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6 novembre 2008
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Strani silenzi (di Romano Pitaro)
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Prima il portone di casa a Lamezia traforato dai proiettili. Ieri l’altro, la bomba nella sua villa a mare: Franco Talarico, consigliere regionale e segretario dell’Udc, non vive momenti felici. Le ipotesi, sulle ragioni di questa intimidazione, in un contesto angosciato da un’ oggettiva escalation criminale, sono tante. Avrà forse pestato i piedi a un malvivente? Deluso il business di un “prenditore”? O, addirittura, è preso di mira perché rappresenta il tappo che s’oppone a quella politica che, per conseguire fini illeciti, usa ogni mezzo? Al momento, però, l’unica certezza è la domanda che il giovane deputato regionale fa a se stesso: “Vale la pena di fare politica se il rischio è cosi alto?” A suscitare stupore, oltre al degrado dei rapporti politica/società in Calabria, è anche altro. Gli spari e una bomba esplosa nelle residenze di un consigliere regionale, non hanno registrato alcun messaggio di solidarietà da parte del Governo e dei suoi ministri. Per il Governo, dunque, non è successo nulla di grave in questi giorni in Calabria? O prevale un’altra riflessione? Come dire: sparate pure, reagisca o meno la società calabrese, s’incarognisca l’atmosfera, al Governo tutto ciò interessa ma, al momento, è occupato da altre incombenze. Questa congettura, se fosse vera, complicherebbe ogni discussione sull’ordine pubblico nella regione e sulla possibilità di sconfiggere la mafia. Infatti, dietro l’omissione del Governo nel dare pubblica solidarietà a Talarico, s’ intuisce rassegnazione. Ragion per cui, prendere a pistolettate un politico in Calabria e mettergli una boma a casa, non fa più scandalo. Ma, se cosi fosse, chi dunque dovrebbe assumersi la responsabilità di far cessare il far west calabrese? La sicurezza dei cittadini non è solo un’esigenza delle aree ricche, bensì un diritto costituzionale che vale anche per il Sud. Se, in altre parti, ai politici le cui gesta si disapprovano, s’inviano aggettivi ineleganti e qui invece li si minaccia con la pistola, qualche preoccupazione si dovrebbe avvertire. Una reazione, anche pubblica, il Governo dovrebbe averla. L’impressione che si ricava, viceversa, osservando i comportamenti, è che l’ interesse che il Governo ha nel sostenere, nell’inferno calabrese, la parte che inferno non è, decisamente è insufficiente. Ieri, è stato festeggiato il 4 novembre, un evento che gode del favore di tanti, perché sul Piave “c’è il primo tratto, forse l’unico, di memoria condivisa, costata 700 mila morti tra nordisti e sudisti che si trovarono fianco a fianco per fare l’Italia”. C’è stata emozione nell’ascoltare “il Piave mormorò: non passa lo straniero”. Ma se il pensiero dei cittadini va al nemico esterno sconfitto, il pensiero del Governo dovrebbe andare al nemico interno contro cui l’Italia è impotente: la criminalità organizzata. Tra l’altro, se il Governo che intona “…Non passa lo straniero…” è lo stesso che trascura di dare solidarietà a un politico calabrese che la criminalità vorrebbe condizionare, c’è poco da stare allegri.
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