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19 settembre 2008
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''Umbertina'' Un libro sul Sud premiato dal Nord (di Romano Pitaro)
Tre donne calabresi da Carlopoli a Capo Cod |
Racconta di donne calabresi. La prima è la ragazza delle capre; che, prima, sta da questa parte dell’Oceano, a Castagna una frazione di Carlopoli. Col marito Serafino e la sua pianta di rosmarino lottano contro la fame. E dopo,testarda com’è, sbarca negli Stati Uniti. Col marito e la pianta di rosmarino. Si lascia alle spalle la miseria e farà fortuna. Tre donne: Umbertina, la contadina calabrotta, incarna il dramma dell’emigrazione. Le altre due: la nipote Margherite e sua figlia Tina; una in lotta per l’integrazione, l’altra alla ricerca della propria identità. Fra le tre donne c’è un abisso. Ma sempre ci sarà, nelle loro vite movimentate, anche quando il paesaggio non sarà la campagna calabrese dell’800 ma il lussuoso appartamento a Cape Cod, una pianta di rosmarino. Sfoglia le loro esistenze come petali, uno per uno, con la dolcezza di una figlia/sorella/madre che le tiene a distanza soltanto per scrutarle meglio, spesso però cede alla tentazione di accarezzarle. E a quel punto l’io narrante (Helen, i cui nonni paterni, Angelo e Nicoletta Cardamone sono partiti da Carlopoli nel 1880) si riversa nelle singole vicende e con la carne, il dolore e l’amore delle tre donne s’impasta fino a rendersi irriconoscibile. “Umbertina” racconta la Calabria e anche l’America e, attraverso la sua autrice, gli italoamericani. Per questa ragione (naturalmente anche per la scrittura fluida, avvincente, nostalgica) a novembre riceverà, a Mantova, il premio Acerbi per la letteratura. L’autrice è Helen Barolini, scrittrice newyorkese, (espressione, ma questa è tutta un’altra storia, del disagio dell’intellettualità italoamericana) d’origine calabrese. Nata in America ma vissuta per molto tempo a Roma dove ha conosciuto Calvino, Moravia, Dacia Maraini, moglie dello scrittore vicentino Antonio Barolini, a lungo corrispondente della Stampa dagli Stati Uniti. Grazie a lei e ad uno straordinario romanzo scritto da una donna e animato da tre spiccati caratteri femminili, la Calabria, a novembre, farà parlare di sé in Lombardia. Stavolta di Calabria si parlerà per vivisezionare il passato con le lenti della sociologia e della letteratura e non con quelle dei cronisti di nera o dei media nazionali che, pur nel legittimo impeto di non perdersi alcun dettaglio delle notizie sanguinolente, oscurano spesso gli altri lati del vissuto di un’intera regione. E se ne parlerà, di sicuro, senza omettere, come non di rado è accaduto quasi come il Paese percepisse la Calabria come il male oscuro, i riferimenti topografici (i borghi della Sila in questo caso) o le connessioni dell’autrice con una terra difficile e per questo mai indifferente. Si parlerà nella ridente cornice di Castel Goffredo (Mantova) di Calabria non per la presenza della mafia calabrese che pure in Lombardia dispone di mezzi e divisioni. Bensì per la tenacia dei calabresi che, lottando contro tante avversità sociali, partendo da condizioni impari e grazie soltanto al loro coraggio e ai tanti sacrifici sopportati, sono riusciti ad affermare la loro personalità nei santuari culturali ed economici del Nuovo Mondo. Vive a Hosting on Hudson l’autrice del romanzo che narra l’itinerario di vita di tre donne rappresentative di alcune delle problematiche più acute dell’emigrazione e dell’ansia dell’individuo che, quando non possiede il suo passato avverte, in maniera straziante, l’impossibilità di organizzare il suo presente e orientare il suo futuro. Helen Barolini è un’ anziana signora dallo sguardo sicuro. L’ho incontrata a New York in una serata di calabresi della Grande Mela e mi è parsa alquanto disorientata. Quando le ho confessato la mia impressione mi ha risposto : “E’ vero, non sono abituata alle serate con tanta gente, conosco poco le associazioni dei calabresi negli Stati Uniti, ma sono felice di essere qui con degli italiani”. Helen Barolini è nata a Syracuse ( New York) il 18 novembre del 1925. Da sempre ha evidenziato una spiccata inclinazione ad affrontare, nei suoi lavori, la problematica dell’emigrazione dal punto di vista femminile. Ha pubblicato Love in the Middle Ages; Festa: Recipes and Recollections of Italian Holidays; Chiaroscuro: Essay of identità. E’ autrice del radiodramma Margaret Fuller, an American Heroine of the Italian Risorgiment ed ha curato il volume The dream Book: an Anthology of Writings by Italian-American Women. Il suo ponderoso romanzo “Umbertina” ( la storia delle tre donne corre lungo un intero secolo ) è del 1979, è stato riproposto, vent’anni dopo, con grande successo. Una saga femminile che ripercorre le tappe dell’emigrazione, dell’assimilazione e del ritorno attraverso lo sguardo attento e scrupoloso di tre generazioni di donne: Umbertina Longobardi, infatti, nasce a Castagna, in provincia di Catanzaro, nella seconda metà dell’Ottocento. Il romanzo è stato ristampato dalla Feminist Press della City University di New York e successivamente tradotto in Italia