26 settembre 2007    

Il sogno di Padre Briggs: ricordare le vedove


Ha gli occhi acquosi, nascosti da lenti spesse, e un bastone per appoggiare il suo corpo esile, PadrePadre Everett Briggs davanti all'ingresso ormai chiuso della vecchia miniera Briggs. Curvo, cauti i movimenti, però deciso. A venire con noi: “Vi accompagno io dai minatori”. Sulla collina ancora verde i raggi del sole d’ottobre si spezzano sulle croci sparse su tombe e tumuli di terra che nascondono un pezzo di Calabria. Un pezzo della storia dell’emigrazione calabrese finito sottoterra e neppure menzionato dalle antologie. Sradicati, morti e dimenticati: gli emigranti finiti quaggiù , sottoterra a Monongah, nel West Virginia, proprio quando il New York Times assegnava a John Rockefeller il primato di uomo più ricco del mondo.
Ha 98 anni Padre Briggs , quasi quanto la strage di Monongah, che compie un secolo il 6 dicembre 2007. E’ l’uomo che ha cercato la verità. Da quando, nel 1957, lo mandarono in questi boschi del West Virginia, dove il carbone era la ricchezza principale, a sostituire il parroco che doveva giungere da Roma. E non giunse mai. Alla parrocchia di Nostra Signora di Pompei, dove il giorno prima della deflagrazione i minatori festeggiarono San Nicola, ci rimase lui, quest’irlandese tosto, ed ancora è qui. Oggi la chiesa è intitolata a Santa Barbara, la protettrice dei minatori.
Giovane, udiva gli italiani parlare di uno scoppio nella miniera della Fairmont CVoal Company. Di morti rimasti sotto i tunnel. Centinaia di cadaveri. Il dolore straziante delle vedove, moltissime giovani , tante sono ritornate in Italiane di loro nessuno ha più saputo nulla. Ha iniziato l’indagine. Ed è saltata fuori la tragedia più funesta per l’emigrazione italiana, la più drammatica per gli Stati Uniti. I bracci n. 8 e n. 6 completamente distrutti, lo scoppio si avvertì da 12 km di distanza.
La delegazione del Consiglio regionale della Calabria ascolta. Il  vice presidente Antonio Borrello e i consiglieri Maurizio Feraudo, Damiano Gagliardi e Michele Trematerra, capiscono l’orrore che si è consumato quassù cent’anni fa. Dalla Calabria e dalle altre regioni del Sud Italia, sono arrivati in massa fin qui per cercare un lavoro. Gli italiani erano l’80 per cento della popolazione. “Si tratta di caduti sul lavoro” dice Borrello. “Veri e propri eroi dimenticati” commenta Gagliardi. “Se La delegazione del Consiglio regionale in visita al cimitero di Monongahnon si viene qui non si capisce la tragedia” aggiunge Trematerra, e Feraudo: “Padre Briggs è la memoria di questa tragedia”.
Esatto. La memoria ancora viva. Parla: “Io che non sono italiano ho dedicato quasi tutta la mia esistenza ai minatori italiani”. Parla il giapponese, il coreano, il francese, lo spagnolo, il latino e il greco e naturalmente l’italiano Padre Everett Briggs, prigioniero di guerra in Giappone durante la seconda guerra mondiale. Per la sua dedizione nella ricerca di un verità terribile e il suo sostegno alle famiglie dei minatori, il West Virginia gli ha intitolato un ponte, il Ponte Briggs che attraversa Monongah. La visita al cimitero su una collina desolata è un misto di senso del dovere e di sbigottimento. Sottoterra c’è una vera e propria avanguardia del lavoro italiano. “Qui sono seppelliti gli irlandesi”, spiega il prete. “Qui invece polacchi e lì, lì gli italiani, tanti italiani, molti senza nome, senza croce…
La bestia in agguato, il cui respiro è appesantito dalla carne umana da smaltire”, come Zola definisce la miniera, una mattina s’è destata e oplà, li ha divorati tutti senza pietà.
