Pubblicato il 10/04/2019 N. 00797/2019

REG.PROV.COLL. N. 01018/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1018 del 2017, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato xxxx xxxx, con il quale è domiciliato in Milano, presso la Segreteria di questo Tribunale;

contro Regione Lombardia, rappresentata e difesa dall'avvocato XXXXX XXX, con il quale è domiciliata presso gli uffici legali dell’Ente in Milano, XXXXX XXXX;

Consiglio Regionale della Lombardia, rappresentato e difeso dagli avvocati XXXXX XXXXX, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Milano, XXXXXX XXX;

nei confronti -OMISSIS-, non costituito in giudizio;

per l'annullamento:

1. della delibera del Consiglio regionale della Regione Lombardia del 3.5.2017, recante la nomina quale Difensore regionale del sig. -OMISSIS-; 2. del presupposto parere della commissione del 6.4.2017, recante l'esame di ammissibilità delle proposte di candidatura; 3. di ogni ulteriore atto e/o provvedimento precedente, successivo, presupposto, collegato e consequenziale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lombardia e del Consiglio Regionale della Lombardia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 ottobre 2018 il dott. Oscar Marongiu e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il ricorrente, premesso di avere inoltrato la candidatura per concorrere alla nomina all’incarico di difensore regionale della Lombardia ai sensi della l.r. n. 18/2010 e dell’art. 61 dello Statuto regionale, ha impugnato gli atti in epigrafe, tra cui, in particolare, la delibera con la quale il Consiglio regionale della Lombardia ha nominato difensore regionale il sig. -OMISSIS-, deducendone l’illegittimità sulla base dei seguenti motivi: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 61 dello Statuto regionale (Legge regionale statutaria n. 1/2008), della l.r. n. 25/2009 e della l.r. n. 18/2010; violazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. 1 della l. n. 241/1990; eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità manifesta e per sviamento; 2) violazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. 3 della l. n. 241/1990; eccesso di potere per illogicità, irrazionalità, deficit istruttorio per l’omessa comparazione e valutazione in concreto tra i candidati e per l’omessa indicazione di criteri valutativi e ponderativi dei requisiti richiesti; 3) violazione dell’art. 6 (Divieto di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza) del d.l. n. 90/2014 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari), convertito in l. n. 114/2014 e dell’art. 17, comma 3, della l. n. 124/2015; 4) violazione e falsa applicazione dell’art. 3, commi 1 e 2, della l.r. n. 25/2009; 5) violazione dell’art. 3, commi 5 e 7, della l.r. n. 25/2009; 6) eccesso di potere per travisamento dei fatti, erroneità dei presupposti ed insufficiente ed inadeguata attività istruttoria; eccesso di potere per illogicità, disparità di trattamento e ingiustizia manifesta. Si sono costituiti il Consiglio regionale della Lombardia e la Regione Lombardia, chiedendo la reiezione del ricorso. Alla camera di consiglio del giorno 21 giugno 2017 la Sezione ha respinto l’istanza cautelare. Alla pubblica udienza del giorno 10 ottobre 2018 la causa è stata trattenuta per la decisione.

2. Il ricorso è infondato; di seguito le motivazioni della sentenza, rese nella forma redazionale semplificata di cui all’art. 74 c.p.a.

