9 settembre 2008    

Un libro/inchiesta sui diamanti insanguinati (di Romano Pitaro)



Nonostante gli sforzi degli Organismi internazionali di controllo il mercato illegale di preziosi è ancora florido. Dopo il film “Blood Diamonds” di  Edward Zwick l’ eco fu  notevole e le denunce di Amnestey International hanno fatto il giro del mondo. L’interesse della ‘ndrangheta, presente fin dagli anni ’80  a Johannesburg, per i diamanti. Conferma lo scrittore Antonio Nicaso: “Molte organizzazioni criminali, tra cui la mafia calabrese, utilizzano proprio i diamanti come moneta di scambio per acquistare ingenti partite di droga”. L’unico libro/inchiesta in Italia  su un mercato che smuove quantità enormi di danaro e che continua a sfuggire ai controlli,  scritto da un maggiore della Guardia di Finanza Marco    Letizi  e da  un esperto del settore Ciro Paolillo.  


di Romano Pitaro


Hilde che nasconde i diamanti nella cetra al doganiere col fucile che va via desolato (una canzone di De Gregori),   è  poca cosa  rispetto ai  massacri in Sierra Leone che hanno scandalizzato  il mondo grazie a Blood Diamonds, il  film di Edward Zwick.   E’ lontana anni luce  “La casa di Hilde” dagli orrori denunciati da Amnesty International che nel  2000 ha lanciato la campagna mondiale sui diamanti insanguinati.  Le cause di  quella montagna  di dolori, però, non sono state   rimosse. E dei  segreti  delle “vie dei diamanti” si parla di rado. E  si scrive  poco.
 A squarciare il silenzio, a ricordare  i bambini guerrieri e l’opacità del   mercato diamantifero  mondiale,  che  ha chiuso il bilancio del 2006 con 175 milioni di carati estratti  e un giro d'affari di 12,45 miliardi di dollari, giunge  l’unico    libro/inchiesta sui diamanti  oggi in circolazione   in Italia  scritto da  Marco Letizi e Ciro Paolillo (Le lacrime degli dei, storia segreta delle pietre più desiderate del mondo, Rubbettino editore) . 
 C’è chi, dinanzi a una gemma, non scorge il grumo di atomi di carbonio che cristallizzati nel corso di milioni di anni, ma si  commuove  intuendo la  rosa abbozzata. Eppure la vita dei diamanti  è puntellata da fatti oscuri. Benché  la ricaduta sociale per i paesi africani produttori di grezzo sia innegabile (lo stesso Nelson Mandela  ha apprezzato i benefici per il Sudafrica) i  diamanti grondano sangue. La copertina del libro ''Le lacrime degli dei'' edito da Rubbettino
Quattro gocce di 20 carati ciascuna, colore D puro. Una goccia centrale di 47,50 carati, probabile origine: miniera di Golconda, India. Prezzo: 50 milioni di euro. Roma: il direttore della Christie’s, Francesco Alverà, chiude un’asta favolosa. Il sospiro di sollievo della principessa Giulia che si disfa  dei preziosi,  pone fine al viaggio di uno straordinario diamante  il cui ricavato va  in  beneficenza. Così, per una volta, la ricchezza dei i cinque  diamanti di cui il libro ricostruisce il funesto  itinerario,  è condivisa con i più svantaggiati. La generosità della nobildonna è la metafora di ciò che si vorrebbe dai diamanti.  Ma è un caso limite.   Perché i traffici sporchi  non sono stati sgominati. Le autorità internazionali,  dopo anni di sforzi,  non garantiscono ancora  la piena  liceità dei mercati.