I numeri ufficiali: 371 morti, 171 italiani di cui tantissimi calabresi di San Giovanni in Fiore, Carfizzi, San Nicola dell’Alto, Falerna, Caccuri, Guardia Piemontese, Strangoli, Gioiosa Ionica, Castrovillari. La realtà, però, è più drammatica: una corrispondenza da Washington del 9 marzo 1908 alla fine dell’inchiesta riferisce di 956 morti. Un’ecatombe. Dalla Calabria arrivarono i contadini e subito nella miniera, asciutti e bassi, buoni per sfidare la bestia in agguato. Si sono ritrovati alle 5 del mattino del 6 dicembre sulle rive del fiume West Fork in faccia il vento tagliente dei monti Appalachi che a loro ricordava la Sila. Tra le 10 e le 10,30 fu l’inferno. La miniera è esplosa. Molti corpi sono stati strappati a quell’inferno, tanti sono rimasti laggiù. Padre Briggs racconta i tragici fatti della miniera
Oggi sulla collina di Monongah i consiglieri regionali della Calabria rendono ufficialmente onore a quei morti dimenticati dal mondo. Depongono un mazzo di fiori. Come dire: la Calabria, dopo un secolo, dice grazie a quegli uomini andati via per cercare un’occasione di riscatto e morti in una terra così lontana. Si ripromettono di rimuovere una dimenticanza, riprendere il filo di un discorso troncato con quei morti. E sono d’accordo col sogno di padre Briggs: erigere un monumento alle vedove.
“Dopo la morte dei loro mariti, buona parte sono rientrate in Italia da sole e senza più futuro. Perché hanno affrontato la vita senza il conforto del marito e tante disperate per la morte dei figli”. Furono raccolti 150mila dollari destinati alle vedove, ma molti minatori a Monongah erano soli e alle famiglie in Italia non giunse mai nulla.
“Le vedove sono quelle che hanno pagato di più insieme con i figli. Ecco, desidererei che a quelle povere vedove italiane venisse eretto un monumento” dice padre Briggs. Donne che hanno perso marito e in alcuni casi i figli, delle eroine, ecco il monumento dovrebbe intitolarsi “Alle eroine di Monongah”. Ha raccontato il professor Joseph Troppa della Washington University: “Quasi tutte le vedove di Monongah hanno percepito il giusto indennizzo dai proprietari della miniera. I fondi vennero stanziati, ma non arrivarono mai a destinazione. Alcune donne ricevettero pochi spiccioli, altre dovettero accontentarsi di una mucca o di suppellettili. Una miseria. Il vero indennizzo è finito nelle tasche dei faccendieri dell’epoca”.
A un tratto padre Briggs si ferma. Chiede al presidente di Heritage Calabria in West Virginia, Russel Bonasso, autore del primo libro sulla tragedia, Fire in the ole,  e promotore del comitato che intende realizzare il monumento alle vedove, di aiutarlo, cerca una croce. “Si ho capito, un attimo. Ecco: Caterina Davia è seppellita lì”.
Foto di gruppo della delegazione di consiglieri regionali della Calabria Padre Briggs si piega, chiama Borrello, Feraudo, Gagliardi e Trematerra: “Guardate qui, questa donna italiana perse nella tragedia il marito e due figli. E sapete cosa fece? Per 29 anni, per tre volte al giorno, si recò alla miniera e riempiva il suo sacco che poi svuotava intorno alla sua casa. Credeva che alleggerendo il peso sul corpo dei morti, avrebbe riavuto i suoi familiari. Il dolore la fece impazzire”. Aggiunge Bonasso: “Non c’è una sua foto nel mio libro, perché quando anadai a trovare il suo vicino di casa per farmi raccontare la storia e chiedere una foto della signora Davia, lui mi diede un disegno, una donna con in spalla un sacco di carbone e quando gli chiesi la foto della donna, lui mi diede la foto della sua casa immersa nel carbone e mi disse: ecco, questa è Caterina adesso, lei non ha più un volto”.
Scandisce padre Briggs: “Quei minatori attendono ancora giustizia e verità. Quelle donne rimaste senza marito ed abbandonate da tutti ma non da Dio, attendono oggi almeno un riconoscimento alla memoria”.
Borrello, Gagliardi, Feraudo e Trematerra, d’accordo il presidente del Consiglio regionale Giuseppe Bova, hanno garantito l’adesione della Calabria al progetto di padre Briggs. “Finalmente lo facciamo”, sussurra il prete di Monongah mentre s’inoltra da solo, claudicante, tra le croci della collina, tra i tumuli di terra che nascondono vite spezzate, uomini partiti con grande speranza dalla Calabria e di cui sono tornati soltanto i certificati di morte.  

 segnala pagina ad un amico
 CHIUDI