2 febbraio 2009    

Ventuno date da ricordare (di Filippo Diano)
Il delitto, le indagini, il processo: cronologia


Operazione Arcobaleno: Il Procuratore Nazionale antimafia Piero Grasso in Questura a Reggio16 ottobre 2005: il vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria, Francesco Fortugno, della Margherita, viene assassinato a Locri all’interno di Palazzo Nieddu del Rio nel corso delle elezioni “primarie” per la scelta del candidato a Presidente del Consiglio dell’Unione per le elezioni politiche 2006.
 
Il 18 ottobre 2005: il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, giunge in Calabria, e a Reggio, rende omaggio al feretro di Franco Fortugno, esposto nella Sala delle Adunanze del Consiglio regionale. Migliaia di studenti della locride scendono in piazza contro la ndrangheta e per gridare il loro sdegno e la voglia di riscatto della Calabria degli onesti.  
 
 14 novembre 2005: operazione “Lampo” condotta dalla polizia di Stato nella locride, coordinata dal pm Giuseppe Creazzo. Gli arrestati, Domenico Novella, Bruno Piccolo, Alessio Scali e Antonio Dessì sono accusati di fare parte della “cosca Cordì”. Nel corso di una perquisizione le forze dell’ordine se questrano potenti armi da guerra.
 
21 marzo 2006: il pentimento di Bruno Piccolo e Domenico Novella fa scattare le manette ai polsi per Domenico Audino e Salvatore Ritorto: i nuovi arrestati – appartenenti alla cosca Cordì – sono accusati di essere, rispettivamente, l’autista dell’autovettura usata dal commando mafioso ed il killer di Franco Fortugno.
 
20 giugno 2006: Alessandro e Giuseppe Marcianò, rispettivamente, padre e figlio, sono arrestati a Locri. Alessandro Marcianò, capo sala all’ospedale di Locri è indicato dagli inquirenti come il mandante dell’omicidio, mentre il figlio Giuseppe, avrebbe accompagnato il killer Ritorto con Audino a Palazzo Nieddu il 16 ottobre 2005 per uccidere Franco Fortugno.
Alessandro  Marcianò, in manette, per essere condotto in carcere
21 luglio 2006: Tribunale libertà.
Le settanta pagine della sentenza del TdL (Vincenzo Pedone, presidente;  a latere, Barbara Bennato e Cinzia Barillà),  confermano puntualmente il ruolo fondamentale assunto da Alessandro e Giuseppe Marcianò nell’omicidio dell’uomo politico.
Il Collegio corrobora e, addirittura, rinsalda, alla luce di numerosi pronunciamenti in materia della Suprema Corte di Cassazione, l’intero impianto accusatorio costruito attorno alle deposizioni di Bruno Piccolo e Domenico Novella.
 “Il patrimonio di conoscenze dei fatti (con riferimento alla deposizione del Piccolo) – scrivono i giudici del Riesame – non può non essere dunque particolarmente elevato. Appare ancor più significativo se riferito al Novella, soggetto che vanta diretti legami di sangue con la famiglia Cordì”.
 
20 settembre 2006: in una intervista, l’on.le Maria Grazia Laganà Fortugno chiede l’intervento del Capo dello Stato per la lentezza delle indagini sull’omicidio del marito.
 
25 settembre 2006: Le Procure distrettuali antimafia di Catanzaro e Reggio Calabria aprono un fascicolo di indagine per verificare i contenuti di alcune interrogazioni consiliari a suo tempo depositate da Franco Fortugno su  presunte illegalità amministrative commesse nella gestione della Asl di Locri. Il pm Luigi De Magistris emette quattro “inviti a comparire” a carico dell’ex assessore regionale alla Sanità nella passata legislatura, Giovanni Luzzo; dell’ex commissario straordinario dell’Asl di Locri ed ex deputato di Forza Italia, Giovanni Filocamo; di Luigi Giugno medico dirigente presso la divisione di Medicina generale a Locri, attuale consigliere provinciale in carica per l’Udeur, con un recente passato di dirigente di Forza Italia a Locri, e di Manuela Stroili, ex direttore generale dell’Asl di Locri.
 
15 dicembre 2006: Una bomba artigianale esplode nell’ospedale di Siderno. Sul luogo dell’esplosione, una lettera minacciosa destinata a Maria Grazia Laganà e Domenico Fortugno, medico in servizio in quell’ospedale e fratello di Franco. E’ il primo di una serie di gravissime minacce rivolte all’on. Maria Grazia Laganà ed ai famigliari di Franco Fortugno. 
 
20 dicembre 2006: I carabinieri del comando provinciale arrestano Francesco Chiefari. Ex poliziotto, 36 anni, Chiefari, originario di Roccella Ionica, è accusato di essere l’autore dell’attentato commesso all’ospedale di Siderno. I militari dell’Arma, inoltre, imputano a Francesco Chiefari la responsabilità di avere collocato un secondo ordigno esplosivo, ben più potente, nell’ospedale di Locri, regolarmente innescato, ma che non esplode, evitando così ben più tragiche conseguenze. E’ lo stesso Chiefari ad indicare ai carabinieri il luogo dove viene poi ritrovato l’ordigno nel nosocomio locrese. Nello stesso giorno, il Gip del Tribunale di Locri, Luciano D’Agostino, riapre le indagini sulla denunce presentate da Franco Fortugno nel 2003 sulla malasanità locrese, rigettando la richiesta del Pubblico ministero di turno che ne aveva chiesto l’archiviazione.
Per tre lunghi anni, nessuno aveva indagato sulla veridicità o meno di quelle denunce.    
 