L’asta è  la magnifica ouvertoure da grande romanzo. Ma è l’unica  concessione del libro  alle fantasie. Poi l’ inchiesta incalza.  Ci trascina per  città opulente  dove si fanno affari  che lasciano a bocca aperta i cultori  della democrazia.  Il libro di Letizi, maggiore della Guardia di  Finanza ed  esperto  nell’attività di monitoraggio per le gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata,  e Ciro Paolillo, amministratore delegato dalla Paolillo&C.Srl fondatore della Dna Diamone per l’identificazione certa dei diamanti, è intriso  di storie agghiaccianti.   Ma è anche un libro di viaggi per turisti  sulla   rischiosa rotta dei diamanti.  Pronti, dunque, a partire da Palazzo Lancellotti a  Roma,  sede della Christie’s, di passaggio per Venezia Genova Firenze,dove nacquero i centri di taglio, fino a Hong Kong dove ci attende una suite al  Peninsula e quindi nelle Antille Olandesi. Poi in  Yakuzia, da dove giungono, a Tel Aviv, alcuni trafficanti che, acquistando merce economica e, rievocando la spedizioni ordinate da Stalin in Siberia alla ricerca di giacimenti diamantiferi, trafugano milioni di carati. Ecco Londra, sede del gigante mondiale del commercio di diamanti, la De Beers, in un palazzo vittoriano che circonda Cheterhouse Square, fino alle desolate coste della Namibia dove un  un  ex capitano di vascello della Royal Navy, Edmondo Parker, troverà, trivellando a oltre 100 metri di profondità, due enormi cristalli di 40 carati ciascuno.
 Ancora: in Arabia Saudita, dove una fantomatica società  di consulenza internazionale offre i propri servigi per un colpo di Stato  nell’Africa sub sahariana col proposito di controllare i ricchi giacimenti diamantiferi.  Dalle isole Cayman al  porto di Madras; s’incontrano individui che smussano Cohiba  accessi con Dunhill d’oro e sorseggiano chateau d’Yquem. Poi a New York, a un pranzo d’affari al Rainbow Room a discutere di pipeline con società belghe che s’impegnano a importare pietre dall’Africa, acquistando pietre  solo in parte seguendo i canali ufficiali e contrabbandando le gemme di maggior valore fino agli uffici di Anversa che sfuggiranno al fisco e saranno collocate sul mercato, mentre il flusso di danaro sarà convogliato su una serie di conti bancari in giro per i paradisi fiscali di tutto il mondo intestati a società off shore costituite mediante trust.
Libro di viaggi per  comprendere le ragioni della spropositata ricchezza generata dai diamanti e della soffocante  miseria per  interi popoli . Un esempio? La produzione mineraria più ricca dell'anno scorso è stata quella del Botswana: 3,35 miliardi di dollari in diamanti grezzi esportati negli ultimi 12 mesi da un paese in cui il 50 per cento della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno ed ha un'aspettativa di vita media di 35 anni.
 I luoghi che gli autori dell’inchiesta  ci dischiudono  non sono casuali. A ben vedere, le  rotte dei diamanti partono dai "paradisi dei cercatori”, veri e propri  “inferni di sfruttamento per i minatori locali”. Le gemme proseguono il loro tragitto su percorsi battuti  ma mai troppo controllati: verso l'Europa (Belgio, Olanda e Svizzera), l'Asia (Israele, India) o l'America (Stati Uniti, Panama, Bahamas). Qui vengono tagliate, lavorate, vendute o ritirate dal mercato e conservate in caveau per far salire il prezzo delle gemme in circolazione.
A comprare sono 120 grossisti privilegiati, membri di una lista stilata dalla stessa De Beers.
Ma i compratori  non possono scegliere le pietre,  se potessero, sceglierebbero solo diamanti da cinque grani e di qualità «ottimo».
La De Beers ha l'interesse contrario, rifilare anche le pietre di minor valore o commerciabilità. I  120 scuciono  un grosso anticipo - fino a 20 milioni di dollari - per un «pacchetto sorpresa» che contiene pietre di diverso peso e qualità. E si devono accontentare. Altrimenti la De Beers li depenna dalla lista e quindi dall'asta. Per sostenere il prezzo della pietra, la De Beers deve essere l'unica venditrice: deve accaparrarsi anche i diamanti scavati in Liberia, Congo, Sierra Leone ed altri Paesi disastrati. Deve impedire che questi preziosi finiscano sul mercato libero.
