13 maggio 2008    

CGIA Mestre: «Il Federalismo fiscale al Sud non conviene» (di Luisa Lombardo)


Federalismo fiscale?  No grazie. 
Secondo la recente indagine della CGIA di Mestre, alle regioni del Mezzogiorno, il federalismo fiscale non conviene affatto, concretizzandosi in un taglio dei servizi e in un incremento delle tasse per i cittadini. Palazzo Montecitorio sede della Camera dei Deputati
L'analisi dell’associazione Artigiani e piccole imprese, parte da un dato di fatto: la media nazionale della copertura della spesa corrente con tributi propri (Irap, addizionale regionale Irpef, etc.) delle Regioni ordinarie italiane è pari al 45,6%.  Tocca punte del 64,6% in Lombardia, del 53,7% in Piemonte, del 53% in Veneto ma anche valori minimi come il 31,3% in Campania, il 30,2% in Puglia, il 29,6% in Umbria, il 22,3% in Calabria e il 21,6% in Basilicata.
Per avvicinarsi al valore medio nazionale, le regioni del Sud avrebbero dinanzi due sole vie: l’aumento della pressione fiscale o il ridimensionamento dei servizi. In entrambe le ipotesi, il federalismo fiscale costituirebbe solo una mannaia per i conti in rosso di molte regioni, con un ulteriore impoverimento della popolazione. 
Ma vediamo più nel dettaglio la prospettiva immaginata dalla CGIA di Mestre: “prendendo per esempio la Lombardia, dove attualmente il tasso di copertura è del 64,6%, la Regione potrebbe far scendere di ben 19 punti la copertura riducendo le tasse di 323 euro procapite l'anno o aumentando la spesa corrente di 707 euro pro capite. Il Piemonte, invece, potrebbe o ridurre le tasse di 167 euro pro capite o aumentare la spesa pro capite di 366 euro. In Veneto si potrebbe tagliare le tasse di 132 euro pro capite o aumentare la spesa corrente di 289 euro”.
Situazione che chiaramente si ribalterebbe per le Regioni del Sud.
“La Basilicata, (dove il tasso di copertura è pari al 21,6%), per raggiungere il tasso medio nazionale (e cioè il 45,6%), dovrebbe aumentare la copertura di 24 punti: ebbene, gli amministratori regionali lucani sarebbero costretti ad incrementare le tasse di 550 euro procapite o tagliare la spesa di 1.206 euro procapite. In Calabria, gli amministratori regionali si vedrebbero costretti ad aumentare le imposte di 506 euro procapite o ridurre la spesa di 1.108 euro procapite. Questo esclusivamente da un punto di vista teorico - sottolinea Giuseppe Bortolussi, direttore dell’Ufficio Studi della CGIA di Mestre - perchè al Sud è difficile pensare solo ad un aumento delle imposte, considerato che la base imponibile è molto ridotta. Pertanto, è ipotizzabile che un eventuale aumento del tasso di copertura dovrebbe avvenire quasi esclusivamente attraverso dei tagli”.  
“A fronte di misure così pesanti da applicare ai propri cittadini - ha concluso Bortolussi - chi è favorevole ad una possibile riforma federale del nostro sistema fiscale ? Oggettivamente credo quasi nessuno". La bandiera italiana che si ispira al federalismo
In realtà, come sappiamo, il federalismo fiscale, inteso come possibilità per le Regioni e gli enti locali (Provi,nce e Comuni) di imporre tasse per finanziare le proprie spese è già in parte attuato, in quanto le Regioni incassano l'addizionale regionale dell'Irpef e l'Irap, l'imposta regionale sulle attività produttive.
Allo stesso modo, le Province ricevono in pagamento la Ipt, imposta provinciale sui trasporti, così come i Comuni riscuotono l'Ici, imposta comunale sugli immobili e l'addizionale comunale dell'Irpef.

Si tratta ora solo di portare a compimento un percorso già avviato con la legge costituzionale 3/2001. Il federalismo vede progressivamente ampliarsi i compiti e le prerogative della Regione e degli altri enti locali contro un ridimensionamento delle funzioni dello Stato centrale. E' evidente, infatti, che aumentando i compiti delle Regioni e degli enti locali, e riducendosi contestualmente i trasferimenti dello Stato, gli enti locali sono chiamati ad applicare una propria tassazione per poter svolgere appieno i compiti loro affidati.
Considerato che obiettivo del federalismo fiscale è avvicinare al territorio le risorse al fine di investire nello sviluppo, appare fondamentale riflettere se, in quale misura e mediante quali strumenti, esso possa essere una leva per la crescita economica e per le politiche industriali. In questo senso, gli enti locali, sempre più attori della crescita economica, sono chiamati a concepire per il futuro un modello di sviluppo ritagliato sulle vocazioni e sulle specifiche esigenze dei territori di riferimento.

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