19 novembre 2008    

Rapporto sulla legislazione regionale a sette anni dalla Riforma costituzionale


Sono trascorsi sette anni dall’entrata in vigore del nuovo titolo quinto della Costituzione che ha dato avvio alla riforma in senso ‘regionalista’ dell’architettura dello Stato. Come sono cambiati ruolo e attività delle Regioni in questo periodo, alla luce dell’ormai prossima ‘rivoluzione’ del federalismo fiscale? Alcune risposte arrivano dal decimo rapporto sullo stato della legislazione, curato dall’Osservatorio sulla Palazzo Chigi sede del Governo a Romalegislazione della Camera dei deputati e dalla Conferenza dei presidenti delle assemblee legislative regionali avvalendosi dell’istituto di studi sulle autonomie “Massimo Severo Giannini” del CNR, che dedica una sezione specifica a fare il punto sulle regioni a sette anni dalla riforma del titolo quinto della Costituzione.

La terza camera dello Stato. Gli ultimi sette anni delle Regioni, caricate di nuove competenze, possono essere riletti come un primo banco di prova di una legislazione ‘federalista’, nella quale le assemblee regionali si ritagliano un nuovo ruolo e bilanciano in maniera diversa i propri poteri rispetto all’esecutivo regionale e a quello statale. Messe insieme le assemblee legislative delle venti

regioni d’Italia e delle due province autonome rappresentano la “terza camera” dello Stato, con 1119 consiglieri a fronte dei 945 parlamentari nazionali.


Meno leggi. Dopo la riforma costituzionale del 2001 che ha ridisegnato e rilanciato il ruolo delle Regioni, soprattutto sul fronte dell’attività legislativa, la tendenza in atto, comune a tutti i 22 ‘parlamentini’ regionali, non è stata quella temuta dell’aumento ipertrofico della propria produzione legislativa, bensì quella della semplificazione e del ‘disboscamento’ legislativo: la media annuale di

produzione di nuovi provvedimenti si attesta attorno alle 500 leggi nelle 15 regioni a statuto ordinario (630 considerando anche le regioni e le province autonome), con un crescente ricorso alla produzione di testi unici e di leggi di riordino e con una netta propensione a interventi di delegificazione che, nelle regioni ordinarie, hanno portato ad abrogare il 40 per cento delle 26.434 leggi emanate dal 1970 ad oggi.


L’originalità delle Regioni. In questi ultimi anni i legislatori regionali privilegiano le leggi di settore (pari al 37 per cento dell'intera produzione normativa), sfornando sempre più provvedimenti  dedicati ai servizi alla persona e alla comunità (107 leggi nel 2005, 160 nel 2006, 145 nel 2007), settori che assorbono ormai l’80 per cento dei bilanci delle regioni. In questo ambito le assemblee regionali stanno dando prova anche di notevole originalità come testimoniano le molteplici leggi dedicate al terzo settore e al non profit, alla famiglia, alla gestione dei tempi della città, alle adozioni, al riutilizzo dei beni confiscati alla mafia, alla tutela degli animali o alle terapie complementari.

La pianta regionale - commenta il rapporto utilizzando una metafora - ha oggi sicuramente radici più solide”. E’ soprattutto in materia di sanità e sociale che le assemblee regionali si stanno qualificando come piccoli laboratori di regionalismo e di sperimentazione legislativa adottando

provvedimenti che valorizzano e responsabilizzano le professioni sanitarie e sociali, coordinano gli enti del servizio sanitario regionale, semplificano i processi amministrativi e regolamentari, creano reti regionali informative, avviano centralizzazioni di attività amministrative e di acquisto. In netta flessione appare invece la produzione legislativa in materia di industria, artigianato e attività produttive, settore divenuto ‘residuale’ per le Regioni dopo la riforma del titolo quinto.