Ragion per cui  De Beers è sospettata di trafficare i diamanti insanguinati dalle guerre e guerriglie africane.  La monopolista nega. Sostiene che tutti i suoi diamanti hanno un «certificato d'origine» regolare, a dimostrazione  che non vengono da Paesi in guerra”.
Dal 2002 c’è  un'associazione, «Processo di Kimberley», che riunisce 62 Paesi produttori i quali garantiscono che i loro diamanti sono «puliti». Ma ecco un altro  esempio: il Congo scopre nelle sue miniere ogni anno non più di 50 mila carati di pietre, però ne esporta fra i 3 e i 5 milioni di carati ogni anno. Non è un miracolo, è probabile che  il Congo riceva di contrabbando diamanti insanguinati dalle vicine guerre africane e li fornisca del proprio certificato d'origine.
Il fatto è che il diamante, al contrario dell'eroina, non viene annusato dai cani anti-droga. Non fa trillare i metal-detector negli aeroporti.
Ma come la droga il diamante si paga in contanti.   Nella 47 strada di Manhattan o ad Anversa, dove specialisti ebrei tagliano e smerciano i diamanti più preziosi, in Israele (dove si taglia la metà dei diamanti del mondo) o in India (dove si taglia il resto), chiunque voglia comprare arriva con pacchi, anzi con una valigia di bigliettoni. Tutto sulla parola.
Ed  ecco la prima deduzione dell’inchiesta “ Questo metodo rende il diamante appetibile a tutte le organizzazioni criminali che fanno traffici meno legali, ma anch'essi in contanti: traffico di droga e di armi.
Come mezzo di pagamento il diamante è l'ideale. Inoltre è  garantito anche contro le fluttuazioni di prezzo che rendono incerto il valore di ogni altra materia prima, grazie al monopolio mondiale De Beers”.
Libro di viaggi. E chi più dei diamanti ha necessità  di viaggiare  il più lontano  dal luogo in cui sono stati ritrovati e di far dimenticare la loro  origine? Se il diamante racconta un viaggio lungo e faticoso è sospetto. Se è stato  estratto da teatri di guerra non può essere commercializzato in Occidente. Ha bisogno di un luogo in cui farsi una nuova   identità  che lo renda accettabile dalle norme di trasparenza che presidiano il  mercato.
I diamanti di guerra sono  le gemme provenienti da paesi in  guerra che servono ad alimentare i conflitti. Gli anni '90 sono stati  il decennio delle guerre dei diamanti in Africa: ufficialmente il 14 per cento delle pietre grezze immesse allora sul mercato provenivano da zone di guerra.
I   combattimenti in Sierra Leone,  durati dieci anni e costati la vita a oltre 50 mila persone, venivano alimentati in buona parte dal commercio di pietre preziose con la confinante Liberia. In Angola il leader dei ribelli, Jonas Savimbi, si specializzò nel contrabbando di diamanti con la complicità dell'esercito "nemico". Nella Repubblica Democratica del Congo i conflitti, pagati con gli introiti delle concessioni per lo sfruttamento delle miniere del Kasai, hanno provocato oltre 4 milioni di morti.
Com’è oggi la situazione? Grazie al  film Blood Diamonds  gli acquirenti sono più guardinghi. Ma i problemi sono  irrisolti.  Nel dicembre 2000, sotto forti pressioni delle Nazioni Unite, i membri delle organizzazioni diamantifere mondiali, i rappresentanti di varie Ong e gli esponenti di 16 Stati africani coinvolti nel commercio dei preziosi, ratificarono il "Protocollo di Kimberley": misure contro l'estrazione e l'esportazione di diamanti dai luoghi di guerra.
Sulla carta gli accordi obbligano le compagnie diamantifere a certificare il percorso di ogni pietra (dal paese di provenienza al luogo del taglio; dalla sede di lavorazione al nome del rivenditore). In realtà, secondo le principali organizzazioni che lottano contro il commercio illegale di diamanti, per aggirare il Protocollo di Kimberley sono state create centinaia di false compagnie minerarie nei Paesi confinanti con quelli che hanno al loro interno i giacimenti di diamanti e che spesso sono teatri di guerra o vincolati nell'esportazione da embarghi internazionali. E così la "carta d'identità" dei diamanti finisce per essere spesso un falso per poter liberamente commercializzare il prodotto.
