2 febbraio 2009    

L’ultima missione di Franco Fortugno (di Romano Pitaro)


Con le braccia intrecciate, Franco Fortugno sfoggiava quella sera (8 ottobre 2005)  il suo sorriso mite di sempre. Era andato via in taxi in direzione del quartiere Tribeca, assieme a sua moglie, dalla Gran Central Station, dove aveva partecipato al cocktail party della Columbus Foundation e chiacchierato con LarryAunana, uno dei massimi esperti di borsa a WaIl Street e presidente della Foundation.
La delegazione del Consiglio regionale capeggiata da Fortugno al Calumbus Day nel 2005 Chissà se il vicepresidente del Consiglio regionale, stanco ma affascinato dalla vivacità di New York, sprofondato in una sedia intorno ad un tavolo del ristorante giapponese Nobu, lui così discreto e restio ai clamori, immaginava che la sua morte avrebbe scatenato un putiferio. Che sarebbero scesi nel profondo Sud dell’Europa gli inviati di prestigiosi giornali americani, francesi, inglesi. Per saperne di più sul suo assassinio, sulla ‘ndrangheta. Non Immaginava, mentre la conversazione spaziava leggera dal prelibato tonno servito con salse peruviane ai nuovi impegni della Regione nella Grande Mela, che lui a New York, città che l’aveva conquistato, non ci sarebbe tornato mai più. Né che la sua morte avrebbe provocato un sommovimento straordinario. Un dibattito in Consiglio regionale. Il sopraggiungere a Reggio Calabria del Presidente della Repubblica. Un dibattito in Parlamento e “il risveglio dei grandi partiti sul caso Calabria”.
Dopo il suo assassinio la Calabria non è più la stessa. E il Paese la guarda diversamente. Non più terra dove i politici sono collusi, tutti mestatori e “chiùpilupetutti”. Ma dove l’assassinio di un politico perbene scatena una solidarietà ampia. Interminabile. Ci sono anche politici buoni, anche politici che quando muoiono strappano emozioni nei giovani. Nella gente. E suscitano sdegno. Dolore, commozione, rabbia.
 La ‘ndrangheta ha visto male. Ha colpito il “politico di ogni giorno”, come è stato definito Fortugno. Quello che non ha agganci mafiosi e non sfoggia l’arroganza del potere. Che parla con la gente e ne incarna le istanze. Ha colpito e provocato una reazione che ha tutta l’aria dì essere assai seria. Fortugno può essere il seme morto del Vangelo che produrrà frutto.
L’assassino del vicepresidente del Consiglio ha umanizzato la politica calabrese. Ha fatto vedere al Paese che la politica in Calabria non è soltanto mele marce. E anche cortesia, disponibilità. Umanità. Capacità di stare nel Palazzo senza degenerare.
In quella serata newyorkese, Fortugno non immaginava che la morte lo stava già spiando. Era pieno di vita, la moglie accanto. Raggiante. La sera prima aveva completato la sua missione all’estero da capo delegazione del Consiglio, cenando assieme al Governatore del West Virginia e ottenendo l’impegno di una visita ad aprile in Calabria di Joe Manchin III.
Sembrava un’impresa impossibile incontrare il Governatore, visto che il viaggio aveva subito dei ritardi, ma Fortugno c’era riuscito. Tutto era andato bene. La premiazione dei calabresi illustri di New York, l’accordo con Manchin. La sfilata del Columbus Day: Fortugno aveva voluto che a tutti i costi, per la prima volta, il Consiglio sfilasse con la Giunta. Insieme sulla Fifth Avenue, “perché - diceva - siamo una sola famiglia. E un’assurdità fare due cose diverse in una città come New York. Che idea daremmo della Calabria?”
Immaginava quella sera, mangiando poco perché il sushi non gli andava a genio, il ritorno in Calabria del nipote di uno dei minatori di San Giovanni in Fiore che hanno reso grande l’America e lavorato nella miniera di Monongah. Rideva quando ipotizzavamo un colloquio impossibile fra il nonno Manchin I, calabrese analfabeta dei primi del Novecento. e il nipote, Manchin III, studi in economia e oggi l’uomo politico più importante dello Stato del West Virginia. Cosa si sarebbero raccontati?
