11 giugno 2008    

Due commi per il federalismo (di Massimo Bordignon*)
articolo tratto da lavoce.info


Una particolare interpretazione dell'articolo 119 dL'Italia federalistaella Costituzione, fondata sul comma 4, renderebbe di fatto non solo impossibile il federalismo fiscale, ma incostituzionale ogni autonomia di qualunque tipo attribuita agli enti locali. E' un'interpretazione di parte e non tiene conto del comma 3 che definisce caratteristiche e finalità della perequazione territoriale delle risorse. Altrettanto pericolosa per gli enti territoriali, di qualunque latitudine, delle derive leghiste o secessioniste. Serve una lettura ragionevole della norma costituzionale.

Non sorprendono le posizioni assunte dal presidente della Svimez, Nino Novacco, nel dibattito sul federalismo fiscale. Da sempre, gli economisti dell’associazione sono arroccati su una particolare interpretazione dell'articolo 119 della Costituzione, che renderebbe di fatto impossibile non solo il federalismo fiscale, ma in realtà incostituzionale ogni autonomia di qualunque tipo attribuita agli enti locali. Ma è un’interpretazione di parte, estrema e altrettanto perniciosa per gli enti territoriali di governo, di qualunque latitudine, delle corrispondenti derive leghiste o secessioniste.

 

Una lettura di parte

Novacco invoca a sostegno della sua argomentazione il comma 4 dell’articolo 119, secondo il quale gli enti territoriali devono ricevere, tramite tributi propri, compartecipazioni e trasferimenti perequativi, risorse sufficienti a “finanziare integralmente le funzioni loro attribuite”. E ne ricava la conclusione che né gli enti del Nord né quelli del Sud possono ricevere minori o maggiori risorse di quanto strettamente necessario al finanziamento integrale di queste funzioni. Dunque, sarebbe incostituzionale la proposta del Consiglio regionale della Lombardia, di cui si discute molto in questi giorni perché parte integrante del programma del Pdl, partito oltretutto plebiscitariamente votato al Sud, in quanto ipotizza che le risorse siano preliminarmente attribuite ai territori, per poi venire ridistribuite da quelli più ricchi a favore di quelli con minore capacità fiscale (cioè, con minori risorse per abitante).

Ma nella foga polemica Novacco, e con lui tutta la Svimez, dimentica due cose importanti. Primo, che logicamente oltre che letteralmente, il comma 4 è preceduto dal comma 3, che definisce caratteristiche e finalità della perequazione territoriale delle risorse. E il comma 3 afferma appunto che scopo della perequazione non è il “finanziamento integrale delle funzioni”, ma attribuire risorse compensative ai “territori con minori capacità fiscale per abitante”, esattamente come previsto nella proposta lombarda. Secondo, Novacco non si chiede chi e come dovrebbe definire la quantità di risorse necessarie per il “finanziamento integrale delle funzioni” né quali sarebbero le conseguenze di tale definizione. Se, come del tutto probabile, fosse lo Stato nazionale a dover definire la spesa “necessaria”, la conseguenza logica sarebbe la totale eliminazione dell’autonomia degli enti territoriali. Infatti, se lo Stato nazionale ha già definito ex ante quanto devono spendere per ciascuna funzione che svolgono, dalla assistenza sanitaria fino al finanziamento della fiera di paese, quale sarebbe il loro ruolo? Spendere di più o di meno di quanto stabilito dallo Stato per ciascuna funzione sarebbe in conflitto con la Costituzione; ma se Regioni, comuni e province non possono decidere come spendere le proprie risorse, non si capisce perché dovremmo tenerceli. Qualche ufficio statale locale incaricato di portare a termine i compiti attribuitigli dallo Stato sarebbe più che sufficiente.

 

Un’interpretazione ragionevole

La realtà è molto più semplice. Il legislatore costituzionale, nella sua profonda saggezza, ha cercato di contemperare nella formulazione dell’articolo 119 due esigenze entrambe ragionevoli, ma che risultano in parte contraddittorie nel contesto italiano, data la distribuzione esistente delle risorse e della spesa pubblica sul territorio. Da una parte, la necessità di garantire un’autonomia effettiva agli enti locali, specificando che questi hanno un diritto prioritario alle risorse tributarie sollevate sul proprio territorio, così come avviene in qualunque sistema federale. Dall’altra, la garanzia che devoluzione di risorse e successiva perequazione, non comportino per alcuni enti territoriali l’incapacità di offrire i servizi che sono tenuti a offrire. Entrambe le esigenze sono ragionevoli, è dunque necessario arrivare a un’interpretazione altrettanto ragionevole dell’articolo 119, tralasciando le letture estreme e unilaterali.

L’unica interpretazione ragionevole è che gli enti territoriali di governo siano finanziati sulla base del principio del fabbisogno (o della “spesa necessaria”) per le funzioni che investono diritti fondamentali di cittadinanza, gli stessi attribuiti alla legislazione esclusiva dello Stato dalla lettera m dell’articolo 117: sanità, istruzione, assistenza. E, viceversa, siano finanziati sulla base del principio della capacità fiscale per le restanti funzioni, su cui non esiste un interesse nazionale così palese. Dunque, sbaglia la Lombardia perché propone un’attribuzione delle risorse senza chiedersi cosa queste dovrebbero finanziare, e perché propone un vincolo alla perequazione interregionale (il 50 per cento della capacità fiscale media), senza chiedersi se il vincolo sia compatibile con il finanziamento delle funzioni fondamentali di tutti gli enti territoriali. E sbaglia la Svimez perché nella sua difesa aprioristica degli interessi degli enti locali del Sud finisce con il sacrificare anche gli spazi di autonomia essenziali a questi, come a tutti gli altri.

* Redattore lavoce.info
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