7 ottobre 2008    

Verso il V Convegno delle Chiese calabresi (di Romano Pitaro)


E’ iniziato, sommessamente ma con rigore, all’interno del mondo  ramificato della Chiesa, il lavoro preparatorio che avrà come esito il V Convegno Ecclesiale Calabro che si terrà fra un anno. Il Direttore di ''CalabriaInforma'' Romano Pitaro
Il  tema già individuato (Le Chiese calabresi in comunione per testimoniare il Risorto) non deve trarre in inganno. La Chiesa, infatti,  è cosciente di essere immersa nella carnalità umana calabrese.   Gli  argomenti che saranno trattati non sono  competenza di un mondo separato. Toccano   immediatamente la Calabria. 
La Chiesa è anche politica, benché Benedetto XVI dica che essa   “non vuole essere agente politico”. Presenza non passiva in Calabria, anzi, come ha dimostrato nel passato, attiva, critica, propositiva nei riguardi anche  della politica “che deve prendere coscienza delle sue responsabilità e dei suoi doveri”, cosi   è scritto nel  breve Instrumentum Laboris predisposto in vista del Convegno ecclesiale ”.  
Perché, come è pure detto, la Chiesa non sceglie di camminare con i migliori. Cammina con la gente, con i suoi fardelli, le ferite, i silenzi, le attese. Insomma la Chiesa sente il dolore della Calabria e si chiede che fare.
Per entrare in sintonia con la carnalità calabrese la Chiesa  ha immaginato, in vista dell’appuntamento del prossimo anno,   cinque  ambiti su cui riflettere. 1) la tradizione; “vista come ricchezza ma anche come rischio, se intesa quale insieme di incrostazioni, di riti troppo carnali e a volte perfino di stili di superstizioni e di sentimentalismi di agevole conio, che, lungo il tempo, si sono sovrapposti alla purezza della fede”. Inutile dire che  si  richiama l’attenzione anche sui tanti miracoli (?) di cui si ha notizia nelle nostre contrade, ascritti a questa e a quello, e intorno a cui, non la luminosità della fede o la saggezza della  Parola trionfano,  ma la superstizione, la riduzione della fede a un fatto privato,  la credulità   che annulla l’intelligenza e il senso critico.  2) la vita affettiva; coglie bene la Chiesa “la cultura della ritrosia” propria del calabrese, portato a vivere non in pubblico il suo mondo degli affetti e a concepirli come consolatori (fede compresa) di delusioni e frustrazioni. L’individualismo più marcato si ha quando persino l’incontro con Cristo è ritenuto un incontro privato in cui la presenza degli altri costituisce un ostacolo.
3) le fragilità,  “che sono impressionanti in Calabria”. Frutto, tra l’altro, “di assenza dello Stato e di prevaricazioni ed arroganze da parte di altri poteri che si fondano sulla paura della gente e si esprimono nella violenza”. Una denuncia secca.  La ‘ndrangheta, asserisce la Chiesa, è il  primo impedimento al dispiegarsi di una dignitosa vita collettiva. Non è tutto, perché tra le cause delle  fragilità calabresi  è inserita la politica: “l’impossibilità di affrontare gli effetti della globalizzazione” è dovuta “alla  mancanza di una politica autentica”; senza dimenticare il mercato privo di  regole che strozza i più poveri e il deficit di strutture per la valorizzazione dei talenti calabresi “costretti ad emigrare”.
Si riaffermano principi solenni, quando è  la cittadinanza (4) l’ambito di discussione: è da evitare la tentazione di cristianizzare la politica ma anche “l’eccesso di separazione tra la cittadinanza e la fede”. Emblematico  l’ultimo ambito di riflessione: il lavoro e la festa (5); aldilà di ogni riferimento religioso  al senso della festa, la Chiesa pone l’interrogativo  che tormenta ogni famiglia calabrese: come può legarsi il lavoro alla festa quando il lavoro manca?  “Questo per i calabresi è il problema”, asserisce il documento dei vescovi. Se essi sperimentato da tempo immemorabile il più alto tasso di disoccupazione, ciò influisce sul costume, il pensiero,gli atteggiamenti, le attese. In questa situazione allora la festa stessa è in pericolo.
Tra lavoro scarso o mortificante, tra l’ansia dei giovani e il dramma dell’individuo che, dopo tanta fatica, stenta a realizzarsi, “le nostre Chiese – è scritto – possono e debbono rendersi presenti, soprattutto in questa terra”.  Evidente che quando la Chiesa si candida ad essere per la Calabria “l’olio della consolazione e il vino della speranza”,  promette di non volerlo fare restandosene in disparte o esigendo dai cristiani soltanto uno stile di vita che li sottragga all’omologazione del mondo.
Come, allora,  in concreto? Come farà la Chiesa calabrese  “a proteggere il gregge dai ladri e dai lupi?”  E’ quello che vedremo.      

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