23 febbraio 2007: Maria Grazia Laganà Fortugno, in sede di udienza preliminare, chiede al Gup Santino Melidona l’acquisizione al fascicolo dell’inchiesta sull’omicidio del marito degli atti di indagine sul tentato omicidio commesso ai danni dell’ex parlamentare e assessore regionale nell’ultima Giunta Chiaravalloti di centrodestra, il socialista Saverio Zavettieri, e di tutti i procedimenti pendenti o definiti riguardanti il consigliere regionale Domenico Crea.
12 aprile 2007: Il collaboratore di Giustizia, Domenico Novella, alias “nipote Micarello”, come lo richiama in una lettera inviata dal carcere il boss Vincenzo Cordì, per scongiurarne la collaborazione, conferma appieno la sua testimonianza dinanzi al gup Santino Melidona, indicando gli esecutori dell’omicidio di Franco Fortugno.
 
28 aprile 2007: A Palazzo Laganà, a meno di cento metri dall’ingresso principale del Palazzo di Giustizia di Locri, viene recapitata una lettera indirizzata all’on Maria Grazia Laganà Fortugno. Nel palazzo, abitano anche il padre di Maria Grazia, Mario Laganà, ex deputato della Dc ed ex sottosegretario di Stato, ed il fratello di questi, Guido, anch’egli impegnato in politica e già assessore regionale e consigliere della Democrazia Cristiana in Calabria negli anni ’70 e ’80.  “Ti controllo, smettila di agitarti, tanto ti ammazziamo”, è il contenuto dell’anonima missiva.
 
22 maggio 2007: terzo atto di intimidazione contro Maria Grazia Laganà a poco più di una settimana dell’apertura del dibattimento dinanzi alla Corte d’Assise di Locri del processo per l’assassinio di Franco Fortugno. Con la solita tecnica dei ritagli di giornali, l’anonimo postino della ndrangheta compone le frasi di minaccia e continua la sua azione criminale: “La devi finire! Presto andrai a fare compagnia a tuo marito. Stavolta i proiettili non te li abbiamo mandati perché ci servono”.     
 
30 maggio 2007: La quinta sezione della Corte di Cassazione conferma il carcere per Alessandro e Giuseppe Marcianò.
 
31 maggio 2007: Si apre dinanzi alla Corte d’Assise di Locri,presieduta da Olga Tarzia, il dibattimento per l’omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria, Franco Fortugno. L’udienza, incentrata soprattutto su aspetti di procedimentalità, viene aggiornata all’11 luglio. Il Procuratore facente funzioni della Dda, Franco Scuderi, dichiara ai numerosi giornalisti presenti in piazza Tribunale che “si sta lavorando per fare in modo che la vera mente dell’omicidio di Franco Fortugno possa presto raggiungere il banco degli imputati”.
Mentre i numerosi giornalisti presenti a Locri si apprestano a lasciare la cittadina ionica, a Palazzo Laganà arriva di corsa il vicequestore Rocco Romeo, dirigente del commissariato di polizia di Siderno.
Nella solita busta anonima indirizzata all’on. Maria Grazia Laganà, provvista di regolare timbro postale, vi è contenuta una sua foto con la testa mozzata e all’altezza della fronte, un buco come fosse il foro provocato da un proiettile. “Smettila! Non scapperai comunque alla tua sorte, e neppure chi ti protegge”, recita la frase minacciosa.
 
19 giugno 2007: La Corte di Cassazione conferma il carcere duro (41 bis) a carico di Giuseppe Marcianò.
 22 giugno 2007: L’ennesimo sinistro messaggio contenuto nell’ennesima lettera indirizzata a Maria Grazia Laganà: “Inutile blindarti, in un attimo salti”.
 
11 luglio 2007: Alla ripresa del processo a Locri dinanzi ai giudici della Corte d’Assise, i Pubblici ministeri  riconfermano il movente politico-mafioso che ha portato all’omicidio Fortugno. Contemporaneamente allo svolgersi dell’udienza, è recapitata la quinta lettera di minacce alla vedova di Franco Fortugno: “Tu non hai paura. Noi andiamo avanti. Morirai con una bomba. Addio onorevole”.
 
17 luglio 2007: per la Cassazione, “ci fu movente politico”.        
 La V sezione della Suprema Corte, rigetta l’ennesimo ricorso contro l'ordinanza di custodia cautelare in carcere per Alessandro e Giuseppe Marcianò, ritenuti i probabili  mandanti dell'omicidio del vicepresidente della Regione Calabria, Francesco Fortugno, avvenuto a Locri il 16 ottobre. Tra le motivazioni -  nella sentenza n. 27978 -  l'esistenza di un movente politico "ampliamente delucidato, costituito dalla vendetta verso il Fortugno che aveva in maniera inaspettata 'scippato' voti al candidato sostenuto dai Marcianò, commettendo uno 'sgarro' degno di adeguata punizione".
La sentenza della V sezione penale della Suprema Corte è l'effetto di un ulteriore ricorso presentato dalla difesa dei Marcianò che aveva contestato, tra l'altro, anche la sussistenza del movente politico. Durante le indagini, le
intercettazioni riportavano conversazioni di Giuseppe Marcianò che mostrava "un'ira incontenibile per il risultato elettorale per le elezioni Regionali, manifestando a Crea (primo dei non eletti nella circoscrizione provinciale di Reggio Calabria per la Margherita n.d.r.) candidato sconfitto per pochi voti, il forte risentimento per Fortugno". 

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