13 ottobre 2008    

''L'Incisore dei Sicomori''. Comunicare oggi, con etica e responsabilità.


La responsabilità della Comunicazione. O meglio, dei mezzi di comunicazione, la cui forza pervasiva della società è davvero grande. E da qui l’impegno per un orientamento etico del ruolo del comunicatore a qualsiasi livello lo si consideri. Un argomento sul quale la Chiesa, in generale, ha posto sempre grande attenzione. Nel corso di un convegno, nel novembre del 2002, dedicato alla comunicazione l’allora ancora Cardinale Joseph Ratzinger utilizzò l’immagine del Sicomoro. Da quell’episodio Umberto Tarsitano, giornalista, laureato in Scienze della Comunicazione, specializzato in Comunicazione e teologia pastorale presso la pontificia università lateranense ha scritto un interessante libricino, dal titolo “L’Incisore dei Sicomori”, Vintar Edizioni, per la prefazione di Don Domenico Pompili, Direttore dell’Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali della Conferenza Episcopale Italiana. La copertina del libro di umberto Tarsitano
Tarsitano è anche portavoce del Vescovo della Diocesi di San Marco Argentano-Scalea, ed è docente di comunicazione sociale presso l’Istituto di Scienze religiose “San Ciriaco Abate” di Belvedere Marittimo.
Del Sicomoro, ne parla Basilio il Grande, fondatore del monachesimo greco, nel suo commentario al Profeta Isaia. “Il Sicomoro è un albero che produce tantissimi frutti. Ma questi – scrive Basilio - non hanno alcun sapore se non li si incide accuratamente e non si lascia fuoriuscire il loro succo, cosicché diventino gradevoli al gusto”.  La metafora di Ratzinger diventa evidente quando si richiama a Basilio che fa del sicomoro “il simbolo per l’insieme dei popoli pagani, esso forma una gran quantità, ma è allo stesso tempo insipido. Quando questo insieme viene inciso con il logos, si trasforma, diviene gustosa ed utilizzabile”.
Una qualità che per il sicomoro  non deriva da una proprietà dell’albero o del suo frutto; è necessario un intervento esterno, quello del coltivatore. Applicando questo al paganesimo, a ciò che è proprio della cultura umana, ciò significa: - afferma l’allora Cardinare Ratzinger,   “il Logos” stesso deve  incidere le nostre culture ed i suoi frutti, cosicché ciò che non era fruibile venga purificato e non divenga soltanto fruibile, ma buono.
Attualizzando il concetto, oggi è solo il “Logos” stesso – scrive Tarsitano - che può condurre le nostre culture alla nostra autentica purezza  e maturità, ma il Logos ha bisogno dei suoi servitori, dei coltivatori di sicomori: l’intervento necessario presuppone competenza, conoscenza dei frutti e del loro processo di maturazione, esperienza e pazienza”.
Un compito di incisione della cultura antica svolto dai  Padri che così l’hanno preservata e messa in salvo per noi, e trasformandola da strumento marcio in un frutto grandioso. Un dovere che oggi è a noi proposto nei confronti della cultura secolarizzata del nostro tempo: questo è un’evangelizzazione della cultura. L’avvento dei mass-media e della cultura di massa, ha però messo in stretto contatto comunicazione e cultura.  Anzi, la comunicazione è uno dei fenomeni costitutivi della cultura. E allora c’è da chiedersi se esiste un’etica della Comunicazione, perché quello del comunicatore oggi non è da considerare un ruolo qualsiasi, ma di colui  che deve, più di altri, porre l’etica al centro della professione perché con il suo lavoro crea cultura, modifica atteggiamenti, condiziona il modo di pensare e di fare. Un’etica…sia nei confronti del messaggio sia nei confronti di coloro a cui il messaggio è destinato. Ritorna, dunque, l’immagine dell’Incisore dei Sicomori, che al comunicatore richiede un impegno incisivo che va verso i diversi ambiti richiesti.
Da qui i motivi della necessità di un’etica della comunicazione, che deve ritrovare – secondo Tarsitano -  il suo ruolo e un autentico spirito di servizio,  attuandola con grande umiltà. Tarsitano prosegue cercando di delineare quelli che definisce i “contorni” di una buona comunicazione, individuando tre qualità dell’informatore oggi necessarie e cioè la sua capacità di verifica, la sua responsabilità e infine la sua indipendenza. Per Tarsitano, infatti, il vero giornalismo è quello  che sa sottoporsi alla ‘disciplina della verifica’ accollandosi l’onere di una investigazione profonda e coscienziosa. Circa la seconda mette in risalto del giornalista la serie degli obblighi cui sottostare, secondo le diverse ‘Carte’ formulate nell’ultimo periodo. Circa la terza lascia intendere che indipendenza minima è quella di dichiarare in partenza i propri presupposti piuttosto che nasconderli. Non c’è peggior pregiudizio infatti di chi presume di non averne.
Da ultimo, ma non per ultimo, si richiede in chi fa comunicazione un pizzico di umiltà, se è vero – come segnala nel suo libro l’autore  – che perfino “il New York Times nel 2004 ha dovuto stampare 3200 correzioni per errori contenuti in informazioni precedentemente pubblicate”.-  

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