Un'inchiesta dell’ Agenzia per la prevenzione, il controllo e la risoluzione dei conflitti armati  ha constatato  che sono almeno 250 le compagnie minerarie nella sola zona dei Grandi Laghi, che in effetti non ha alcuna attività estrattiva. Ma le compagnie  certificano diamanti grezzi, con tutta probabilità provenienti dalla vicina Repubblica Democratica del Congo che negli ultimi due anni ha fatto registrare un incremento del 70 per cento nell'estrazione di diamanti grezzi.
In questo  mercato dai profitti straordinari che garantisce investimenti duraturi e protetti da ogni oscillazione,  antico ( lacrime degli dei chiamavano i diamanti i greci e i romani) e aperto alle incursioni illegali, la ‘ndrangheta non è assente.  Il traffico dei diamanti è indicato tra i suoi interessi. La sua presenza in ogni angolo del mondo la rende attenta a ogni possibilità di arricchimento. Come ha scritto il giudice Vincenzo Macrì “Non vi è continente che possa considerarsi immune dalla presenza della ‘ndrangheta.  Capace com’è  “di adattarsi ad ogni ambiente, anche quello apparentemente più  lontano e  ostile”, la presenza delle ‘ndrine è stata segnalata in  Sudafrica, Citta del Capo, Johannesburg, Pretoria,  dedita al traffico dei diamanti. Segnalazioni e arresti di individui appartenenti alla ‘ndrangheta denunciati per contrabbando di diamanti non sono mancati.  Conferma l’interesse della ‘ndrangheta per i diamanti lo scrittore  Antonio Nicaso, coautore di “Fratelli di sangue” assieme al giudice Nicola Gratteri: “La 'ndrangheta e' presente anche in Sud Africa, dove una delle principali attività in mano alle mafie e' proprio il traffico di diamanti. Negli anni Ottanta un pentito raccontò ai magistrati  dell'esistenza di un locale di 'ndrangheta a Johannesburg, dove si erano trasferiti molte famiglie calabresi originarie della Locride.  Qualche anno fa sono stato relatore ad un convegno a Pretoria, dove ho incontrato i vertici della polizia sudafricana. Mi hanno detto che la 'ndrangheta ha contatti con i trafficanti di diamanti e mi hanno spiegato anche che molte organizzazioni criminali, tra cui la mafia calabrese, utilizzano proprio i diamanti come moneta di scambio per acquistare ingenti partite di droga”.
 Per fermare l’illegalità i risultati del  Protocollo di Kimberley sono   scoraggianti. “Le imprese diamantifere dichiarano  che meno dell'1 per cento dei diamanti in commercio proviene da zone di conflitto. Secondo le organizzazioni non governative questa cifra si aggira in realtà intorno al 50 per cento”.
In Europa sono tre i principali porti di lavorazione dei diamanti grezzi. Anversa ed Amsterdam, dove fino a pochi anni fa si tagliava l'80 per cento delle pietre grezze (in valore).
L’altra città è   Ginevra, che  pur avendo cominciato  recentemente sta assumendo un peso sempre maggiore, soprattutto grazie ad una legislazione permissiva per cui le gemme possono essere disimballate, riconfezionate e spedite altrove perdendo, di fatto, il loro passato.
 Di recente il  dibattito ha riguardato la concorrenza nel mercato, dato che  i principali distributori di diamanti, la anglo-sudafricana De Beers e la russa Alrosa convergono spesso in una politica di cartello che taglia fuori gli altri estrattori, comprese le piccole imprese di lavorazione che stanno sorgendo in alcuni paesi africani”. Cosi non si consente alla ricchezza di rimanere nei luoghi in cui è prodotta. Restano tanti i punti oscuri  nella scacchiera mondiale dei preziosi. Però il gioco sporco è stato svelato.  Oggi il diamante non è più inconquistabile (come lo chiamavano i greci: adàmas). Di lui sappiamo ogni cosa.   Semmai inconquistabile appare il traffico illegale per la democrazia. Fino a quando? 


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