Unica eccezione è rappresentata dal settore agricolo, materia dove sin dal 1970 le Regioni esercitano consistenti competenze e dove continuano a legiferare al ritmo di 50 nuovi testi normativi promulgati in media ogni anno. Molto più timidi appaiono, invece, i ‘parlamentini’ regionali nel produrre leggi nelle materie di ‘nuova’ attribuzione, come energia, reti infrastrutturali, comunicazione e ricerca, assegnate dalla riforma costituzionale del 2001.Lo stemma della Repubblica Italiana


Più controllo e indirizzi. Tuttavia negli ultimi anni non sono più le leggi il principale “prodotto” dei Consigli regionali: le assemblee legislative regionali si stanno trasformando prevalentemente in organo di indirizzo e di controllo nei confronti dei governi regionali. Leggi e regolamenti rappresentano appena il 6,3 per cento dell’attività consiliare; prevalgono invece di gran lunga

gli atti di controllo (61 per cento) e di indirizzo (17 per cento). E anche sul fronte più strettamente legislativo, il potere di iniziativa dei Consigli risulta subordinato a quello delle Giunte, promotrici del 65 per cento delle leggi promulgate ogni anno, nonostante i consiglieri depositino più del doppio dei disegni di legge presentati dalle Giunte.


Inoltre una legge su quattro prevede l’adozione di atti da parte dell’esecutivo, affidando così ampia discrezionalità applicativa alle Giunte.

I rapporti con le Giunte. I numeri del rapporto fotografano i tentativi dei Consigli di correre ai ripari e di riequilibrare il ruolo tra potere legislativo e potere esecutivo, nonostante “l’interminabile cantiere della revisione del titolo quinto”: 11 regioni su 15 a statuto ordinario hanno riscritto lo statuto (mancano ancora Veneto, Campania, Basilicata e Molise) con l’intento di bilanciare i diversi organi regionali, quattro regioni (Calabria, Liguria, Emilia Romagna e Umbria) hanno riscritto ex novo il regolamento consiliare, altre hanno preferito adottare parziali modifiche, tutte hanno cercato di affinare la qualità dei propri atti legislativi adottando sistemi di analisi preventiva e di valutazione ex post della loro efficacia. Rispetto al Parlamento nazionale, dove l’88 per cento delle leggi approvate sono presentate dal Governo, nelle assemblee legislative regionali le percentuali di

successo dell’iniziativa consiliare sfiorano il 30 per cento, indice - sottolinea il rapporto - di una autonoma determinazione delle politiche regionali che valorizza la dialettica maggioranza opposizione. Anche i limitati casi di conflitto tra Regioni e Governo (meno di trenta all'anno tra

il 2005 e il 2007) davanti alla Corte Costituzionali testimoniano il “senso di responsabilità legislativa” delle assemblee regionali.


Il ruolo dei ‘governatori’. Tra le altre novità prodotte da questi setti anni di “regionalismo legislativo” il rapporto mette in evidenza come nella dialettica Giunte-Consigli non appaia più centrale la figura del Presidente della Giunta: solo in tre regioni (Toscana, Basilicata e Campania) il presidente della Giunta ha partecipato costantemente alle sedute consiliari e nel 2007, in media, presidenti di Giunta e assessori sono intervenuti in meno della metà delle sedute alle quali hanno

partecipato.


L'Italia Federalista“La presenza costante della Giunta e del suo presidente in Consiglio - scrive il rapporto - di per sé non assicura una maggiore produttività delle assemblee”. La centralità delle leggi finanziarie. Le assemblee legislative appaiono recuperare spazi di manovra grazie anche alle leggi finanziarie, diventate ormai leggi omnibus, cioè provvedimenti non solo di ordine finanziario ma con

disposizioni anche ordinamentali e organizzatorie che integrano, correggono o addirittura cancellano leggi preesistenti. Attraverso le leggi finanziarie i Consigli possono uscire dal ruolo passivo nel quale rischiano di venir confinati dalla manovra di bilancio, impostata delle Giunte,

e recuperare spazi di iniziativa per fronteggiare eventuali emergenze o modificare l'ordine delle priorità di intervento. Casa, costo dell’energia, sicurezza, diritto allo studio, ambiente e stabilizzazione dei precari sono stati i temi che hanno caratterizzato gli interventi dei Consigli

regionali nelle finanziarie 2008. L’analisi comparata delle manovre finanziarie regionali 2008, che per entità delle risorse gestite vale il 30 per cento della spesa pubblica e l’11 per cento del Pil, dimostra - secondo l’Osservatorio sulla legislazione - un uso razionale dei poteri fiscali attribuiti alle Regioni e una corretta impostazione dei rapporti tra regioni ed enti locali.  Un “positivo segnale di comportamento responsabile” - annota il rapporto - in vista dell’attuazione del nuovo federalismo responsabile.


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