da dall’editore Avagliano. Qual è l’impressione che ricava dal ricevere un Premio in una città italiana del Nord per avere raccontato storie dell’Italia del Sud ? Avere un premio, cosi prezioso, in una città del nord per un libro sul Sud, è molto bello. Sono contentissima che il mio libro è riconosciuto per ciò che narra in tutta Italia. Se una città della Calabria volesse darmi un premio, sarei naturalmente altrettanto felice. La frattura che noto di questi tempi in Italia tra Nord e Sud mi ricorda la frattura che si viveva nel tempo della grande emigrazione. Ho fatto nascere la protagonista del libro, Umbertina, nel 1860, data dell'unificazione di Italia, un evento decisamente centrale nella storia europea che a nessuno è permesso neanche lontanamente di oscurare. Ha ancora senso discutere di radici, della riscoperta delle radici e, nel suo caso, di radici calabresi ? Veramente, ho trattato della riscoperta delle radici calabresi nel mio romanzo Umbertina e nei miei vari saggi sulla Magna Grecia. Praticamente nella vita odierna non discuto più delle radici italiani, oramai lontane, perché esse vivono nel mio nome, nei soggetti delle mie opere, e nelle mie figlie e i loro figli. Per esempio, la mia figlia maggiore, Teodolinda Barolini, è professoressa di letteratura italiana alla Columbia University ed è un'autrice ben conosciuta per i suoi libri su Dante tradotti anche in italiano. Una pesante coltre di silenzio ha avvolto in Italia, per tanto tempo, la storia degli italo-americani. Perché è accaduto ? Per cattiva coscienza, come scrive Laura Lilli nella prefazione al suo romanzo ? Ho sempre pensato che "la pesante coltre di silenzio" sia più un fenomeno italiano che italoamericano. Perché nessun autore italiano ha mai avvicinato la grande narrativa dell’ esodo dall'Italia di tanti emigranti? Una volta ho parlato di questo con il capo di una piccola casa editrice di Vicenza e mi ha risposta che nessuno vuol leggere dei "poveri." Tutto ciò, malgrado la presenza nella letteratura italiano di un Verga, Ignazio Silone, Carlo Levi, Rocco Scotellaro, Ferdinando Camon, ecc. La letteratura italo - americana ha subito in America una sorta di ostracismo; a parte il romanzo di Pietro Di Donato (Cristo tra i muratori) ciò che ha fatto presa è stato il genere criminale. Lo stesso Puzo deve la sua fama soltanto al Padrino non agli altri suoi romanzi…Lei è d’accordo? Si, purtroppo, mancano dei critici letterari ben conosciuti e stimati fra l'establishment letterario americano (come, per esempio, è stato il caso del critico afro-americano Henry Louis Gates,Jr che ha portato avanti Toni Morrison fino al premio Nobel). Il caso degli scrittori americani che hanno trattato dei soggetti oltre la criminalità italoamericana, non ha avuto molto successo. Il successo è stato sul livello popolare, come è accaduto al "Padrino" di Mario Puzo, perche il grande mercato ha accettato ed è abituato al tema criminale riguardo agli italo-americani grazie, anche, al gangster-film di Hollywood. C’è una sorta di marginalizzazione degli italoamericani nella vita intellettuale americana ? Mancando critici letterari che si interessino del lavoro letterario degli italoamericani, saremo sempre marginalizzati. Non è cosi per altri campi, la politica, lo sport, la scienza, il teatro. In un saggio sui romanzieri italo-americani lo scrittore Gay Talese racconta che uno di loro per conseguire uno strabiliante successo dovette cambiare nome, firmando i suoi best seller con lo pseudonimo di Ed McMain. Lei ha mai pensato di cambiare nome? Sí, quando era molto giovane mi sembrava necessario seguire la strada di Francesca Vinciguerra, una notevole scrittrice americana degli anni '30, che ha accolto il consiglio di un suo editore ed è diventata Frances Winwar, traducendosi letteralmente! Ma io ho tenuto il cognome italiano ed oramai non credo che sia più un vero ostacolo. L’estraneamento, sentimento tipico dell’emigrante rispetto alla cultura del paese ospite è ancora presente ? No, credo che questi ragionamenti siano oramai del tutto superati. Lei narra, nel romanzo “Umbertina”, di tre donne italo - americane di una stessa famiglia le cui storie si snodano nell’arco di più di cent’anni ( dal 1860 ai giorni nostri). Dalla contadina che vive a Castagna alla nipote che vive a Cape Code e fa parte dell’aristocrazia americana. A quale delle tre donne è più vicina. Più volte i lettori mi hanno fatto questa stessa domanda. Io rispondo semplicemente cosi : io sono tutte le mie donne Si sostiene che lei rievoca l’esperienza della sua nonna calabrese per poter meglio definire il suo ruolo di americana integrata d’origine calabrese. Quanto conta per lei la Calabria ? La parte calabra deriva della parte materna, mentre le radici dei miei nonni della parte di mio padre sono siciliani. Però non ho conosciuto i nonni paterni come ho conosciuto la mia nonna calabrese. Poi, nella mia famiglia era mia madre che raccontava storie di famiglia, non mio padre. Cosi, posso dire che conosco molto di più la famiglia calabrese, ma naturalmente avverto anche l'influenza siciliana .
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