2.1. Con il primo motivo il Sig. -OMISSIS- lamenta che il controinteressato (non costituito in giudizio) sarebbe sprovvisto dei requisiti per l'affidamento dell'incarico e, comunque, in possesso di titoli e competenze tecniche inferiori rispetto a quelli dello stesso ricorrente. In particolare, secondo il Sig. -OMISSIS-, la nomina in questione richiederebbe un titolo di studio adeguato, ai sensi della l. r. n. 25/2009 (Norme per le nomine e designazioni di competenza del Consiglio regionale); il sig. -OMISSIS- ne sarebbe sprovvisto, in quanto titolare della sola licenza di terza media, mentre i titoli del ricorrente (laurea in giurisprudenza, master, specializzazioni e attività di docenza, titolo di avvocato, pregresse esperienze da difensore civico) sarebbero superiori e più adatti (anche rispetto a quelli posseduti dagli altri candidati). La censura non coglie nel segno. Invero, i requisiti necessari per la nomina a difensore regionale sono disciplinati in maniera esaustiva dalla l.r. n. 18/2010 (Disciplina del Difensore regionale), attuativa della previsione contenuta nell’art. 61 dello Statuto Regionale. Ai sensi dell’art. 2, commi 2 e 3, della citata l.r. n. 18/2010: “2. Sono candidabili i cittadini esperti nei campi del diritto, dell'economia e dell'organizzazione pubblica, che diano la massima garanzia di indipendenza, imparzialità e competenza amministrativa. 3. I candidati devono essere in possesso di una qualificata esperienza professionale, almeno decennale, maturata in posizione dirigenziale presso enti od aziende pubbliche o private, ovvero di lavoro autonomo assimilabile, e svolta nei settori di cui al comma 2, preferibilmente nel campo della difesa dei diritti dei cittadini. Le cariche pubbliche di parlamentare nazionale, consigliere regionale, presidente o assessore regionale, presidente o assessore provinciale, sindaco o assessore di comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti, ricoperte complessivamente per almeno dieci anni, sono equiparate all'esperienza richiesta”. La normativa richiamata, per un verso, non fa alcun cenno alla necessità del possesso di un “adeguato titolo di studio” e, per altro verso, equipara espressamente all’esperienza richiesta l’aver ricoperto complessivamente, per almeno dieci anni, “le cariche pubbliche di parlamentare nazionale, consigliere regionale, presidente o assessore regionale, presidente o assessore provinciale, sindaco o assessore di comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti”. Orbene, è incontestato che il sig. -OMISSIS- ha ricoperto complessivamente diverse cariche pubbliche tra quelle sopra indicate, per un periodo ultradecennale (assessore del Comune di xxxx xxxxx dal 1985 al 1991; Sindaco del Comune di xxxx xxxxx dal 1991 al 1994; assessore regionale dal 2000 al 2004; consigliere regionale dal 2004 al 2005); ne consegue che il controinteressato risulta in possesso dei requisiti necessari per la nomina a difensore regionale. La censura, pertanto, va respinta.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’omessa comparazione e valutazione in concreto tra i candidati e l’omessa indicazione di criteri valutativi e ponderativi dei requisiti richiesti. Al riguardo, il Collegio aderisce all’orientamento giurisprudenziale (T.A.R. Campania - Napoli, Sez. I, n. 1119/2009) secondo cui il procedimento di nomina de quo va suddiviso in due fasi: una prima fase idoneativa e di verifica del possesso dei requisiti e una seconda fase di votazione a scrutinio segreto da parte dei consiglieri regionali. Nella prima fase, finalizzata alla preventiva verifica istruttoria in ordine al possesso, in capo a ciascun candidato, di determinati requisiti curriculari volti a comprovare la sussistenza di condizioni minime di idoneità per lo svolgimento dell’incarico, evidentemente non serve una comparazione tra i candidati; nella seconda fase, fiduciaria, caratterizzata da un provvedimento di nomina di competenza dell’organo assembleare, cui si giunge attraverso un meccanismo elettorale, si esprime la libera scelta di ciascun consigliere, che nella fattispecie avviene a scrutinio segreto, per espressa previsione normativa. A quest’ultimo riguardo, come chiarito dalla giurisprudenza condivisa dal Collegio, nessun obbligo di motivazione deve assistere la designazione del difensore civico da parte del Consiglio, poiché a ciò si oppone per definizione lo scrutinio segreto, funzionale all’espressione di una valutazione anche comparativa, ma che rimane nell’ambito delle scelte personali e politiche del singolo consigliere. Del resto, il procedimento in esame non sfocia in una scelta concorsuale tra soggetti idonei ma nell’elezione del candidato con la maggioranza prestabilita (C.d.S., Sez. VI, n. 5421/2014). La censura, pertanto, va respinta.