Rifletteva Fortugno. Non sapeva, abbracciando la moglie e ritornando in albergo Sotto la pioggia di New York che, in qualche luogo, qualcuno o più d’uno, avevano deciso la sua condanna a morte. Restava solo da capire dove/come/quando. L’idea di rappresentare la Regione all’estero per intrecciare relazioni con le tante “Calabrie” sparse nel mondo lo avvinceva. Non immaginava che un killer l’avrebbe messo fuori gioco pochi giorni dopo il suo rientro in Calabria dagli Stati Uniti. Tolto di mezzo con cinque colpi di pistola. Davanti a tutti e in un seggio elettorale. Nessuno t’immaginava. Fortugno era un politico al di sopra di certe contaminazioni. Perbene. Si dice così di un uomo che non ha rapporti con la mafia e che non sperpera risorse pubbliche. La sua morte ancora oggi  scuote la Calabria fin nelle fibre più remote. Scuote la politica, I calabresi. Suscita polemiche. S’incendiano le coscienze. I giovani scendono in piazza. Scrivono di ‘ndrangheta firme prestigiose sui quotidiani. Si smuovono pezzi dello Stato. Prima di partire per gli Stati Uniti, agli inizi di ottobre,  ho cliccato il suo nome sulle agenzie di stampa e non è apparsa che una pagina bianca. Ho rifatto la stessa operazione dopo il suo assassinio e Fortugno era - presente ovunque. La sua fine l’ha reso celebre; e lui questa celebrità naturalmente non l’ha richiesta. Anche per questo la sua morte ci mette paura. E fa riflettere su chi siamo e chi potremmo diventare. Sul destino che gioca con le nostre carte e sui mutamenti che si hanno quando altri le mischiano a nostra insaputa.
Si è già discusso  tantissimo e ancora si discuterà  nei giorni a venire . Fortugno rimarrà indelebile, anche perché l’Aula del Consiglio regionale porterà il suo nome. Ottima scelta. Sicuramente qualcosa accadrà nei prossimi mesi. Lo Stato reagirà. Certamente noi saremo diversi. Anche se, almeno per chi l’ha conosciuto, il sorriso buono di Franco Fortugno, medico ed onorevole cortese, sarà l’assenza che intristirà l’Astronave istituzionale.
C’è un momento nella storia in cui anche i punti opposti si toccano. Il profondo Sud europeo e il Nord America. Smettono di accentuare le rispettive diversità. Addirittura si gemellano: sister city. Auspice di questo gemellaggio fra terre geograficamente simili (il West Virginia e la Calabria) il vicepresidente Franco Fortugno, che negli Usa ha guidato, nel mese di ottobre, una delegazione composta dai consiglieri regionali Roberto Occhiuto, Luigi Fedele, Francesco Sulla e Leopoldo Chieffallo.
Tra la Calabria e il West Virginia (Stati uniti nordorientali) cosa c’è in comune?
Non più soltanto il passato. Anzi. Ha detto a Fortugno il governatore Manchin III: “D’ora in avanti non dobbiamo dimenticare chi siamo, ma neanche dobbiamo
dimenticare chi possiamo diventare, cosa possiamo essere in futuro”.
Ecco che la faccenda dei tempo e delle direzioni da imbroccare al momento
giusto ridiventa attuale per una regione dell’Italia meridionale abituata a guardare più al passato che al futuro.
La Calabria è dentro il crogiuolo del Mediterraneo, il West Virginia è Atlantico ed è distante dall’Europa. Montuoso, carbonifero e acciaioso. Solare l’una, ferroso l’altro. Hanno però in comune una tragedia. Sono accomunati dal passato che non passa: la rovinosa esplosione di grisù a Monongah il 6 dicembre dei 1907, nel villaggio minerario in cui avevano trovato rifugio anche moltissimi calabresi. In comune la tragedia in cui persero la vita tantissimi meridionali e molti calabresi provenienti da San Giovanni in Fiore, Carfizzi, Falerna, Guardia Piemontese, Strongoli, Castroviliari, Caccuri, Gioiosa Ionica e San Nicola dell’Alto.
Oggi un nipote di un minatore calabrese, Manchin I, è diventato il governatore dello Stato della West Virginia: Manchin III. Attenti a sottovalutare i poveridiavoli che sempre animano il teatro delle epoche storiche, perché capita che si scrollino di dosso la rassegnazione e ribaltino gli eventi. Così sta accadendo per quei poveri emigranti dell’italia del Sud. Lontani dal latifondo e dal banditismo. Pronti a morire. Ma anche a far nascere la classe dirigente del futuro: Manchin III è il sogno di Manchin I e di Manchin Il. Alla fine sono le persone che tengono unite le realtà, che cambiano o peggiorano il mondo. Oggi tra la Calabria ed il West Virginia c’è un governatore dello Stato americano che ha in sé, nelle sue vene e nelle sue arterie, tanta Calabria. Il West Virginia e la Calabria scoprono improvvisamente di avere in comune un passato cupo ma anche un presente vivido.
Joe Manchin III punto di convergenza di carne, ossa, sangue. Che rende, formalmente, sister city le due realtà. E crea i presupposti per far nascere relazioni più durature.
C’è una Calabria, con tutte le sue tragedie e i suoi sogni, che lega eventi e storie anche drammatiche come Monongah. Una terra che è diventata cosmopolita grazie all’emigrazione e che oggi, da ciò che ha prodotto l’emigrazione, può trarre insperati vantaggi economici e sociali.
