29 luglio 2008    

Il Senatore Poerio e la Calabria di ieri (di Romano Pitaro)


Ventenne stava accanto a chi andava scalzo e non aveva di che sfamarsi,  rinunciò a fare il medico, dopo la maturità classica al liceo Morelli di Vibo Valentia,  per iniziare un  cammino imprevisto, lungo;  prima nella Federterra (di cui fu segretario tra il ’46 e il ’47) poi in politica col Pci.

L’abbandono degli studi  mandò in bestia il padre Anselmo (durante il fascismo considerato persona pericolosa e sottoposto a vigilanza speciale)  che, dopo ventiquattro anni di “merica”, era tornato nella sua Casabona, nel  Marchesato dei latifondisti,  e acquistato 27 tomolate di terra da coltivare a vigneto e oliveto  e adesso sperava che  il figlio, il primogenito, diventasse  medico. Le cose presero un’altra piega.  La copertina del volume di Michele Drosi dedicata al sen. Pasquale Poerio

 Pasquale divenne deputato nella IV   e  senatore della Repubblica nella V e VI legislatura. Poi, il 6 novembre nel 2002,  a Catanzaro,     mentre il segretario della Cgil Guglielo Epifani parla nel Teatro Comunale, Pasquale Poerio,  classe 1921, capelli color lino e sorriso mite, cade  prima di “porgere un saluto ai  lavoratori”.

E’ la fine di una vita che recava su di sé le stimmate riconoscibili a occhio nudo  di un ciclo della storia politica e sociale calabrese. Quando parlavi col senatore Poerio, ovunque ti trovassi, anche nei salotti della politica nel frattempo trasformata sotto l’effetto di scosse telluriche devastanti, era come un obbligo rievocare le alleanze dei contadini del famoso decennio, i disagi dell’abitato Pietracupa di Guardavalle, le violazione dei diritti sindacali, le complessità del riscatto anticipato delle quote,   le lotte per l’uso plurimo delle acque del Neto-Tacina, le difficoltà per ottenere un prestito agrario, gli scioperi delle raccoglitrici del gelsomino “con le quali trascorse il suo viaggio di nozze”, le battaglie  a Rombiolo “per fare costruire bel 14 strade interpoderali sul Poro”, l’elettrificazione di Roccella di Borgia e Fiasco di Squillace. 

Si chiude, quel pomeriggio,  un ciclo della storia di uomini e donne che, prima di consolidare la loro posizione politica,  sono stati  “dentro” il vissuto  degli ultimi della società (i cafoni); conosciuto il ministro dell’agricoltura, Fausto Gullo,  che nel luglio del 1944 a Crotone  si sentì dire, nel corso di un  incontro coi contadini al cinema Apollo, dopo aver rappresentato le prime difficoltà nell’esproprio delle grandi proprietà: “ma se non la fai tu una legge simile chi la fa ?”; uomini e donne  che hanno visto, e capito, il dolore impresso sui volti smagriti dei contadini quando, nel Crotonese, “era più facile parlare con Dio che col barone Barracco”, come disse uno di loro  a Giovanni Russo, commentatore ineguagliabile delle trasformazioni del Sud.  Muore, sei anni fa,  l’uomo per antonomasia  della lotta per le terre che contrassegnarono la fase successiva alla seconda guerra mondiale e  furono fondativi per la democrazia calabrese  e l’emancipazione dei contadini. Napolitano, il Presidente della Repubblica, lo ricorda cosi: “un uomo rimasto fino all’ultimo  memoria vivente  di una grande stagione sociale e politica: quella delle lotte per la terra, del movimento contadino come parte integrante del movimento per la rinascita del Mezzogiorno”.

 Che in Calabria nel dopoguerra con la crisi del latifondo parassitario ci fosse la fame non c’è dubbio. E che fame! “In Calabria i contadini guadagnano non più di 300 lire al giorno, tutto compreso, e per meno di 100 giorni all’anno. Il resto è fame. Una fame disperata che il figlio eredita dal padre maledicendo e che lascia maledicendo ai figli ed ai figli dei figli”, scrive sull’ “Avanti” del 1 novembre 1949 Fernando Santi in un’editoriale intitolato “Fuoco su chi ha fame”

 In un intervento “memorabile”  al Senato, dopo l’eccidio di Melissa (1949) sul fondo Fragalà, Pietro Mancini prende la parola: “Già basta ricordare come furono trovati i morti di Melissa per avere la prova dell’infinita miseria di quei lavoratori. Senza camicia, con la giacca e i calzoni pieni di rattoppi e, al posto delle scarpe, dei pezzi di gomma di ruota di automobile. Io vi invito a pensare alla condizione delle lavoratrici che hanno perduto le fattezze della donna e le tracce della giovinezza. Giovani non furono mai, a trent’anni sono vecchie, afflosciate, senza attrattive di sesso, sporche e a piedi nudi”.  E concludeva: “ Onorevoli colleghi, io vorrei domandare all’europeista De Gasperi in quale plaga della sua Europa ha mai visto delle donne scalze”.