2.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione del divieto di conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza ai sensi dell’art. 5, comma 9, del d.l. n. 95/2012. La norma richiamata così dispone: “È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 (118), nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 nonché alle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni di cui al primo periodo e degli enti e società da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all'articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125. Gli incarichi, le cariche e le collaborazioni di cui ai periodi precedenti sono comunque consentiti a titolo gratuito. Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione. Devono essere rendicontati eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall'organo competente dell'amministrazione interessata. Gli organi costituzionali si adeguano alle disposizioni del presente comma nell'ambito della propria autonomia”. Secondo la prospettazione di parte ricorrente, il Sig. -OMISSIS- non potrebbe conseguire l’incarico di difensore regionale, essendo titolare di vitalizio in qualità di ex consigliere regionale. La tesi non persuade. Sul punto, è sufficiente osservare che, come chiarito dalla giurisprudenza (ex multis, Corte di Cassazione, S.U., n. 14922/2016), tra la situazione del titolare di assegno vitalizio goduto in conseguenza della cessazione di una determinata carica e quella del titolare di pensione derivante da un rapporto di pubblico impiego non sussiste una identità né di natura né di regime giuridico. Invero, l’assegno vitalizio previsto dalla legislazione regionale in favore del consigliere regionale dopo la cessazione del mandato non può essere assimilato alla pensione del pubblico dipendente: i consiglieri regionali non sono prestatori di lavoro, ma titolari di un munus previsto dalla Costituzione; il Consiglio regionale non è un datore di lavoro del consigliere regionale. In quest’ottica, gli ex consiglieri regionali (come il ricorrente) non sono equiparabili agli ex dipendenti, sicché non è applicabile ai primi il divieto espressamente previsto per i secondi. La censura, pertanto, va respinta.

2.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 3, commi 1 e 2, della l.r. n. 25/2009, in quanto tali norme, a suo dire, consentirebbero la presentazione della candidatura ad opera di “consiglieri regionali”, e non, come accaduto nella fattispecie, da parte di un singolo consigliere regionale. La censura è manifestamente infondata, essendo evidente che l’individuazione dei soggetti legittimati alla presentazione di candidature ai sensi dell’art. 3, comma 1, della l.r. n. 25/2009 si riferisce alle categorie di possibili soggetti proponenti (consiglieri regionali, ordini professionali, etc.) senza porre alcun limite numerico, consentendo, quindi, la presentazione di candidature anche a ciascun singolo consigliere regionale (così come ad ogni singolo ordine professionale, etc.). Parimenti infondata, inoltre, in quanto priva di qualsiasi riscontro normativo, è la tesi secondo la quale i soggetti legittimati alla presentazione delle candidature dovrebbero limitarsi alla presentazione di un solo nominativo. La censura, pertanto, va respinta.

2.5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta che nel curriculum vitae del controinteressato non è stato indicato in modo completo il requisito previsto dall’art. 3, comma 5, lett. b), della l.r. n. 25/2009 (relativo al titolo di studio); mancherebbe, quindi, un elemento essenziale per la validità della candidatura. La censura va respinta per le ragioni già esposte supra, sub 2.1, da cui può evincersi agevolmente che, non essendo il requisito in parola richiesto dalla l.r. n. 18/2010, la mancata indicazione, nel curriculum in formato europeo, della data precisa e dell’Istituto scolastico che ha rilasciato il titolo non ha alcuna rilevanza ai fini dell’ammissione della candidatura.

2.6. Con il sesto motivo il ricorrente deduce il vizio di eccesso di potere sotto vari profili, lamentando il fatto che, come emergerebbe dall’analisi delle schede dei candidati, dalla sua scheda sarebbero stati decurtati e, quindi, non considerati, diversi titoli. Sul punto, è sufficiente osservare che: - nella prima fase c.d. idoneativa e di verifica del possesso dei requisiti, tenutasi in commissione, la predisposizione delle schede di sintesi dei candidati, censurata dal ricorrente, non ha impedito a quest’ultimo di essere ammesso e non era finalizzata allo svolgimento di alcuna comparazione; - nella seconda fase tenutasi in Consiglio, prima della votazione, ciascun consigliere poteva consultare i curricula completi dei candidati. La censura, pertanto, va respinta.

2.7. In definitiva, il ricorso è infondato e va respinto. Le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono il criterio della soccombenza, come di norma; nulla deve disporsi nei confronti delle parti non costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio, liquidandole complessivamente in € 2.000, di cui € 1.000 in favore del Consiglio regionale della Lombardia ed € 1.000 in favore della Regione Lombardia, oltre accessori come per legge; nulla per le parti non costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2018 con l'intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti, Presidente

Mauro Gatti, Consigliere

Oscar Marongiu, Primo Referendario, Estensore

L'ESTENSORE Oscar Marongiu

IL PRESIDENTE Angelo De Zotti

IL SEGRETARIO

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.