16 dicembre 2008    

''La destra in cammino'' Un libro di Alessandro Campi (di Romano Pitaro)


La destra in viaggio.  La meta: il partito unico da costruire con Forza Italia. Sembra cosa fatta/auspicata/acclamata.  A unificare è stato, prima di tutti,  il Pd.  La mossa veltroniana ha senz’altro  accelerato la semplificazione partitica. Ma chi oserebbe esprimere giudizi entusiastici su ciò che accade oggi  nel Pd?   La presenza di un Capo, nel centrodestra, con evidenti caratteristiche “napoleoniche”, dovrebbe però  rassicurare sui rischi La copertina del libro di Alessandro Campi, edito da Rubbettinocentrifughi. Ma la realtà, si sa, è imprevedibile. 
 A Catanzaro e a Cosenza,  una delle teste d’uovo della destra, Il politologo  Alessandro  Campi, docente di  Storia delle dottrine politiche a Perugia,  direttore scientifico della  Fondazione FareFuturo di Gianfranco Fini e autore di numerosi saggi tra cui, indimenticabile  per le audaci   comparazioni,  “L’ombra lunga di Napoleone con sottotitolo da Mussolini a Berlusconi, ha  presentato il suo ultimo lavoro: “La destra in cammino” (Rubbettino editore).
 La sfida che il centrodestra ha dinanzi è epocale. Per An, nella specie, si tratta di sciogliersi in un contenitore che ha già un leader ridondante,  le cui caratteristiche non sempre coincidono con i tratti valoriali e il modo d’essere di un partito tradizionale  che viene da lontano e ha fatto a Fiuggi un decisivo  salto culturale costatogli sacrifici, spaccature e intemperanze. 
 Al prof Campi, catanzarese illustre,  studioso dei processi attraverso cui si è formata la democrazia italiana,  non si può chiedere se le temute  degenerazioni autoritarie  ventilate nel dibattito politico,  possano essere, all’indomani della costituzione del partito unico, più marcate, perché egli risponderebbe che “il rischio che si presentino situazioni e   fantasmi del ventennio sono frutto di un cattivo automatismo ideologico”. Ma a lui, che è in particolare un esperto di  quel filone di storia del pensiero politico definito convenzionalmente “realismo politico”, due osservazioni possono essere fatte.
  Come si terranno un partito come An, la cui storia e i cui sforzi per entrare dignitosamente in Europa sono passati attraverso tutte le categorie messe a disposizione dalla democrazia rappresentativa, con una leadership indiscutibilmente  plebiscitaria, protesa a saltare ogni fase intermedia per rivolgersi direttamente alla gente, utilizzando, con scientifica competenza, il sistema mediatico e propagandistico ?  Se non erro, il prof Campi  esprime  un giudizio di valore negativo per le cosiddette personalità “esemplari” della storia prese in oggetto ne L’Ombra lunga di Napoleone  che, è vero,  in parte giustifica in quanto  frutto di processi storici ben precisi; nel caso di Mussolini, per esempio,  della piccola borghesia all’indomani del conflitto mondiale e,  nel caso di Berlusconi, della piccola e media borghesia all’indomani della cupezza degli anni di piombo italiani.
 Non è il caso di fermarsi  sulle differenze più volte indicate che vi sono  tra An e Forza Italia, perché il professor Campi, in un’intervista al  Quotidiano, ha già avuto modo di esplicitarle: “An rappresenta l’evoluzione della destra missina e ha alle  spalle una storia cinquantennale,  Forza Italia è nata dalla fantasia di un imprenditore geniale con un forte senso dello spettacolo e una capacità comunicativa unica”. Cosi come ha spiegato i tratti di somiglianza: “Si  tratta di  partiti con una forte impronta leaderistica e carismatica (Berlusconi e Fini) che  non sono mai stati messi in discussione dai rispettivi partiti. E questo è un indubbio punto di forza rispetto ad una sinistra che, negli ultimi vent’anni, ha visto alternarsi alla propria guida numerose personalità: da Occhetto a Prodi, da Rutelli e Veltroni, da Fassino a D’Alema. Altro punto comune è che si tratta di tre partiti (inclusa la Lega)  sostanzialmente estranei, dal punto di vista storico-politico e culturale, al “patto costituzionale” dal quale ha avuto origine la Repubblica italiana. Secondo alcuni ciò rappresenta un grave limite: la conferma che si tratta di una destra che non ha radici nella storia nazionale e che presenta un tratto per certi versi “eversivo”. Ma al tempo stesso rappresenta un indubbio vantaggio: in un paese che inclina al conservatorismo istituzionale e al formalismo giuridico, queste forze non vedono nella costituzione repubblicana un tabù inviolabile, una sorta di “tavola della legge” che nessuno potrà mai modificare. Ciò spiega, ad esempio, l’inclinazione modernizzante e la spinta al cambiamento che questi tre partiti hanno sempre manifestata. Non avendo un passato al quale ancorarsi, sono sempre stati tentati dalla spinta verso il futuro”.
C’è un secondo punto problematico. E qui urge un  chiarimento scientifico.  L’ideologo del nuovo partito è il ministro Tremonti, il quale non ha soltanto scritto ( il suo libro questo è ) un  manifesto di nuovi valori per il centrodestra, ma seguita a suggerire alla destra l’orizzonte ideale. Dall’invocazione di un  rigoroso purismo di mercato, il centrodestra italiano passa a chiedere  più Stato e più regole (più etica nell’economia), concretizzando cosi, a parti rovesciate,  uno schema introdotto da molti socialismi europei fra gli anni ’80 e gli inizi del nuovo secolo. Dunque: non è che la destra, oggi, s’infila nel nuovo partito perché  non ha più nulla da dire e per sopravvivere accetta persino “di adottare programmi e linee culturali della più classica tradizione della sinistra”? Infine: c’è un altro rischio, indicato   su Repubblica da  Aldo Schiamone: Tremonti,  intende saldare il progetto egemonico della nuova destra, non più liberista e la cui etica tende a tingersi di tonalità antilluministe,  a quello perseguito dalla Chiesa cattolica. Ma cosi non si rifa la Dc? 

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