Il quadro di Mike Arruzza dedicato alla vicenda di Giuditta Levato Ricordare queste remote e tristissime  pagine della storia calabrese, quegli anni angosciosi, ma anche  entusiasmanti perché la servitù della gleba di colpo diveniva  protagonista  e s’illudeva  di poter decidere il suo futuro; ricordarle    per le tante occupazioni di terre andate a buon fine ed altre finite nel sangue di cui la morte della contadina di Calabricata (oggi Sellia Marina) Giuditta Levato, uccisa a trent’anni a colpi di fucile  mentre difendeva il suo diritto al lavoro, madre di due  figli e incinta, sintetizza il dramma di quel popolo improvvisamente  affacciatosi alla storia; ricordare tutto ciò,   proprio adesso che il Sud è afasico e   visto con iniquo quanto ostinato e   a volte  incolto e arrogante pregiudizio, è un dovere verso chi ha pagato per riscattare la marmaglia contadina.  Ma anche un’operazione culturale da non sottovalutare, anzi da intensificare,  se si vuole cucire il passato al presente e comprendere il reflusso progettuale   dell’attualità.  

 In questo senso, il libro di Michele Drosi, bravo e colto dirigente della Confederazione italiana agricoltori, intitolato “Terra e libertà” (pagg 368, 16 euro, edito da Rubbettino) e dedicato al senatore Pasquale Poerio (prefazione del presidente della Regione Agazio Loiero e testimonianza del Presidente della Repubblica), cade al momento giusto. E può essere l’occasione per tentare una riflessione serena ma severa,  che aiuti,  senza indisponenti piagnistei,  a non cedere alla rassegnazione o ai sospetti  paternalismi  del Nord ricco, che forse ha dimenticato quanto il Mezzogiorno (e il movimento contadino sconfitto e   costretto a diventare forza lavoro per le industrie in espansione del famoso triangolo italiano) ha contribuito, con lacrime e sangue, alla costruzione dell’Italia  e dell’Europa  di oggi.  Il Sen. Pasquale Poerio in un comizio a Catanzaro

Ma il libro oltre che riproporre alcuni irrisolti interrogativi: perché il Sud e la Calabria persero la battaglia del riscatto e della riforma agraria?, perché ci fu disattenzione ( o addirittura deliberata scelta)  nei partiti di sinistra accusati di aver mollato le aspettative di riscatto dei contadini per fortificare le strategie industriali del Paese?, è  anche una  lezione  utile per i   politici meridionali  di oggi.

Drosi mette assieme i “fatti” del decennio delle lotte per le terre e lascia, di tanto in tanto, partire alcuni bolidi verso chi non ha saputo dare voce  al movimento contadino, ma arricchisce la pubblicazione con articoli e     interventi pronunciati in Parlamento da Poiero da cui si evince  una ricerca scrupolosa che sorregge gli argomenti di volta in volta affrontati (il piano dei trasporti per rendere più moderne le comunicazioni della regione; una nuova politica di opere pubbliche per impieghi sociali; le leggi speciali per la Calabria; una politica organica di difesa del suolo contro le misure provvisorie; un piano per ristrutturare il settore olivicolo; il porto, infrastruttura indispensabile; Gullo non visto solo dal punto di vista dell’agricoltura ma anche per il contributo che diede alla stesura della Costituzione; l’alleanza col mondo cattolico indispensabile per fare uscire il Paese dalla crisi; il Piano elettro-irriguo Neto-Tacina-Passante per modernizzare l’economia; lo sviluppo dell’agrumicoltura; democrazia,uso delle risorse e crescita culturale per un progetto di sviluppo della Calabria; credito agrario in Calabria e prospettive; un moderno sistema agroindustriale della Calabria dopo la fine degli aiuti Cee).

 Insomma,  dagli interventi si   avverte quasi  la  fatica dei neuroni mai lasciati in ozio e  indirizzati ad analizzare i problemi  e a  proporre le soluzioni. Una fatica   mai  affrettata o generica, sempre supportata da dati, cifre, grafici, riferimenti storici ed economici;  e nulla è  mai lasciato  scisso  dall’insieme, anzi ogni tema quasi incastrato in una visione. Perché quel “giovane compagno calabrese” che i vari Greco, Amendola, Sereni, Alicata, Macaluso, Napoletano, apprezzavano e di cui  il Presidente della Repubblica “auspica che si tramandi il ricordo per la ricchezza della sua esperienza e della sua umanità”, era convinto che “il rilancio della questione meridionale deve essere collocato nel contesto più generale dell’Europa e del Mediterraneo”.

Ora ,  è vero che la formazione  di quegli uomini, segnati dalla sofferenza e abituati a una politica di carne e ossa,  oggi non è  proponibile né desiderabile, ma se proprio ai parlamentari calabresi non riesce di ipotizzare “la fuoriuscita delle aree svantaggiate del Sud in un rapporto con gli Stati emergenti dell’Africa e dell’Asia minore”, almeno inizino, se intendono guadagnarsi il rispetto degli italiani  e quindi diventare autorevoli,  a far il loro lavoro con meno vaghezza,  più attenzione alla sostanza delle questioni che incendiano la Calabria e meno preoccupazione per le apparizioni che non lasciano segno.   

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