Fa riflettere questa singolarità della storia: l’attuale governatore del West Virginia è il nipote di uno dei minatori di Monongah partiti all’inizio dello scorso secolo da San Giovanni in Fiore per dare una prospettiva alla sua discendenza. Nipote di uno di quei contadini che arrivavano dalla Calabria proprio quando il New York Times assegnava a John Rockefeller il primato di uomo più ricco del mondo grazie ai suoi 300 milioni di dollari. Nipote di uno di quei contadini che a dicembre del 1907, prima di Natale e dopo aver festeggiato San Nicola nella chiesa cattolica, ci hanno rimesso la pelle.
E dopo non li ha ricordati più nessuno. Per quasi cent’anni sono stati sepolti senza una croce e un nome. E scordati. Neanche una preghiera per le loro anime, neppure una pagina di un’antologia scolastica.
Il nipote di uno dei tanti mortidifame calabresi del secolo scorso, è il politico più importante della West Virginia. Quando & stata commemorata fa tragedia della miniera esplosa, il 23 novembre del 2003, Manchin non era ancora governatore e passeggiando tra le tombe senza nome di Monongah dove sono seppelliti i minatori espresse il desiderio dì visitare la Calabria, “di cui - disse - mi parlava tantissimo mio nonno. A San Giovanni in Fiore non sono mai andato, ma in tutti questi anni ho sempre sognato le montagne calabresi. Mio nonno mi parlava del suo paese continuamente”
Francesco Fortugno a New York con il Governatore del West Virginia Joe Mancin IIIDa questa emozione forte, dall’essere Manchin III sempre stato orgoglioso delle sue radici nasce un’ipotesi direlazione tra Manchin III e la terra dei suoi nonni. E questa scintilla che rende possibile alla Calabria e al West Virginia di accorciare le distanze.
La Calabria, 2 milioni di abitanti, e il West Virginia, 2 milioni di abitanti, diventato così “sister-city”: un gemellaggio tra realtà demograficamente omogenee.
A stabilirlo è un vero e proprio decreto firmato proprio dal Governatore Joe Manchin III, nato a Fermont, laureato in economia, sposato con Gayle Conelly e padre di tre figli. Un americano di 58 anni i cui nonni erano di San Giovanni in Fiore, città che lui non ha mai visitato.
Il nonno, Giovanni Manchin I, ha lavorato nella miniera di Monongah, dove il 6dicembre del 1907 un’esplosione di grisù uccise circa mille persone facendo di quella tragedia l’evento più drammatico per l’emigrazione italiana “e anche per gli Stati Uniti precisa Manchin - dato che è stato l’incidente minerario più grave della nostra storia” Manchin Il si mise invece a vendere mobili e inserì la sua famiglia nella società americana: “In casa mia - ricorda Manchin III - non si parlava l’italiano perché c’era una forte discriminazione che impose a molti emigranti di mettere da parte la propria cultura’ Manchin III è il primo Governatore cattolico, italiano d’origine calabrese, dei West Virginia1 eletto nel 2004. Nella sala dell’hotel Four Season sulla 57ma street di New York, ha incontrato l’8 ottobre la delegazione del Consiglio regionale.
“Col vento o con la neve, non importa, ma stasera sarei venuto comunque.
Ho voluto incontrarvi perché io ho la Calabria nel cuore”. E la confessione del Governatore, accolto dal vicepresidente Fortugno e dai consiglieri regionali.
Fortugno non aveva dubbi sulla bontà del risultato ottenuto negli Stati Uniti: “Il gemellaggio costituisce un passo in avanti nel processo d’internazionalizzazione della nostra regione. Il passato di sacrifici compiuto da chi è dovuto andar via dalla propria terra, si lega ad un presente che può consentire alla Calabria ed al West Virginia di rendere onore ai nostri emigranti e di approfondire l’amicizia tra le due realtà
I nonni del Governatore sono emigrati da San Giovanni in Fiore nel 1900. Di loro Manchin III (nome americanizzato ad Ellis Island) che quand’era bambino pensava che l’Italia fosse la Calabria, ricorda ogni cosa: desideri, sacrifici e speranze.
“Il nostro Stato intende tessere rapporti sempre più intensi con l’Italia” ha detto il Governatore del West Virginia: “Anche per questo ho firmato il decreto di gemellaggio. Vi confesso che prima di questo appuntamento ho avuto un incontro con un imprenditore italiano dei settore chimico. L’Italia molto importante per la nostra proiezione economica. Ed io che quando sono stato eletto ho capito quanto gli italiani del mio Stato siano orgogliosi dei risultato conseguito, guardo con molta attenzione all’Italia ed alla terra dei miei nonni da dove, il giorno dopo la mia elezione, mi hanno mandato a prima pagina di un giornale con la mia foto e le congratulazioni per il mio successo che dedico alla memoria dei miei nonni e dei miei bisnonni che sarebbero orgogliosi della mia elezione. 

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