pisano ha espresso perplessità per le promesse fatte dalla Giunta regionale, in occasione di una visita della delegazione dell’Esecutivo regionale a gennaio scorso, che ha impegnato un milione e mezzo di euro (tre miliardi) per sostenere i calabresi in difficoltà: “Non vorremmo che - ha avvertito Pisano - dopo la buona iniziativa della Giunta subentrasse in noi la delusione. Noi abbiamo bisogno di un sostegno veloce, qui i calabresi dopo sacrifici e tanto sudore sono riusciti a conquistarsi una vita decente. Noi non viviamo nelle case di cartone, ma qui si vive male. Abbiamo dato tutto all’Argentina e voi dovete aiutarci, ma non più a parole”.
Fedele ha spiegato: “il console generale di Buenos Aires Palladino mi ha assicurato che i soldi stanziati dalla Giunta sono su un conto corrente del Consolato. Le domande di assistenza sono 8mila e occorre capire chi davvero ne ha bisogno. Stiate, però, sicuri che con la stessa celerità con cui la Giunta regionale ha impegnato una cifra cospicua per voi, ci impegneremo per superare gli ultimi impedimenti burocratici”
Hermes Binner, il sindaco della “Chicago argentina”, cosi è definita Rosario per le sue industrie importanti (la città con il suo oltre un milione di abitanti si contende con Cordoba il secondo posto del Paese) ha conferito al presidente Fedele la cittadinanza onoraria.
Il sindaco (“un politico anomalo in Argentina - ha detto il console generale di Rosario, Giovanni Morocco - perché credo sia uno dei pochi politici che possono camminare per strada  senza temere nulla in quanto gode delta fiducia della gente”) ha ricevuto la delegazione nel Palazzo dell’intendente ed ha sostenuto che “la mia città ed il mio Paese hanno bisogno di realizzare accordi commerciali con l’Italia, specie per dare una mano alle tante piccole imprese di italo argentini”.
A Rosario (provincia di Santa Fe) Fedele ha anche incontrato la comunità calabrese.
 
STORIE DI PRIVAZIONI
E DI IMPROVVISE POVERTA
Mille argentini di origine calabrese hanno affollato il salone dell’associazione. Facce cupe e sorrisi stentati di gente disperata hanno fatto da sfondo ad un incontro a tratti anche teso, perché i calabresi che da oltre tre, quattro decenni vivono in Argentina oggi non sanno come sbarcare il lunario e raccontato storie di privazioni e improvvise povertà. Costanti le doglianze verso le disfunzioni amministrative in cui s’imbattono al Consolato e la richiesta di aiuto sanitario per uomini e donne che, privati dei propri risparmi ed in un contesto d’incertezza generale, si rivolgono alla loro Regione d’origine.
Ma questi segnali d’allarme e queste richieste d’aiuto arriveranno da qualche parte? O finiranno con l’essere una specie di “messaggio” senza indirizzo? E si potrà mai salvare, se fosse possibile, grazie agli sforzi delle Regioni italiane in favore dei propri corregionali, una parte dell’Argentina, lasciando tutto il resto senza risposte? Oppure per dare una mano veramente ad un paese che sembra essere privo di istituzioni, in cui circolano i “patacones”, dei buoni emessi dalla provincia di Buenos Aires che si accettano a condizione di non dover dare il resto, serve altro? Oppure, per dare una mano all’Argentina che, come scrive lo scrittore Tomas Elooy Martinez “è regredita - violentando le leggi della natura.- dal suo stato di crisalide a quello di larva informe”, bisognerà che tutte le Regioni d’Europa, tutti i Paesi ricchi, tutti gli organismi internazionali si sveglino, prima che qualche orribile mostro si desti dalle tenebre in cui è stato cacciato?.-


Romano Pitaro


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